The Theory of Everything, regia di James Marsh, Gran Bretagna, 2014, 123 minuti |
Un altro film presentato dalla critica
massmediatica come un “capolavoro”, questo del regista inglese James Marsh,
così come avvenne solo pochi mesi fa con l’uscita del film dell’italiano Mario
Martone. Il primo vede protagonista il cosmologo e astrofisico Stephen Hawking,
il secondo guarda alla figura di un grande spirito come Giacomo Leopardi. Ma
presentare la genialità scientifica o quella poetica nelle incarnazioni di
Hawking e di Leopardi è davvero lo scopo e il senso del film di Marsh e/o di quello di Martone? La
Teoria del Tutto così come Il giovane favoloso non si rivolgono alla
testa e alla spiritualità di un pubblico culturalmente educato, ma alla pancia
dello spettatore che ha bisogno di cibo scadente per alimentare la propria fame
di emozioni a buon mercato. Scrivevo a proposito del film di Martone [per
leggere tutto, clicca sul titolo del post: Il GIOVANE FAVOLOSO… ma dov’è GIACOMO LEOPARDI?]:“Un’occasione
persa… L’opportunità di portare sul grande schermo un poeta
sublime, in Italia forse secondo solo a Dante Alighieri, sprecata e
ridotta a poco più di una rappresentazione di cronologia biografica, dalla
quale peraltro viene espunto un arco significativo di oltre dieci anni“
Per
il film La Teoria del Tutto si può ripetere più o meno la stessa cosa,
con l’aggravante che tante sono le opere di divulgazione scientifica scritte da
Stephen Hawking. Sarebbe stato sufficiente tenerne conto nella sceneggiatura,
in luogo di limitarsi a citare solo qualche titolo dagli indici dei libri. Si è
scelta invece una pura operazione di mercato, portando sullo schermo la
malattia, l’incredibile resistenza dello scienziato costretto a comunicare
grazie a un sintetizzatore vocale, l’abnegazione e l’amore [finché durò] di sua
moglie Jane. Naturalmente,
qui si tratta di un mercato ancora dignitoso, non paragonabile a quello offerto
da certi programmi televisi dove personaggi che nemmeno si conoscono tra loro
vengono assoldati per rappresentare vicende familiari e/o esistenziali, laceranti e spacciate per vere.
L’equivoco maggiore sta nel titolo del film,
dove si vuole far credere che si parli della famosa teoria ancora ricercata da
Hawking e non già del libro di sua moglie Jane [in Italia edito da Piemme con
il titolo Verso l’Infinito], dove la donna racconta la sua vita di
sacrificio con lo scienziato. Perché sin dal 1963, a poco più di
vent’anni, Stephen è colpito da atrofia muscolare progressiva che lo costringe
su una sedia a rotelle.
Ciò,
d’altra parte, non significa che James Marsh non si sia servito di grandi
interpreti. Tali infatti risultano sia Eddie Redmayne, nelle vesti di
Stephen Hawking, sia Felicity Jones in quelle di sua moglie Jane. Ma il
film dopo la prima mezz’ora finisce con l’annoiare, a meno che lo spettatore
non si lasci coinvolgere dalle terribili dinamiche del dolore e dal presupposto
di maniera, presente anche nel film su Leopardi, e cioè che genio e malattia
siano facce delle stessa medaglia.
Il
titolo del film risulta invece appropriato se si guarda non già al suo
contenuto, ma alla ricerca incessante e mai terminata dello scienziato ancora
vivente. Perché l’idea che ha sempre assillato Stephen Hawking è stata ed è
quella di scoprire una “Teoria del Tutto”, intesa come la formula capace di
comprendere tutte le le leggi della fisica per spiegare l'Universo.
La
teoria della Relatività ristretta di Albert Einstein – formulata nel
1905 e dimostrata sperimentalmente dieci anni più tardi – afferma che la
velocità è una grandezza relativa, con la sola eccezione della velocità della
luce che è sempre di 300.000
km al secondo. Con la formula della Relatività
Generale che è una conseguenza di quella ristretta, Einstein
rivoluziona completamente la fisica di Newton, dimostrando che spazio e tempo
non sono realtà assolute e separate tra loro. L’idea che alle tre dimensioni
dello spazio, altezza, larghezza e profondità, debba
aggiungersi come variabile indipendente la dimensione temporale è superata con
il passaggio dallo spazio tridimensionale alla quarta dimensione
che comprende anche il tempo. La conseguenza immediata è che viene
rivoluzionato anche il concetto newtoniano di attrazione gravitazionale.
La gravità è causata dalla curvatura spazio-temporale che si
determina in prossimità di corpi celesti molto massicci: stelle, pianeti oppure
quando un corpo si muove alla velocità della luce, determinando la contrazione
dello spazio e la dilatazione del tempo. Ciò che spiega, per esempio, perché la
Terra orbiti intorno al Sole, che ha una massa molto più grande di quella
terrestre, o perché a sua volta la Luna, che ha un corpo più piccolo, orbiti
attorno alla Terra.
Dalle equazioni della Relatività Generale di
Einstein, Friedmann, un matematico e cosmologo russo, dedusse che l’Universo
doveva essere in espansione e ciò in contrasto con la nozione di Universo
statico di Einstein, il quale, per sostenere la sua idea di Universo, aveva
opposto una costante cosmologica repulsiva per bilanciare l’attrazione
reciproca di tutti i corpi e impedire all’Universo di collassare, in forza
della gravità. Il grande scienziato ebreo tedesco ammise di essersi sbagliato
allorché l’esperimento mostrò che le galassie si andavano via via allontanando
dal punto di vista dell’osservatore. Finì così per accettare a malincuore
l’idea di un Universo in espansione. Ma proprio le più recenti ricerche di
Hawking dimostrano che forse Einstein non s’era sbagliato del tutto.
Nel
1931, il fisico e sacerdote cattolico Georges Lemaître suggerì che l’evidente
espansione del Cosmo implica l’idea di una sua contrazione andando indietro nel
tempo, sino ad un singolo punto prima del quale non c’è né tempo né spazio e
che deve necessariamente coincidere con l’istante della Creazione. La
scienza si presenta così in perfetto accordo con la religione, non solo per i
primi versetti di Genesi [l’esplosione biblica della luce,
diventa qui il Big Bang della Scienza, anche se l’espressione fortunata
fu coniata in senso dispregiativo da Fred Hoyle a commento dell’idea di
Lemaître] ma anche in virtù della dottrina talmudica dello Tzimtzum,
secondo la quale l’esistenza dell’universo è possibile per un processo di
contrazione di Dio che “si ritira”, lasciando libero un punto, dal quale
si viene formando l’intero universo [Vedi sull’intera questione il post Che la luce sia…, cliccando
sul titolo per leggere].
Stephen Hawking, dal canto suo, riteneva
compatibile l’idea di un Creatore supremo con le scoperte della Scienza. Ancora
nel libro di divulgazione scientifica del 1988 [Dal Big Bang ai Buchi Neri.
Breve storia del Tempo] osserva: “[…]
c’è compatibilità tra fede religiosa e fiducia nelle scienze”, ma continua a
ritenere fondamentale la scoperta di una Teoria del Tutto: “Se riuscissimo a scoprire una teoria
completa, sarebbe il trionfo della ragione umana perché riusciremmo a capire la
mente di Dio”. Ma è proprio a partire dallo studio dei Buchi Neri, la cui
concezione si spiega con la curvatura dello spazio-tempo di Einstein,
che Hawking giunge a conclusioni diametralmente opposte. Una stella che
collassa e si raffredda pigia sempre di più sulla curvatura del piano
spazio-tempo sino a formare un buco nero, un pozzo senza fondo dove non c’è più
né luce, né spazio né tempo, un vero e proprio abisso, il cui bordo è chiamato
da Hawking Orizzonte degli Eventi [dove la gravità diventa così forte
che nulla può sfuggirle], in considerazione del fatto che i punti dello
spazio-tempo sono detti Eventi, fenomeni a quattro coordinate, che si
verificano in virtù di una certa posizione spaziale in un certo momento.
La
ricerca successiva porta Hawking a dubitare dell’esistenza di un INIZIO
dell’Universo e quindi dell’esistenza di un CREATORE, potendosi spiegare il
Cosmo in base alla sola legge di gravità e in considerazione di una mutata
concezione dei buchi neri, non più pozzi senza fondo, rappresentativi del NULLA,
ma buchi cosmici provvisori e dotati di
proprietà termiche, dai quali nel tempo, per evaporazione e per effetto di
continue radiazioni, emanerebbe l’energia delle particelle. Lo stesso Orizzonte degli Eventi, sarebbe solo
apparente e in grado solo temporaneamente di imbrigliare la luce. Questa
concezione, peraltro contestata, permetterebbe a Hawking di coniugare
finalmente insieme la Relatività Generale di Einstein che descrive
l’Universo su grandi scale e La Meccanica dei Quanti che lo spiega a
livello subatomico. La prima pietra cioè di una Teoria del Tutto.
Ma anche su
questo punto [la scoperta cioè di una teoria del tutto], Hawking rivede la sua
concezione, formulando alcuni interrogativi: 1) Esiste davvero una teoria unificata delle leggi della fisica per
spiegare l’Universo? 2) Non esiste, ma c’è tutta una serie di teorie per
descrivere il Cosmo? 3) Non esiste alcuna teoria dell’Universo e oltre un certo
limite gli eventi si verificano in modo casuale e arbitrario e perciò non
possono essere previsti?
Naturalmente, di tutta questa appassionante
ricerca, che abbiamo provato a riassumere in modo sommario, non c’è traccia nel
film. Resta il merito di aver sollecitato la curiosità intellettuale degli spettatori
più consapevoli.
sergio
magaldi
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