Nel post Il Nuovo Inizio [clicca sul titolo per leggere], accennavo agli scenari non
esaltanti che si andavano prefigurando con l’imminente elezione del presidente
della repubblica. Mentre i nomi dei candidati continuano a rincorrersi in rete,
sulla carta stampata e nei cenacoli dei partiti, va fatta una considerazione
amara e realistica: neppure uno dei personaggi che si sentono proporre, con qualche speranza di successo, ha le carte in regola. Appartengono
tutti, uomini e donne, alla casta che ha governato il Paese negli ultimi
decenni e che non può non essere considerata responsabile in solido della grave crisi che è sotto i nostri
occhi, con il debito pubblico cresciuto di un terzo in circa vent’anni, la
disoccupazione raddoppiata, il potere di acquisto di redditi fissi e pensioni
ridotto di oltre il 60%, le imprese dimezzate e il suicidio di tanti piccoli
imprenditori, le tasse più elevate d’Europa, le riforme annunciate e mai
realizzate, la corruzione tacitamente accettata come regola di governo, le
tante lobby mai intaccate nei loro secolari privilegi.
Insomma, visto che
un capo dello stato bisogna pur eleggerlo, si abbia almeno il pudore di
sceglierlo al di fuori della politica, anche considerando che la nostra non è
una repubblica presidenziale, tant’è che il primo cittadino non viene scelto
direttamente dal popolo ma dai suoi cosiddetti rappresentanti. Una personalità
della cultura e/o dell’arte, di chiara fama nel mondo e stimata dalla maggior
parte dei cittadini italiani, potrebbe essere la persona giusta. Ce ne sono?
Pochi, ma comunque qualcuno c’è… Umberto Eco, Dario Fo, Riccardo Muti e forse
qualche altro.
E, invece, si può
essere certi che il nuovo presidente sarà espressione di questa vergognosa e colpevole
classe politica. Sarà Amato, sarà Prodi? Sarà una donna, nella persona di Anna
Finocchiaro? Forse nessuno dei tre, ma intanto si continua a far credere
all’opinione pubblica che i candidati più forti e rappresentativi [certamente i
più pagati] sarebbero proprio Prodi e Amato, veri cavalli di razza della politica italiana. Scrivevo in un precedente
post: […] chi non ricorda il già ineffabile capo dell’Ulivo, ancora il 20
Maggio del 2010 in
una lettera al Messaggero, sostenere che “L’ingresso dell’Italia
nell’euro rimane come uno dei punti più alti della nostra recente storia
nazionale”? Un euro accettato da sudditi e non attraverso un referendum tra
i cittadini, vietato dalla “costituzione più bella del mondo”.
Il vero scontro per
il Quirinale è sempre stato quello tra Amato e Prodi, i genitori dell’euro e
della sottomissione a Eurogermania, nella quale siamo entrati con un pessimo
cambio lira-euro, facendo pagare una tassa ai cittadini-sudditi e, prima ancora, con
un prelievo forzoso dai loro conto correnti. Chi dimentica le dichiarazioni
successive di Vincenzo Visco – a quei tempi ministro delle Finanze del governo
Prodi – a Il Fatto Quotidiano, allorché rivelò che l’ingresso dell’Italia
nell’euro fu voluto fortemente dall’Unione Europea, per evitare che la
debolezza della lira favorisse il commercio dell’Italia a scapito della Francia
e soprattutto della Germania, costrette a commerciare in un mondo globalizzato
con una moneta più forte e dunque meno competitiva? Una svendita del nostro
Paese, dunque, perché senza l’ingresso dell’Italia nell’euro, la moneta unica
non sarebbe mai nata. Lo stesso Prodi ha
di recente riconosciuto gli enormi vantaggi che i tedeschi hanno ottenuto
dall’introduzione dell’euro.
Di Prodi e di Amato
e dei motivi che dovrebbero sconsigliarne l’elezione alla presidenza della
Repubblica non ho da dire molto di più di quello che scrissi nei post della
primavera del 2013, allorché si stava per eleggere il nuovo capo dello stato e
si arrivò poi alla rielezione di Giorgio Napolitano. La domanda che mi ponevo
allora e che a maggior ragione mi pongo oggi è: Prodi e Amato sono “cavalli di razza” o sono stati i “cavalli di Troia”
di Eurogermania?
Amato è l’uomo che
Berlusconi ha sempre voluto per il Quirinale. Pare sia anche il candidato
preferito, in funzione anti-Renzi, da Giorgio Napolitano, Massimo D’Alema e
Pier Luigi Bersani. Di lui, gli italiani ricordano l’incursione nottetempo nel loro conto corrente. In realtà,
Amato incarna le virtù peculiari dell’italiano medio: astuzia e capacità di
adattarsi rapidamente e con incredibile disinvoltura alle circostanze e alle
convenienze. Di più, egli sembra rappresentare l’anima stessa della
partitocrazia. Socialista, poi psiuppino con Basso, tornato nel PSI con
incarichi ministeriali, fiero avversario di Craxi all’interno del partito, poi
divenuto craxiano di ferro con nomine prestigiose. Sottosegretario alla
presidenza del consiglio nel governo del leader socialista, ministro del Tesoro
con Goria e De Mita, presidente del consiglio e soprattutto, nell’era di
tangentopoli, vicesegretario del partito socialista, e di recente giudice
costituzionale voluto da Napolitano. Tra i “meriti” politici, oltre al già
ricordato prelievo forzoso nelle tasche degli italiani che con esemplare
lungimiranza anticipò di dieci anni le misure adottate a Cipro, Giuliano
Amato può rivendicare: l’abolizione della
scala mobile e le misure “lacrime e
sangue”, anche in questo antesignano di una politica divenuta quanto mai
attuale nel Belpaese.
Come Prodi e come
Tremonti [un altro folgorato sulla strada di Damasco], Amato, più ineffabile di
sempre, si presenta oggi con un atteggiamento incredibilmente e inutilmente
problematico nei confronti dell’euro e della politica dell’Unione Europea. Si
leggano di seguito le sue dichiarazioni:
[Testo
di Byoblu, dal video blog di Claudio Messora del 7 Gennaio]:
“Noi abbiamo fatto una
moneta senza stato. Noi abbiamo avuto la
faustiana pretesa di riuscire a gestire una moneta senza
metterla sotto l’ombrello di un potere caratterizzato da quei mezzi e da quei
modi che sono propri dello Stato e che avevano sempre fatto ritenere che
fossero le ragioni della forza, e poi della credibilità che ciascuna moneta ha.
Eravamo pazzi? Qualche esperimento nella
storia c’era stato di monete senza Stato, di monete comuni, di unioni
monetarie, ma per la verità non erano stati molto fortunati. Perché noi, quando
ci siamo dotati di una moneta unica, abbiamo pensato che potevamo riuscirci in
termini di Unione, e non facendo lo Stato europeo? Avevamo già costruito un
mercato economico comune fortemente integrato. Più o meno avevamo un assetto
istituzionale che non era quello di uno Stato ma certo era qualcosa di molto
più robusto di quello che usualmente c’è a questo mondo: la comunità europea,
l’Unione Europea, col suo Parlamento, la sua Commissione, i suoi Consigli.
Abbiamo anche previsto di avere una banca centrale.
Però, sapete com’è, abbiamo deciso che
trasferire a livello europeo quei poteri di sovranità economica che sono legati
alla moneta era troppo più di quanto ciascuno degli stati membri fosse disposto
a fare. E allora ci siamo convinti, e abbiamo
cercato di convincere il mondo, che sarebbe bastato coordinare
le nostre politiche nazionali per avere quella zona, quella convergenza
economica, quegli equilibri economici-fiscali interni all’Unione Europea che
servono a dare forza reale alla moneta.
Non tutti ci hanno creduto. Molti economisti,
specie americani, ci hanno detto allora:
Guardate che
non ci riuscirete! Non vi funzionerà! Se vi succede qualche
problema che magari investe uno solo dei vostri paesi, non avrete gli strumenti
centrali che per esempio noi negli Stati Uniti abbiamo, che può intervenire il
governo centrale, riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle
finanze locali. La vostra banca centrale, se non è la banca centrale di uno
Stato, non può assolvere alla stessa funzione cui assolve la banca centrale di
uno Stato, che quando lo Stato lo decide diventa il pagatore senza limiti di
ultima istanza.
In realtà noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti.
Abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei
nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà.
E abbiamo previsto che l’Unione Europea non assuma la responsabilità degli
impegni degli Stati; che la Banca Centrale non possa comprare direttamente i
titoli pubblici dei singoli Stati; che non ci possano essere facilitazioni
creditizie o finanziarie per i singoli Stati. Insomma: moneta unica
dell’Eurozona, ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso.
Era davvero difficile che
funzionasse,
e ne abbiamo visto tutti i problemi.”
sergio magaldi
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