venerdì 27 settembre 2013

IL BELPAESE DISMESSO




  Mentre il governo delle larghe insolvenze del neodemocristiano Letta cerca attraverso le dismissioni pubbliche di racimolare qualche spicciolo [che, al solito, sarà tolto dalla tasca degli italiani e non da qualche taglio sugli sprechi] per compiacere i padroni tedeschi e i loro mandanti, per evitare le dimissioni di Saccomanni, l’uomo di fiducia di Draghi e del Quirinale, e per sopravvivere a se stesso, evitando, ma solo per qualche mese, di ripristinare l’ IMU sulla prima casa e di aumentare l’IVA, l’Italia dell’imprenditoria e dei banchieri, dei manager pubblici e privati, non è da meno di quella dei politici.





  Il Belpaese dismette definitivamente Telecom Italia a vantaggio della Telefónica spagnola e si accinge a vendere quel che resta di Alitalia a Air France, con ciò bandendo per sempre dalla penisola il Mercurio alato, simbolo della comunicazione in rete e nello spazio. E c’è già chi dice che la Pirelli dell’ineffabile Marco Tronchetti Provera potrebbe nel breve tempo subire la stessa sorte o quasi, mentre Bulgari, Parmalat, Valentino, Gucci e tante altre prestigiose aziende italiane risultano già dismesse o in procinto di esserlo e la Fiat diventa sempre più americana, anche perché gli italiani non comprano più Fiat, Lancia e Alfa Romeo ma auto tedesche, francesi, giapponesi e nordcoreane. E, come sempre, il buon esempio è fornito dalla folta schiera delle auto di rappresentanza, in prevalenza tedesche, di ministri, viceministri, parlamentari e autorità varie.

 Sul fronte dell’acciaio, c’è poi il sacrosanto decreto della Magistratura che ha portato al commissariamento dell’Ilva di Taranto, per inquinamento ambientale, e che ha determinato – per mancanza di liquidità, sostiene la proprietà – la successiva chiusura di 10 [o 13, come scrive qualcuno] stabilimenti dello stesso Gruppo. Il governo sembrerebbe accingersi su pressione dei sindacati e di 1400 lavoratori licenziati, a risolvere da par suo la delicata questione di Riva Acciaio, con un decreto, non si sa bene quanto legittimo [vedi il post Terzo Potere ], che servirà a commissariare dopo l’Ilva, anche gli stabilimenti del nord.





  Insomma tutti i nodi della politica e dell’economia, stanno venendo a galla, mostrando una classe dirigente sempre più sollecita del bene comune, perseguito attraverso i tanti privilegi corporativi, la corruzione, il finanziamento della politica, l’inquinamento ambientale, i falsi in bilancio, l’evasione fiscale, i superstipendi, le superliquidazioni e le superpensioni di manager pubblici e privati responsabili del fallimento di enti, banche e imprese, e ancora attraverso i lucrosi dividendi dei grandi azionisti che, a spese dei piccoli risparmiatori, prima spolpano bene le aziende e poi le gettano via, abbandonandole al loro destino nelle mani di gruppi finanziari europei e internazionali che per una manciata di euro o di dollari ne rilevano il marchio. Gli stessi manager che costringono il denaro pubblico, cioè le tasse dei contribuenti, a confluire nelle casseforti delle banche, svuotate da speculazioni sbagliate e/o dalla connivenza con la politica.







 In questo quadro e con questa classe dirigente c’è ancora qualcuno disposto a sostenere che i mali dell’Italia dipendano tutti dalla Merkel e dalla Germania e che si risolverebbero d’incanto con la nascita dell’Europa politica, l’emissione degli eurobond, la moneta sovrana e l’aumento del debito pubblico? Certo, ai tedeschi conviene lasciare l’Italia e il sud europeo nel rigore, nella recessione e nella decrescita economica, ma l’idea che la rinascita italiana si leghi all’avvento dell’Europa politica non è forse un’utopia che fa il paio  con  la predica del rigore che, via Berlino, Francoforte, Bruxelles e i poteri forti che ne ispirano la politica, promette il risanamento economico e lo sviluppo?

 Si dice giustamente che senza che si aprano i cordoni della borsa, senza lo sforamento del 3% del rapporto PIL - debito pubblico, non c’è possibilità di crescita per il nostro Paese, avviato ormai, come certifica un rapporto compilato in questi giorni a Bruxelles, ad una progressiva deindustrializzazione e alla cronica stagnazione economica. Non si dice invece cosa farebbero i governi italiani con più denaro a disposizione, non importa come reperito - se per l’avvento dell’Europa politica e tutto il resto, o semplicemente in virtù del consenso tedesco a sforare il famoso 3% -. Non si dice, perché s’intuisce bene dove i soldi così disponibili andrebbero a finire. Manca infatti un qualsiasi piano produttivo di rilancio dell’economia da parte di questo vergognoso ceto politico e imprenditoriale e, se ci fosse, non sarebbe credibile, modellato sugli esempi del passato, con una burocrazia e un’amministrazione ferma nel tempo, un sistema giustizia per il quale l’Europa ha aperto un procedimento di infrazione che potrebbe terminare con pesanti sanzioni economiche, un Paese le cui infrastrutture non si rinnovano da quarant’anni e in cui le organizzazioni malavitose la fanno da padrone.   


 I tedeschi sanno benissimo tutto questo e se ne fanno un alibi per pretendere il rigore dall’Italia, forse più che dagli altri paesi europei [la Francia ha già superato il 4% del rapporto PIL - debito pubblico, la Spagna il 6%]. D’altronde, storicamente, La Germania ha sempre avuto un debole per l’Italia ed è ben contenta di poterla avere finalmente in una sorta di amministrazione fiduciaria. Intanto il clima nel nostro Paese è sempre più quello del “prendi e scappa”, con i politici intenti ad arraffare quanto più è possibile, mantenendo scorte di difesa personale che per numero sono ormai dei veri e propri piccoli eserciti; con il 10% di cittadini che detiene gran parte della ricchezza privata; con i capitali che fuggono all’estero mentre sul territorio nazionale è aperto il mercato per la svendita a tutti gli stranieri di buona volontà di ciò che ancora resta del Belpaese.

 Questa analisi sembra improntata al pessimismo, e invece è appena una traccia superficiale della crisi profonda e irreversibile che attanaglia la penisola. Cosa resta da fare alla maggioranza degli italiani? Intanto cacciare per via democratica, con l’arma del voto, questa nefasta e corrotta classe politica, assieme alla corte dei falsi manager e banchieri di carta con cui per anni ha diviso la torta, poi sperare… Sperare che si affermi una nuova classe politica e imprenditoriale.

 Per il momento, tuttavia, ci si può solo consolare con il privilegio di avere nella città eterna, ben due papi che, per la prima volta nella Storia, discutono con illustri [si fa per dire…] privati, a mezzo stampa, di ateismo, fede e massimi sistemi.   


sergio magaldi

martedì 24 settembre 2013

LO SPECCHIO DELL' IMMORTALITA'




  333 La formula segreta di Dante è il titolo italiano del romanzo The Medusa Amulet dell’americano Robert Masello, pubblicato dalla Newton Compton editori. Più che di un grande thriller, come annuncia pomposamente la copertina del libro, parlerei di un romanzo metastorico scritto con mestiere che racconta avventure capaci di accendere la fantasia dei lettori attratti dall’occulto e dalla magia. Nulla a che vedere con la letteratura del cosiddetto realismo magico, perché qui è la magia a prendere il sopravvento sulla realtà e, per così dire, a plasmarla.

 Un doppio equivoco è già contenuto nel titolo italiano: il riferimento al numero 333 e ad una improbabile formula segreta di Dante, laddove  del “divino” poeta si parla unicamente nelle cinque pagine del Prologo, a proposito di un esperimento di negromanzia. In realtà, il 333 assume diversi significati nell’universo dantesco: 3 sono le cantiche della Divina Commedia e 33 i canti [non considerando quello che funge da introduzione], in terzine, di cui si compone ciascuna cantica. La somma esoterica dei 145 versi del Paradiso è 1+4+5=10, somma che divisa per il numero che Dante considera sacro, il 3, perché simbolo della trinità, dà 3,333. C’è di più, il 333 rappresenta per i cristiani il mistero del Dio uno e trino, ed ha nel 666, che gli si contrappone per duplicarlo e desacralizzarlo, il numero citato nell’Apocalisse come quello della bestia:

«Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei» [Apocalisse 13,16-18].







  Il numero della bestia dell’Apocalisse divenne successivamente il numero di Satana, in base a ghematrie errate, perché in ebraico Satàn, formato dalle lettere Shin [300]-Teth [9]-Nun [50] ha valore numerico 359 e il riferimento a Cesare Nerone, come incarnazione del diavolo, dà come ghematria 900 [Nun-Resh-Nun Nerone Quf-Shin-Resh Cesare] cioè 50+200+50 e 100+300+200 =900, mentre il 666 si ottiene solo trascrivendo erroneamente la ghematria ebraica con le lettere dell’alfabeto greco.

 Non c’è dubbio, tuttavia, che Satana rappresenti per Dante la sovrabbondanza e la caricatura: il numero dell’unità trinitaria che, per imitare Dio, duplica se stesso, da 333 a 666, la sua statura di gigante e il 3 che, da simbolo di perfezione, diviene il numero per contare le sue tre facce mostruose:




 « [...] Lo 'mperador del doloroso regno
da mezzo 'l petto uscia fuor de la ghiaccia;
e più con un gigante io mi convegno,

che i giganti non fan con le sue braccia:
vedi oggimai quant' esser dee quel tutto
ch'a così fatta parte si confaccia.

S'el fu sì bel com' elli è ora brutto,
e contra 'l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui procedere ogne lutto.

Oh quanto parve a me gran maraviglia
quand' io vidi tre facce a la sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia;

l'altr' eran due, che s'aggiugnieno a questa
sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
e sé giugnieno al loco de la cresta:

e la destra parea tra bianca e gialla;
la sinistra a vedere era tal, quali
vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla.

Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
quanto si convenia a tanto uccello:
vele di mar non vid' io mai cotali.

Non avean penne, ma di vispistrello
era lor modo; e quelle svolazzava,
sì che tre venti si movean da ello:

quindi Cocito tutto s'aggelava.
Con sei occhi piangëa, e per tre menti
gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.

Da ogne bocca dirompea co' denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso 'l graffiar, che talvolta la schiena
rimanea de la pelle tutta brulla. [...] »

(Dante Alighieri, Divina Commedia, "Inferno", XXXIV.,28-60)



  Tutto ciò premesso, Dante – come dicevo – ha poco a che fare con questo romanzo che invece è incentrato soprattutto sulla figura di un grande artista del XVI secolo: Benvenuto Cellini, la cui opera più significativa è il Perseo che solleva in alto la testa tagliata della Gorgone. Mirabile statua in bronzo che orna la Piazza della Signoria a Firenze.











  La trama del libro è piuttosto semplice, ancorché complesse siano le vicende narrate. David Franco è un giovane studioso di arte e letteratura italiana del Rinascimento che vive a Chicago e fa parte dello staff della Newberry Library, una biblioteca privata fondata dal 1883. La ricca Kathryn Van Owen fa dono alla biblioteca di una copia della Divina Commedia del 1534 e di altro materiale antico tra cui è uno scritto intitolato La chiave della vita eterna e il disegno in forma circolare della Medusa Gorgone. Il compito di studiare tutto il materiale tocca naturalmente a David, l’esperto:


Testa di Medusa di Caravaggio



 “Era uno specchio”, disse la signora Van Owen, rispondendo alla sua domanda inespressa. “La Medusa, così fu chiamata l’opera”.
 In effetti, il nome era scritto sulla pagina. E anche lo schizzo del retro ora aveva un senso:era semplicemente uno specchio. “Ma lei sa chi lo ha disegnato?”. David esaminò la pagina in cerca di una firma, ma non ne trovò nessuna. D’altronde, mancava anche delle pagine precedenti.
“Sì”.
David rimase in attesa.
“Tutto questo, incluso il volume di Dante, è opera del più grande e versatile artigiano che sia mai vissuto, disse, guardandolo fermamente negli occhi. “Benvenuto Cellini” […]
Dopo alcuni istanti in cui rimase come stordito,domandò:”Cosa vuole che faccia?”. Già non vedeva l’ora di iniziare le ricerche. “Accertare la paternità delle opere?”
 La signora Van Owen si accigliò di fronte a una simile proposta. “Non c’è dubbio sulla loro autenticità”.[…]”Allora cosa vorrebbe che facessi?”[…]”Voglio che lo trovi”.
 “Lo specchio?”, domandò incredulo. Per chi l’aveva preso per Indiana Jones? […] “Un gemmologo o un esperto di gioielli antichi non sarebbe una soluzione migliore?”, replicò.
 La signora Van Owen fece una smorfia. “Ho già tentato quella strada. Non sono approdati a nulla. Per trovarlo ci vuole uno studioso; adesso ne ho la certezza”.
 “È possibile”, azzardò David, quasi timoroso di esprimere il proprio pensiero, “che non l’abbiano trovato perché non esiste?”
 “La Medusa, ribatté, con un tono che non tollerava dissensi, “esiste”.
 Guardando in quegli occhi viola freddi e penetranti, David on ebbe dubbi. Non che avrebbe osato averne.
 “E per trovarla”, concluse, “ho bisogno di lei”.   [Op.cit., pp.67-68].

 Così tra David e Kathryn sarà concluso uno speciale contratto, il giovane studioso andrà in cerca dello specchio di Benvenuto Cellini, di cui la bella signora dagli occhi viola gli rivela le proprietà taumaturgiche, e, se lo troverà, riceverà in cambio un milione di dollari e soprattutto la possibilità di usare il prezioso gioiello per risanare l’amata sorella Sarah, malata terminale di cancro.








 Da Chicago a Firenze hanno così inizio le avventure di David. Nella città di Benvenuto Cellini, tra Ponte Vecchio e la Loggia dei Lanzi, egli s’imbatte in Olivia Levi, una guida turistica che scrive libri sulle grandi opere di tanti artisti fiorentini. I due, tra i quali naturalmente nascerà la passione, si ritroveranno insieme nella medicea Biblioteca Laurenziana, nel tentativo di scovare indizi per la ricerca del magico specchio.




  Scopriremo presto, passando di avventura in avventura, di epoca in epoca, di città in città, che personaggi celebri dell’arte e della storia che credevamo morti, vivono ancora con false identità, grazie al potere dello specchio che dona la “maledizione” dell’immortalità.



















 Un romanzo, insomma, che si legge piacevolmente, una volta accettato l’irreale magico che ne sorregge la narrazione. Anche se il finale è scontato, infatti, la conclusione è pur sempre quella che si attendono i lettori, con il ritorno alla normalità e alla realtà della vita scandita dalle lancette inesorabili del tempo.


sergio magaldi

giovedì 19 settembre 2013

PARTE LA CHAMPIONS MA NON SI VEDE LA CILIEGINA SULLA TORTA DELLA JUVE...



  Nel primo turno di Champions League vincono Napoli e Milan, pareggia la Juve nella partita più facile contro il Copenhagen, decimo in classifica nel campionato del suo Paese, su dodici squadre partecipanti.








 Si diceva che con gli acquisti di Tevez e Llorente, la squadra bianconera sarebbe stata più competitiva in Europa, potendo disporre di grandi punte… in particolare l’arrivo dell’argentino avrebbe avuto l’effetto della ciliegina sulla torta… A parte il fatto che Llorente non è mai stato schierato in partite ufficiali e che la ragione del suo acquisto è sempre più un mistero, Tevez non è una grande punta, è bensì un ottimo attaccante di manovra, in grado di far partire l’azione offensiva dal centrocampo o addirittura dalla difesa. D’altra parte, nella Juve di Conte non viene utilizzato come punta né viene servito in area avversaria, se non da qualche raro lancio di Pirlo. È lui piuttosto a dover servire punte che non si vedono… in Campionato come in Champions.







 Insomma, non ha tutti i torti l’allenatore della Juventus nel sostenere che la squadra si è persino indebolita rispetto all’anno passato. Con buona pace di addetti ai lavori e giornalisti competenti che hanno additato nel mercato della Juve un esempio da seguire per rafforzare progressivamente un collettivo già ottimo, senza rivoluzioni e senza dissanguarsi economicamente.

 Venduti Matri e Giaccherini, sono arrivati, Tevez a parte, solo giocatori per la panchina. Pirlo non è più quello di due anni fa e nemmeno quello dell’anno scorso, Barzagli che per due anni è risultato decisivo nell’organizzazione difensiva, risente di età e infortuni, Vucinic aggiunge al rendimento solitamente altalenante, la scarsa condizione fisica dovuta forse ai postumi di un recente infortunio. Chiellini colpisce anche a rete ma poi combina pasticci incredibili, come quello che ha causato il vantaggio dell’Inter nell’ultima sfida di campionato. A tratti, la squadra corre come la nazionale [cioè cammina], mentre uno dei punti di forza di questa Juve era proprio la velocità.






 Si è scritto che il pareggio di Copenhagen –  peraltro meglio di una sconfitta, per merito di Quagliarella che non è certo un cannoniere e che comunque stava per essere ceduto nel recente mercato – sia frutto delle parate del portiere avversario. È vero, tanti attacchi bianconeri respinti, ma per quali tiri? Palle sbilenche o buttate in braccio al portiere, errori sottoporta a non finire, perché a tirare sono sempre i centrocampisti o i difensori che arrivano spossati sotto rete.  

 Tempo fa esprimevo il “ragionevole dubbio che anche l’acquisto di una grande punta [che probabilmente non sarà mai fatto] sarebbe vanificato nelle dinamiche di gioco di questa Juve” [Post del 26 Novembre 2012: “Il Milan battela Juve con la mano di…”] e che “il modulo di gioco di questa Juve è il suo punto di forza ma anche il suo limite: la manovra ‘ariosa e a tutto campo’ pare fatta apposta per gli inserimenti dei centrocampisti e dei difensori ma risulta letale per le punte che, per avere palle giocabili, possono contare solo sui lanci di Pirlo [Post del  7 Novembre 2012 “LaJuventus cade nel derby d’Italia…] e ancora che “L’ideale di Conte, in fondo è di avere in squadra 10 terzini che sappiano anche fare goal! Per dirla più elegantemente, egli vuole tutti giocatori di movimento che all’occorrenza sappiano difendere e attaccare [Post del 28 Febbraio 2012 “Milan-Juve 1-1 ma sarebbe 2-2…” ].

 Naturalmente non c’è la controprova di queste affermazioni, anche perché una grande punta non è mai arrivata a Torino e bisogna riconoscere a Conte il merito di aver portato un ottimo collettivo, privo di grandi campioni, a vincere due volte di seguito lo scudetto e a piazzarsi tra le prime otto squadre d’Europa. Penso però che il miracolo sia irripetibile e spiace solo che la società non abbia voluto prenderne atto, ritenendo sufficiente che bastasse, per continuare a inanellare successi, l’adeguamento economico del contratto del suo allenatore, certamente uno dei più bravi e ricercati in Europa.

 Detta brutalmente, questa Juve non ha alcuna speranza di fare molta strada in Europa e anche nel Campionato faticherà non poco a tenere posizioni di vertice: il Napoli visto contro i vicecampioni europei del Borussia Dortmund ha un organico decisamente più funzionale di quello della Juve, con una grande punta e due o addirittura tre ottimi attaccanti che lo supportano, senza contare l’esperienza internazionale e vincente del suo allenatore. C’è poi anche l’Inter che Walter Mazzarri sembra aver rinnovato e che probabilmente si rafforzerà ancora in Gennaio, c’è la Fiorentina di Giuseppe Rossi, la Roma imprevedibile di quest’anno che potrebbe persino lottare per lo scudetto e infine il Milan che parte sempre lentamente ma che raramente fallisce nel momento decisivo del Campionato e che prima o poi potrebbe giovarsi dell’intesa Matri-Balotelli. Come se tutto ciò non bastasse, per la Juve c’è anche la difficoltà rappresentata dalla legge dei grandi numeri: vincere tre volte di seguito lo scudetto è molto difficile, per non dire quasi impossibile! Se Antonio Conte dovesse farcela con questo organico, la sua sarebbe davvero un’impresa da ricordare nella storia e nella leggenda del calcio. 

sergio magaldi








domenica 15 settembre 2013

TERZO POTERE





  In uno stato di diritto la divisione dei Poteri – legislativo esecutivo giudiziario – è, come si suol dire, sacra. In una democrazia, tuttavia, che voglia evitare la paralisi, tali Poteri non dovrebbero mai confliggere tra loro. Anche perché il risultato sarebbe proprio il contrario del principio che si pretende affermare in punta di diritto: non la divisione ma la confusione dei Poteri.

 Può anche accadere che in uno stato democratico, o che tale si dichiari comunque nei suoi principi costituzionali, il prevalere di un Potere  dipenda dalla debolezza degli altri, dalla necessità cioè di supplire alle loro inadempienze e manchevolezze. Ben più inquietante, la degenerazione di uno dei Tre Poteri. Nel caso del potere esecutivo, il rimedio è a portata di mano, bastando un voto di maggioranza dei rappresentanti del legislativo per porre fine alla vita di un governo che abbia travalicato dai propri limiti, più arduo il problema quando il sistema degenerativo tocchi uno degli altri due Poteri.

 Per esempio, in un paese in cui sia evidente la corruzione dei giudici e/o il loro atteggiamento fazioso e persecutorio, quali rimedi si configurano da parte di esecutivo e legislativo per porre fine al fenomeno? Pochi, perché in uno stato democratico sono gli organi di governo della magistratura a dover intervenire nei confronti di giudici corrotti o faziosi. Misure parzialmente efficaci possono essere quelle preventivamente introdotte nell’ordinamento costituzionale, come la responsabilità oggettiva dei giudici, la separazione delle carriere tra la funzione inquirente e quella giudicante e soprattutto, anche se di difficile attuazione, norme per scongiurare la progressiva formazione di una corporazione, chiusa in se stessa e autoreferenziale. Il che presuppone, nella prassi concreta, quantomeno l’esistenza di una classe politica illuminata capace di supplire alle mancanze del potere giudiziario senza tuttavia sostituirsi ad esso, perché in tal caso cesserebbe automaticamente di esistere lo stato di diritto.

 Va da sé che la stessa cosa accadrebbe qualora la degenerazione riguardasse contemporaneamente il potere legislativo e quello giudiziario perché, allora, diritto e democrazia diverrebbero vuote formule e i cittadini sudditi sottoposti al capriccio e all’arbitrio di una oligarchia politico-giudiziaria. In tale prospettiva, non rimarrebbe al cittadino-suddito che appellarsi al cosiddetto Quarto Potere [mass media], sempre che questo abbia mantenuto la propria autonomia e non sia stato fagocitato dal denaro e/o dalle manette per i suoi rappresentanti più liberi e recalcitranti.







  C’è infine il caso in cui sia proprio il Terzo Potere a dover supplire all’inefficienza, alla corruttela, alla trasformazione in casta degli altri due poteri. Si dice che questo sia avvenuto in Italia, all’epoca di tangentopoli, quando diversi magistrati sentirono il dovere di cercare di porre fine all’inquinamento della politica, ricevendo in cambio il giusto plauso dei cittadini e alcuni tra loro [ma non tutti!] spianando la strada a se stessi per future e folgoranti carriere politiche. Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, ma la classe politica non sembra aver imparato la lezione, o meglio l’ha imparata alla grande e, quasi con più vigore e determinazione di allora, forse con maggiore astuzia, ha ripreso a camminare sulla vecchia strada, preoccupata soltanto che i privilegi di casta non vengano intaccati anche quando, in regime di austerità, si continuano a chiedere sacrifici ai cittadini-sudditi.

 Bene, come in un quadro già visto, anche il Terzo Potere occupa naturalmente il suo spazio, riprendendo con più vigore di prima, in virtù del ruolo avuto nel recente passato e per le esigenze del presente – in un Paese dove la casta della politica è sempre più al servizio di se stessa, limitandosi, per ciò che riguarda l’Italia e i cittadini-sudditi ad eseguire gli ordini di Bruxelles e Francoforte – , la sua giusta azione a tutela della legalità. Può così avvenire che un magistrato, giustamente preoccupato dall’inquinamento ambientale, sequestri un milione e settecentomila tonnellate di acciaio prodotto dall’Ilva di Taranto del Gruppo Riva, il primo nella siderurgia italiana, il secondo in Europa; che ordini il sequestro di 8,1 miliardi di euro nei confronti del Gruppo, tanto valutando il Gip la spesa per “la mancata messa in opera delle strutture necessarie all’ambientalizzazione dello stabilimento di Taranto” e che solo pochi giorni fa la Finanza di Taranto proceda ad un ulteriore sequestro di circa un miliardo di euro, fra beni e servizi, nei confronti della citata proprietà.







 Per carità, i provvedimenti saranno sicuramente tutti giusti e conformi alla legge, ma se fosse vero che, in particolare il provvedimento di 4 giorni fa, impedirebbe al Gruppo Riva, di disporre della liquidità necessaria per continuare a far funzionare i 7 stabilimenti del nord, dovremmo domandarci, alla luce di ciò che si diceva prima a proposito della divisione dei Poteri in uno stato democratico, se non sia intervenuta una misura del potere giudiziario tale da interferire nella sfera di competenza degli altri poteri, considerando che la produttività dell’acciaio, la salvaguardia di 1400 posti di lavoro e la relativa crisi di aziende fornitrici che ruotano attorno alla produzione dell’acciaio attengono alle competenze dell’esecutivo e del legislativo, insomma fanno parte dell’attenzione dovuta all’economia e alla politica da parte di Parlamento e Governo.

 In altri termini o il Gip è ricorso al provvedimento di alcuni giorni fa avendo consapevolezza che l’ulteriore sequestro di beni e servizi non avrebbe compromesso la regolare attività degli stabilimenti del nord gestiti dal Gruppo Riva, cosa che a lume di naso parrebbe anche possibile considerando la consistenza economica dell’impresa, oppure ha torto il segretario nazionale della Fiom Cgil, Maurizio Landini, nel ritenere la chiusura di detti stabilimenti “un atto di drammatizzazione inaccettabile” e, in ogni caso, egli ha torto di sicuro nel richiedere al governo il commissariamento di tutte le società controllate da Riva Acciai, dimenticando o ignorando che il commissariamento dell’Ilva di Taranto si rese possibile in virtù del provvedimento della magistratura, ma che a carico degli stabilimenti del nord non risultano inadempienze e relativi provvedimenti giudiziari.

 Più equo e mirato sembra il giudizio di Marco Bentivogli, segretario nazionale di Fim Cisl, perché, mentre diffida il Gruppo Riva dal dare seguito al blocco delle attività, chiede alla procura di “scorporare dal provvedimento di confisca tutto ciò che impedisca la normale prosecuzione dell’attività produttiva e lavorativa”. Richiesta che viene da un sindacato, e che l’esecutivo non sembra intenzionato a fare propria, né nella persona del ministro Flavio Zanonato, determinato più che altro e unicamente a chiedere al Gruppo Riva la riapertura degli stabilimenti chiusi, né in quella dell’ineffabile presidente Enrico Letta che, nello stile che gli è consueto, si è limitato a esprimere il suo rammarico e la sua solidarietà per i lavoratori rimasti senza occupazione.

 C’è da aspettarsi qualcosa di diverso dal governo delle cosiddette larghe intese? Un esecutivo timido come una ragazzina con l’Europa - avrebbe detto Kafka -, tenuto in bilico sul ciglio del burrone dalla vicenda Berlusconi, solo autoreferenziale nel ritenere di avere bene operato sin qui, più per i provvedimenti annunciati che per quelli finora realizzati, che si sostanziano nella provvisoria soppressione dell’IMU, la tassa più amata dalla sinistra, e nei tanto strombazzati provvedimenti sulla scuola finanziati, secondo consuetudine, con una nuova tassa sulla casa: l’aumento della tassa di registro per chi compra, vende o affitta un immobile.


sergio magaldi