Lo zibaldone di Sergio Magaldi
giovedì 25 aprile 2024
GOLEM - La Leggenda del Golem, i Robot e l'IA (p. 1ª)
venerdì 19 aprile 2024
RILEGGERE SARTRE (P.7.a Il ruolo di Sartre negli studi di psicologia)
Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti
su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una
risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.
Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.
A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.
Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).
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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.
Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle
polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post:
Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube seguenti:
ASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di L’essere
e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023
Un'esistenza che precede l'essenza
Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo
Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di
Jean-Paul Sartre
Siamo condannati alla libertà.
SEGUE DA:
Ishiguro, dopo aver
ricordato come l'immaginazione sia stata sempre considerata «il brutto
anatroccolo del mondo filosofico», osserva come la situazione sia profondamente
mutata: «Eminenti filosofi, in Inghilterra e in Europa, hanno cercato di
mostrare come lo studio filosofico dell'immaginazione costituisca una parte
importante, e del tutto degna di considerazione, della filosofia della mente.
In effetti, lo studio della immaginazione è uno dei campi in cui i problemi
posti dai filosofi di questi due mondi a sé stanti — Europa e Inghilterra —
hanno maggiori punti di contatto. La differenza tra l'Imaginaire (1940) di Sartre e le note sulla immaginazione di
Wittgenstein in Blue and Brown Books (1934-36),
o il capitolo sull’immaginazione nel libro di Ryle Concept of Mind (1949) è senza dubbio minore di quella che esiste
fra L'Imaginaire e le opere dei
predecessori di Sartre in Francia, o fra l'indagine di Ryle e quella condotta
dagli empiristi inglesi che si rifanno a Hume»[1].
I punti di contatto
tra Ryle (che Ishiguro nell’opera da lui citata definisce il più comportamentista
dei filosofi analitici inglesi) e Sartre possono così riassumersi: l'oggetto
d'immaginazione non è un'entità mentale (pp.197 e 206), immagini e percezioni
non interferiscono tra loro ma si escludono a vicenda (p.200), «farsi delle
immagini» è per Ryle come per Sartre «uno dei molti modi di far finta, e far finta
è uno dei molti modi in cui esercitiamo la nostra immaginazione, che, a sua
volta, è un modo in cui facciamo uso delle nostre cognizioni e della nostra intelligenza»
(p.201).
Infine la concezione
del sapere nell'immaginazione, nel senso che immaginare un oggetto non
significa propriamente accrescere la conoscenza che si ha dell’oggetto stesso (pp.202-203).
Una sostanziale affinità c'è inoltre tra l'osservazione di Wittgenstein che
«vedere come...» è simile all'«avere un’immagine di...» e l'opinione quasi
assolutamente identica che si trova in tutta l'opera di Sartre quando esamina
in dettaglio ritratti, caricature, mimiche, simboli ed altri fenomeni specifici
(p.222).
Mi riferisco inoltre al fatto che la psicologia statunitense e la psicologia inglese ed europea hanno fatto largo uso, nella descrizione e nella valutazione di casi clinici, del metodo e degli strumenti forniti dalle analisi teoriche di Sartre. Per tutti basti ricordare l'inglese Ronaid Laing, il più noto in Italia tra gli psichiatri che si richiamano alla fenomenologia, il quale, nel descrivere forme d'ansia quali il «risucchio», l'«implosione», la «pietrificazione», o forme di insicurezza nei confronti di se stesso e/o di altri come l'«evasione», l'«elusione», la «collusione» ecc…, ricorre con frequenza alle analisi contenute nelle opere di Sartre.
Il «risucchio», in quanto si definisce come una sensazione minacciosa che il soggetto avverte soprattutto nel rapporto con l'altro (anche se dipende dalla perdita del senso della propria autonomia e della propria identità), rimanda alle analisi sartriane del «per altri» contenuta nella Parte III di L'Etre et le Néant.
L'«implosione», in quanto è una forma d'ansia per la quale la realtà per se stessa si presenta come minacciosa, ricorda il comportamento magico nei confronti del reale del soggetto emozionato che Jean Paul Sartre descrive ampiamente nel saggio Esquisse d'une théorie des émotions.
La «pietrificazione», nel duplice senso di «vedere» ed «essere visto» cioè di «trasformare» ed «essere trasformati » in pietra, come pure l'atteggiamento di indifferenza nei confronti dell'altro sono particolari forme d'ansia derivanti dall'esistenza dell'altro come libertà: «il risucchio consiste in questo: se si sente l'altro come un libero agente, si è esposti alla possibilità di sentire se stessi come un oggetto della sua esperienza, e quindi di sentirsi prosciugare la propria soggettività. Si è minacciati dal pericolo di diventare un semplice oggetto del mondo dell'altro, senza più vita propria, senza più un essere proprio. Sotto l'effetto di questa ansia l'atto stesso di sentire l'altro come persona viene vissuto come un atto potenzialmente suicida. Questa esperienza viene brillantemente descritta da Sartre nella terza parte di L'essere e il nulla»[2].
Occorre tuttavia rilevare che mentre in Sartre l'insicurezza ontologica è un fatto originale della condizione umana, in Laing è piuttosto l'atteggiamento cui si lascia andare l'individuo schizoide: «Nessuno, più dell'individuo schizoide, si sente vulnerabile ed esposto allo sguardo di un'altra persona. Se non prova un acuto imbarazzo, una "consapevolezza" di essere guardato dagli altri, vuol dire soltanto che ha temporaneamente evitato il manifestarsi dell'ansia, e ciò con due possibili modi: o ha trasformato in oggetto l'altra persona, spersonalizzando quindi i suoi sentimenti nei suoi confronti, o ha assunto un'aria indifferente» [3]. E ancora: «essere un oggetto agli occhi di qualcuno non rappresenta, per la persona "normale", un pericolo spaventoso. Ma per l'individuo schizoide ogni paio di occhi di un suo simile significa una testa di Medusa, dotata del potere effettivo di uccidere e spegnere quel po' di vita che è in lui. Egli cerca perciò di prevenire la sua pietrificazione pietrificando gli altri, e gli pare, così facendo, di poter raggiungere una certa sicurezza» [4].
Va detto tuttavia
che lo stesso Laing, in definitiva, sembra piuttosto restio a parlare di una
normalità standardizzata e le sue stesse esperienze cliniche vanno piuttosto
nel senso di mettere in crisi, anche sotto questo profilo, le tesi classiche
della psichiatria. E' nota peraltro la collaborazione tra Ronaid Laing e David
Cooper, autore quest'ultimo, tra l'altro, di Psychiatry and Anti-Psychiatry, (Tavistock, Londra, 1967),
un’opera che tutto è tranne un riconoscimento della tradizione psichiatrica e
della sua concezione di normalità.
L'influenza di Sartre è inoltre visibile nella descrizione che Laing fa della condizione schizofrenica, sia dal punto di vista del paziente, sia dal punto di vista del mondo nel quale il paziente vive: «Ma se una persona non agisce nella realtà, ma solo nella fantasia, diviene essa stessa irreale. Il "mondo" affettivo di questa persona si immiserisce e si dissecca; la "realtà" del mondo fisico e delle altre persone cessa di essere usata come palestra per l'esercizio creativo dell'immaginazione, e perciò perde sempre più il suo stesso significato. La fantasia, non essendo né immersa in qualche misura nella realtà, né ricevendo iniezioni di "realtà" che possano arricchirla, si svuota e si volatilizza sempre più. E l'io, la cui relazione con la realtà è già tenue, perde sempre più il suo carattere reale e ne acquista uno sempre più fantastico, occupato com'è sempre di più in rapporti fantastici con i suoi fantasmi (immagini)»[5]
Come pure la spiegazione che il Laing da del fenomeno allucinatorio, in quanto questo consiste nella confusione che interviene a livello del rapporto io-non io, rivela chiaramente la matrice sartriana. Così Laing descrive l'esperienza di una allucinata: «Insieme con la tendenza a percepire aspetti del suo essere come dei non-lei, si aveva un'incapacità di discriminare fra ciò che «oggettivamente» era lei o non-lei. Questo è semplicemente l'altro aspetto della mancanza di una frontiera ontologica generale. Per esempio la paziente poteva credere che le gocce di pioggia che le cadevano sul viso fossero le sue lacrime» [6].
La ricerca degli influssi sartriani nella psichiatria di Laing potrebbe continuare a lungo: mi limito a riportare ciò che lo stesso Laing riferisce esplicitamente come contributo di Sartre o ciò che sottintende chiaramente il discorso sartriano.
Per il comportamento elusivo, che è una manovra del soggetto, mediante simulazione, tendente a modificare la propria posizione originaria verso se stessi e/o gli altri e le cose [7], Laing richiama come esemplificativi due comportamenti di malafede descritti da Sartre in L'Etre et le Néant: il cameriere che gioca ad essere cameriere e la ragazza che seduta al caffè con un uomo discute con lui della teoria platonica dell'amore e che improvvisamente si sente prendere una mano dal suo interlocutore[8].
Per il comportamento collusivo, che è una manovra interpersonale «in cui ciascuno gioca volontariamente al gioco altrui, magari senza rendersene completamente conto»[9], Laing si richiama alla situazione descritta da Sartre nella pièce Huis Clos.
Infine, per la
relazione amorosa che, in un certo senso, è la comunicazione più completa tra
l'io e l'altro, Laing può scrivere sulla scia di Sartre: «Nessuna teoria dei
rapporti fra uomo e donna, per esempio, può consentire che si trascuri il fatto
che ciascuno non cerca nell'altro solo un oggetto dal quale possa ottenere gratificazione,
ma anche una persona da gratificare, che l'uomo e la donna ricercano
nell'altro, in una relazione amorosa, non solo un mero oggetto grazie al quale
possano raggiungere, più o meno sinceramente, lo stato di tumescenza e
detumescenza, ma una esperienza unitaria, fisicamente intima ed eccitante,
dalla quale ciascuno possa trarre la consapevolezza non solo di possedere il
mondo intero attraverso il possesso dell'altro, ma anche quella di costituire,
se pure per pochi istanti, il mondo intero
per l’altro»[10].Laing
utilizza poi questa analisi per mostrare come la maggior parte dei soggetti si
sforzi «di occupare il primo posto, se non l'unico posto di rilievo, nello
schema del mondo di almeno un'altra persona» [11] sino
agli eccessi del paranoide, per il quale non si tratta più di vivere nel
proprio mondo, ma «per proiezione magica nel mondo degli altri» [12].
sergio magaldi
[1] Cfr. H. Ishiguro, L'immaginazione in AA.V.V., Filosofia analitica
in-glese, Lerici, Roma, 1967, p. 192.
[2] Cfr. R.D. Laing,
L'io diviso, Einaudi, Torino, 1969, p. 56.
[3] Ibidem, p. 87.
[4] Ibidem, pp. 87-88.
[5] R. Laing,
op. cit., pp. 97-98.
[6] Ibidem, p. 222.
[7] Cfr. R.D. Laing, L'io e gli altri. Sansoni,
Firenze, 1969, p. 44.
[8] Cfr. J.P. Sartre, L'essere e il
nulla, II Saggiatore, Milano, 1964, p. 100 e 95-96 e R.D. Laing, L'io e gli
altri, pp. 42-46.
[9] Cfr. R.D. Laing,
L'io e gli altri, p. 126.
[10] Ibidem, p. 159 (Cfr.
J.P. Sartre, L'essere e il nulla,trad.it., p. 453).
[11] Ibidem.
lunedì 15 aprile 2024
La tradizione celtica nei romanzi di Orio Giorgio Stirpe – Druidi, Bardi...
mercoledì 27 marzo 2024
Le quattro libertà fondamentali – Per un Mondo come ‘dovrebbe essere’
domenica 24 marzo 2024
RILEGGERE SARTRE (P.6a: Sartre e il maggio francese)
Circa un anno fa, Riccardo De Benedetti
su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava subito una
risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.
Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società e del mondo in cui viveva. È certamente vero, almeno sino al maggio francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica, limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.
A questo punto, conviene chiedersi con De Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire, sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.
Il “poco” che resta di Sartre è dunque una riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua pubblicazione (1943-2023).
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Per una rilettura, il più possibile completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.
Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle
polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post:
Si vedano ancora, su Sartre in generale, i
video youtube seguenti:
RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di L’essere
e il nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023
Un'esistenza che precede l'essenza
Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo
Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di
Jean-Paul Sartre
Siamo condannati alla libertà.
SEGUE DA:
https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p2a-sarte-filosofo.html
https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p-1a-sartre-narratore.html
Sartre e il Maggio francese
Come è stato giustamente osservato, né
«dai rapporti di produzione assunti solo come ambito oggettivo di relazioni» né
«dalla negazione della temporizzazione sembra possibile giungere alla
spiegazione di un evento la cui dinamica è risultata sostanzialmente fondata
sopra la interiorizzazione del futuro»[1]
Althusserismo e strutturalismo — benché
quest'ultimo si proponga soltanto come una metodologia delle scienze umane —
appaiono inadeguati come discorso complessivo a reggere il confronto con la
nuova Weltanschauung che il maggio, come affermazione dialettica della lotta di
classe, imprevedibile secondo una pura analisi strutturale, è in grado di
offrire. In questo senso taluni hanno parlato della rivoluzione di maggio come
di una rivoluzione sartriana.
Ciò che, forse, non è nelle intenzioni e
nelle dichiarazioni degli studenti [2], ma se
si può parlare di una filosofia» del maggio, questa — si è osservato — è la
filosofia di Sartre; per spiegare l'esplosione rivoluzionaria del maggio non
c'è bisogno di ricorrere a Marx o a Marcuse. Una filosofia che lo
strutturalismo si era affrettato a sotterrare aveva profetizzato il maggio
francese otto anni prima, e questa era la filosofia di Jean Paul Sartre [3]:
«Sartre ha descritto dapprima nel suo
libro le forme passive, anonime dove gli individui sono alienati — è cioè che
egli chiama il «pratico inerte» — poi egli ha mostrato come un gruppo introduce
la negazione della storia e si forgia da se stesso invece di essere forgiato,
s'inventa in rottura con questa società passiva ed anonima, che un sociologo
americano chiamava nelle medesime circostanze «la folla solitaria». Gli
studenti che hanno fatto scoppiare la rivoluzione della primavera del '68 erano
formati, se non a questa seconda filosofia sartriana, almeno a un pensiero
dialettico della storia. Maggio '68, è l’insurrezione d'una negazione «selvaggia»
nella storia. L'incursione della libertà «sartriana», non della libertà
dell'individuo isolato, ma la libertà creatrice dei gruppi [4].
Così, non si tratta tanto di riconoscere
a Sartre il merito di moralizzatore della lotta politica rivoluzionaria, come
pure osserva efficacemente Rossana Rossanda: «L'impegno politico di Sartre è
una lezione di moralità politica rivoluzionaria. La sola che a un intellettuale,
nelle condizioni di separatezza e negli anni vissuti da Sartre, fosse
consentito di sperimentare e trasmettere. Ogni altra scelta sarebbe ricaduta
nell'opportunismo: o quello di chi, con vari alibi, s'è venuto staccando da un
rapporto diretto, per disperato che fosse, col movimento operaio, o quello di
chi si sente assolto dal pensare e ripensare per avere aderito al partito
comunista. Sartre insegna a non contentarsi: la sua intransigenza si esprime
nel bisogno inacquietato di verificare volta a volta quale è, dove si trova il
fronte di classe, e là collocarsi, insieme libero e solidale. Nel rifiutare
deleghe o discipline, ma nel cercare uno schieramento, intendere i bisogni e i
doveri. Nel rifiutare i tatticismi, ma nel cercare una unità. Nell'intendere
insomma il fare politico come una rimessa in questione permanente di sé, saper
ricominciare daccapo, ricostruire a ogni passo senza residui un impegno.
Difficile separare le sue "impasses" e i suoi fallimenti da quelli di
tutta la sinistra rivoluzionaria da quarant'anni a questa parte; speranze e
sconfitte della rivoluzione occidentale hanno in lui, come in pochi altri, non
un testimone o uno storico, ma un punto singolare di precipitazione, sono
diventate una vita che tempestosamente le ha precorse e riflesse»[5].
Si tratta piuttosto quanto, senza che si
possa parlare di identificazione tra ideologia sartriana e ideologia dei
«gruppi», di sottolineare come il pensiero sartriano — in quanto tentativo
storicamente fondato di «soggettivizzare» il marxismo — rappresenti, per entro
il materialismo dialettico, l'unica alternativa al marxismo ortodosso, sia in
prospettiva rivoluzionaria, sia per la critica del potere socialista nelle
forme storicamente esistenti.
S E G U E
sergio
magaldi
[1] Cfr. P.A. Rovatti, Sartre e il marxismo strutturalistico, in Aut Aut
n.136-137, luglio-ottobre 1973.
[2] Cfr. Les animateurs parlent in La
Révolte étudiante, Seuil, Parìs, 1968.
[3] Cfr. Epistemon, Ces idées qui ont ébranlé la France,
Fayard, Paris, 1968, p. 76.
[4] Le. Monde, 30
novembre 1968.
[5]R. Rossanda, Sartre e la pratica politica, in Aut Aut n. cit., p. 40
domenica 10 marzo 2024
Viaggio nella Qabbalah – Sephiroth e Campi Quantici (p.9ª)
giovedì 29 febbraio 2024
RILEGGERE SARTRE (P.5a Sartre nella revisione della critica)
Meno di un anno fa, Riccardo De
Benedetti su Avvenire si poneva un interrogativo a cui dava
subito una risposta: “Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo”.
Sartre – osserva l’autore dell’articolo – è
sempre stato in “situazione”, con ciò intendendo dire che egli ha quasi
ininterrottamente inteso rappresentare il proprio tempo e quello della società
e del mondo in cui viveva. È certamente vero, almeno sino al maggio
francese. E proprio per questo – continua l’autore – Sartre ha finito col pagare
con la dimenticanza o addirittura con l’oblio. Vero anche questo, ma bisogna
tener conto del fallimento politico della rivoluzione che avrebbe dovuto
portare “l’immaginazione al potere” e che invece ha realizzato il successo di
quanti speravano di sbarazzarsi una volta per tutte della lotta politica,
limitandola al terrorismo più o meno compiacente e preparando, attraverso la
liberazione del costume e dei consumi, l’avvento della globalizzazione, del
cosiddetto capitalismo della sorveglianza e dell’era tecnologica.
A questo punto, conviene chiedersi con De
Benedetti se non sia venuto il momento di rileggere Sartre, tenuto conto
che, come dice, “alla sovrabbondanza della tecnica corrisponde un diminuire,
sin quasi alla scomparsa, dell’uomo”.
Il “poco” che resta di Sartre è dunque una
riflessione sul significato dell’esistenza in un mondo che ha finito per
relegare l’essere umano ai margini della Storia. L’occasione è offerta, e direi
non solo, da una nuova edizione de L’essere e il nulla proposta
di recente dal Saggiatore per festeggiare gli ottanta anni dalla sua
pubblicazione (1943-2023).
------------------
Per una rilettura, il più possibile
completa, di Sartre ripropongo di seguito in sette post la relazione, con
opportune modifiche, a suo tempo presentata per un convegno di filosofia.
Per quanto si riferisce “all’ultimo Sartre” e alle polemiche accese dai suoi scritti più recenti, suggerisco il post:
https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2019/08/le-ultime-interviste-di-sartre-lespoir.html
Si vedano ancora, su Sartre in generale, i video youtube
seguenti:
RASSEGNA STAMPA sulla nuova edizione di L’essere e il
nulla, pubblicato da Il Saggiatore il 19 febbraio 2023
Un'esistenza che precede l'essenza
Che cosa resta di Sartre? Poco, ma decisivo
Una nuova veste per "L' essere e il nulla" di Jean-Paul Sartre
Siamo condannati alla libertà.
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https://zibaldone-sergio.blogspot.com/2024/01/rileggere-sartre-p4a-sartre-nella.html
Sartre nella
revisione della critica
Già nel '48 è in atto una revisione della
critica: cominciano i cattolici, ma solo dopo che sono apparsi i primi
contributi scientifici sull'opera di Sartre. In Le problème moral et la pensée de Sartre (Editions du Myrte, Paris,
1947), F. Jeanson ricostruisce adeguatamente il senso di L'Etre et le Néant e degli scritti che vi si riconnettono. Sartre
stesso, in una breve prefazione al testo (pp. 13-14), riconosce la validità del
metodo seguito dal Jeanson nell'esposizione del suo pensiero.
Un altro autore, G. Varet, in L'ontologie de Sartre, (P.U.F., Paris,
1948) scrive: «II debito che la filosola francese ha verso Sartre consiste nel
fatto che L'Etre et le Néant è la
prima esposizione di fenomenologia sistematica che sia stata mai fatta in
Francia e la migliore introduzione alle opere dei filosofi tedeschi. Il punto
di partenza della filosofìa di Sartre è lo sviluppo sistematico della
riflessione cartesiana alla luce dell'idea husserliana di intenzionalità: il suo tentativo più valido (anche se
votato allo scacco) è quello di risolvere il problema dell'Essere ricorrendo
alla descrizione fenomenologica (pp. 1-3)». Il libro fornisce inoltre una accurata
esposizione del maggior testo filosofìco di Sartre.
Sulla scia di questi autori, Henry Duméry
nelle pagine introduttive del suo libro Foi
et Interrogation, dopo aver osservato che sul piano fìlosofìco non esiste
ateismo più virulento di quello sartriano, afferma che «bon gré mal gré»,
occorre affrontare questa filosofìa per molti aspetti sconcertante ma della
quale sono innegabili il vigore, l'influenza e l'ambiguità. D'altra parte –
continua Dumery – sarebbe disonesto
travestire per meglio rifiutarle le tesi sartriane, si tratta invece di
accostarsi a Sartre senza partito preso, soprattutto dopo aver letto gli
scritti di Jeanson, il primo dei critici ad aver valutato positivamente le
opere di Sartre. In conclusione il Duméry, pur tenendo ben ferma la sua
opposizione nei confronti dell'ateismo sartriano si augura di far comprendere
sino in fondo – nella parte del suo libro dedicata allo studio del filosofo
francese – il valore teoretico delle analisi di Sartre[1].
Con gli anni '50 si viene componendo,
nella valutazione del sartrismo, quella scissione tra critica e pubblico del
precedente decennio. La conoscenza di Sartre ha ormai varcato i confini nazionali
dando vita ad una fioritura di studi sui vari aspetti della sua opera. Anche la
critica marxista muta completamente d'orizzonte dopo l'avvicinamento di Sartre
al P.C.F. e all'U.R.S.S [2].
Nel 1960 Sartre pubblica La Critique de la raison dialectique,
frutto di una riflessione iniziata negli anni '50. I primi giudizi sono
sostanzialmente favorevoli, anche se si sottolinea talora la soluzione di
continuità tra quest'opera e L'Etre et le Néant [3], oppure
se ne afferma la continuità per porre l'accento sui medesimi vizi di fondo che
sarebbero presenti nelle due opere.
Così è per il filosofo comunista Roger
Garaudy in Perspectives de l'homme (P.U.F., Paris 3" ed. 1961 e la nuova
edizione accresciuta del 1969). La I edizione dell'opera del Garaudy è del
1959, già poteva, dunque, tener conto di “Question de méthode” che costituisce
la prefazione di Critique de la raison
dialectique. Sorvolando sull'evoluzione del pensiero sartriano (ciò che non
necessariamente è indice di frattura tra L'Etre
et le Néant e La Critique de la
raison dialectique), Garaudy ribadisce nei confronti di Sartre e
dell'esistenzialismo l'accusa di irrazionalismo e sostiene la contraddittorietà
dell'esistenzialismo sartriano costretto a scegliere tra un atto di fede
irrazionale e una integrazione con il marxismo che non potrebbe realizzarsi se
non con l'abbandono delle premesse irrazionali dell'esistenzialismo stesso. Il
libro contiene anche (pp. 111-114, I ed.) una lettera-risposta di Sartre: in
precedenza, infatti, Garaudy gli aveva sottoposto il manoscritto pregandolo di
commentarlo. In tale lettera Sartre ribadisce la piena conciliabilità tra
esistenzialismo e marxismo secondo quanto aveva già sostenuto in “Question de mèthode”.
Un violento attacco alle posizioni della
«Critique» è portato da Lévy-Strauss nel capitolo conclusivo di La pensée Sauvage (Paris 1962) ed è già
preludio alla cosiddetta svolta degli anni Sessanta in cui si comincia a
parlare di crisi del sartrismo nonostante l'attribuzione del Nobel a Sartre nel
'64, premio peraltro rifiutato.[4] .
La polemica che la « nuova » cultura
francese conduce nei confronti del sartrismo incalza e l'interesse per Sartre
decresce a misura che si afferma l'interesse per lo strutturalismo
(Lévy-Strauss, Foucault), per la psicanalisi (Lacan) e soprattutto per il
marxismo strutturalistico di Althusser. D'altra parte, proprio agli inizi degli
anni Sessanta si viene sviluppando in Francia un attacco contro la filosofia da
parte delle scienze umane. Ciò comporta, non solo una attenuazione d'interesse
per il Sartre filosofo (il quale continua ad assegnare alla filosofia il
compito di una analisi totalizzante del reale), ma anche per il Sartre marxista,
dal momento che, fermo restando l'oggettivismo del marxismo ortodosso, il
materialismo storico dialettico appare sempre meno interessato al tentativo
sartriano di «soggettivazione» e, per contro, sempre più sollecitato ad
utilizzare epistemologia e scienze umane, privilegiando — di contro al
soggetto e alla prassi storica — il concetto di struttura. Ma. Come si vedrà,
la stessa realtà francese si appresta a ridimensionare il marxismo
strutturalistico con l'esplosione rivoluzionaria del maggio del '68.
[1] Cfr. H. Duméry, Foi et Interrogation, Téqui,
Paris, 1953, p. XIII. L'opera comprende una sezione (La question Sartre, pp.
73-123) che raggruppa scritti su Sartre che vanno dal '
Per i rapporti di Sartre con il comunismo, sino al 1970, si rimanda al citato
libro di F. Fé.
[2] Per i rapporti di
Sartre con il comunismo, sino al 1970, si rimanda al citato libro di F.
[3] Così S. Doubrowsky
in Nouvelle Revue Française, sett.-ott.-nov. 1961.
[4] Sulla questione relativa al rifiuto del premio
Nobel da parte di Sartre si vedano di M. Contat-M. Rybalka, op. cit., le pp.
401-408. Cfr. inoltre: R. Jean, Non récupérable, ou Sartre prix Nobel, in «
Cahiers du Sud », nov.-dic., 1964.
S E G U E
sergio magaldi