Glenn Cooper, Dannati, Casa editrice Nord, 2014,pp.494 |
La mente umana ha
variamente concepito e raffigurato l’Inferno, nella letteratura, nella poesia,
nell’arte e nella religione. Il tratto comune della visione occidentale e delle
religioni abramitiche è rappresentato soprattutto da due elementi: l’eterna sofferenza
e l’impossibilità della speranza e della redenzione. L’inferno dantesco, nella
sua opera di sublime poesia, bene rappresenta l’idea più diffusa sui luoghi
della dannazione. Sulla porta dell’Inferno, Dante e Virgilio leggono queste
parole [Inferno, canto III, vv.1-9]:
"Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia
mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore.
Dinanzi
a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
Per quanto la visione dantesca si basi su una
concezione medievale del peccato e della colpa e, nell’attribuzione delle pene,
utilizzi la legge del contrappasso, secondo un principio che si ispira
all’inferno vagheggiato dall’islamismo, resta vero che, mutatis mutandis,
la tradizione conserva in Occidente e in gran parte del Medio Oriente una
comune fantasia circa il castigo irreversibile che attende i dannati.
Diversamente vanno le cose in Oriente, dove, pur con sfumature non
indifferenti, induismo, taoismo e buddismo sono religioni accomunate dall’idea
che il tormento dei dannati non sia eterno e/o che l’inferno non sia un luogo
fisico di espiazione per i morti nel peccato, ma si realizzi tra i viventi,
attraverso successive reincarnazioni modulate secondo la legge inesorabile del Karma.
Non a caso il grande scrittore cinese Mo Yan
introduce così la narrazione di un suo romanzo “Dice il Buddha: ‘La fatica
di vivere nasce dall’avidità e dal desiderio. La rinuncia e la non-azione
pacificano l’anima e il corpo’ ”. [cfr. il post “Le sei reincarnazioni di XimenNao”, e clicca
sul titolo per leggere]. Così è per Ximen Nao, il latifondista giustiziato per
le sue colpe vere o presunte dai comunisti locali e da cui, nel romanzo, prende
il nome il villaggio a nordest di Gaomi. Finché il suo animo non sarà
pacificato, liberandosi di ogni risentimento, desiderio e avidità,
sarà costretto a reincarnarsi in forme animali e a vivere negli stessi luoghi
in cui aveva già vissuto come incontrastato signore e ricco proprietario
terriero: asino, toro, maiale, cane, scimmia e solo con la sesta reincarnazione
tornerà finalmente uomo.
La prospettiva muta
naturalmente per i non credenti. Dan Brown ci lascia immaginare l’inferno come
il futuro dell’umanità. E forse l’inferno non è solo il
futuro ma già il presente. Basti pensare alle periferie dei grandi centri
urbani e alle tante regioni del mondo dove fame, malattie, degrado, incesto,
prostituzione infantile e violenze d’ogni genere dominano incontrastate:
“L’Inferno
di Dante non è finzione… è profezia!
Sofferenza e
tribolazione. Questo è il panorama del futuro.
L’umanità, se non è
tenuta a freno, agisce come una pestilenza, un cancro… Il numero degli abitanti
cresce a ogni generazione finché le risorse terrene che un tempo alimentavano
la nostra virtù e solidarietà si ridurranno gradualmente a zero, svelando il
mostro che è in noi, spingendoci a lottare fino alla morte per nutrire i nostri
piccoli.
Questo è l’Inferno
dantesco.
Questo è ciò che ci
attende.
Mentre
il futuro si avventa su di noi, alimentato dall’inesorabile matematica di
Malthus, noi restiamo in bilico sopra il primo cerchio dell’Inferno… e ci
prepariamo a precipitare più rapidamente di quanto abbiamo mai immaginato[…]
Non fare nulla
significa accettare un inferno dantesco… affollato di anime affamate e
sguazzanti nel peccato.
[leggi, cliccando sul titolo, il post “C’è l’inferno nel futuro del mondo?”]
L’inferno
descritto da Glenn Cooper nel suo romanzo DANNATI. Il male non muore mai…
[titolo originale: Down-Pinhole] ricorda vagamente, quello descritto da
John Milton nel poema Paradiso Perduto: “[…]un buio
trasparente, una tenebra/ nella quale si scorgono visioni di sventura,/regioni
di dolore e ombre d’angoscia, e il riposo e la pace/ non si troveranno,né mai
quella speranza che ogni cosa/solitamente penetra;e solo una tortura senza
fine… [libro I, vv.62-67].
L’Oltre
o Inferno è per Cooper una dimensione parallela a quella terrena dove entra,
nell’istante stesso della morte, chi si è macchiato di delitti. Ne sono esenti
coloro che hanno ucciso in guerra, a meno che non l’abbiano fatto per vendetta
personale. Ne fanno parte i mandanti degli assassini, anche se non hanno mai
ucciso personalmente. Basta solo il
tentativo di uccidere, anche se non riuscito. Ne è testimone un frate
francescano che aveva tentato invano di avvelenare un confratello che lo aveva
molestato a lungo. Egli è dannato, nonostante continui a credere in Dio e
vagheggi persino l’impresa impossibile di fondare una Chiesa all’Inferno. Tra i
dannati di Glenn Cooper non figurano invece coloro che si siano lasciati andare
ai 7 vizi capitali, persino gli iracondi, purché la loro ira non si sia spinta
sino al delitto.
Ogni omicida “rinasce” all’Inferno nel luogo
stesso in cui è morto ma in un habitat primordiale e squallido, dove non
c’è sole e i colori predominanti sono il grigio e il marrone. I dannati hanno
la stessa età e le stesse malattie di quando sono morti e puzzano perché la
loro carne è putrefatta. Nessuno muore nell’Oltre se viene ucciso,
persino se il suo corpo è fatto a pezzi. Un barlume di coscienza, nei suoi
resti portati in una cella di decomposizione, continuerà a tormentarlo. Quel
che l’autore non dice è se questa sofferenza cesserà al momento in cui la sua
carne si sarà tutta consumata o se durerà anche quando di lui resteranno solo
le ossa.
Tutto si conserva in questo universo
parallelo, regno assoluto del male: dagli uomini di Neandertal ai malvagi
erranti e cannibali. L’Europa è divisa in tante nazioni e dilaniata da guerre
per il potere. Le regole all’Inferno sono rigide e prive di misericordia, non
c’è il Diavolo ma neppure Dio e la speranza della redenzione.Tutto ubbidisce ad
una Legge inesorabile che non tiene conto delle distinzioni, così soprenderà
non poco trovare nell’Oltre chi non
avremmo mai pensato di incontrare.
Come può accadere che un vivente entri in
questa dimensione e un dannato torni sulla terra dove bene e male si misurano e
a volte si confondono? Un esperimento condotto
a Dartfort, ad est di Londra, per aumentare gradualmente l’energia di
collisione delle particelle, viene realizzato contro ogni procedura di
sicurezza e nonostante il parere contrario di Emily Lougthty, direttrice del
progetto Hercules. L’energia del MAAC – un tunnel circolare gigante, fratello
maggiore di quello del CERN – viene intenzionalmente aumentata da venti a
trenta TeV, determinando la scomparsa di Emily e l’apparizione al suo posto di
uno sconosciuto.
Mantenendo il segreto di fronte all’opinione
pubblica, sarà John Camp, un militare a capo della sicurezza del laboratorio,
innamorato di Emily, ad offrirsi per andare all’Inferno nel tentativo di
riportare la direttrice di Hercules sulla terra.
Tra avventure di ogni genere, sulle quali
l’autore si dilunga anche troppo, finendo talora per annoiare, ecco apparire
figure enigmatiche della storia, di cui però è ben nota la malvagità. Decisivo
risulta per John l’incontro con Giuseppe Garibaldi, vecchio e malandato, ma non
per questo meno battagliero. “Dunque un giorno sarete il re dell’Inferno. E
poi?” Gli chiede John e Garibaldi risponde, annunciando il suo progetto:
Il finale del romanzo lascia un po’ di
sconcerto, ma questo è solo il primo volume di una trilogia.
sergio
magaldi
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