martedì 17 febbraio 2015

GIORDANO BRUNO 17-02-1600 - 17-02-2015









 A 415 anni dalle fiamme che spensero la vita di Giordano Bruno, ma non il suo pensiero, che da quel rogo si levò con più forza che mai, ripropongo il seguente intervento presentato ad uno dei tanti convegni sul Nolano. Benché da allora siano trascorsi alcuni anni, le parole contenute in quella relazione mi sembrano quanto mai attuali.

A   
S.M.


GIORDANO BRUNO UOMO UNIVERSALE MARTIRE DEL LIBERO PENSIERO… ?

- Relazione di GIOELE MAGALDI

 Il tema del convegno è perentorio, non ammette punti interrogativi o forse, più saggiamente, li lascia alla discrezione dei relatori…

 Senza abusare di tale libertà e auspicando di fare cosa utile (magari riconquistando alla fine ciò che è stato messo in discussione all’inizio) vorrei dunque invitare a questi lavori un personaggio di provata onestà e schiettezza: sua eccellenza il “dubbio”. E vorrei fargli assumere i panni vetusti ancorché fascinosi di quel tal filosofo di nome Socrate, il quale aveva una pessima abitudine… Sì, poiché l’ateniese, posto davanti ad una frase, un discorso, un concetto che il suo interlocutore ostentava come cosa ovvia, domandava sempre: Ti estì (Che cos’è? Che intendi dire?). Fuor di metafora: siamo proprio sicuri che Giordano Bruno, bruciato vivo quattrocento anni or sono, abbia voluto essere e sia stato “uomo universale” e “martire del libero pensiero”? E ancora: quando è nata quest’idea, questo giudizio così solenne e impegnativo per un uomo che si autodefiniva “…esule, fuggiasco, zimbello di fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall’odio della folla…”[1]. E per finire: nata e affermatasi l’affascinante visione di un uomo morto a difesa della libertà di “pensare” e “conoscere” da parte dei suoi simili, si ha memoria di taluno che abbia osato revocare in dubbio un così edificante ritratto del filosofo nolano?

 Rispondere a questi interrogativi appare a chi scrive di vitale importanza.

 La domanda più semplice è quella che dice “quando?“ Ebbene la risposta più ragionevole e scontata intonerebbe così: Il 9 giugno 1889 veniva inaugurato a Roma, in Campo dei Fiori, il monumento a Giordano Bruno, il quale veniva acclamato martire del libero pensiero e della libertà di coscienza.
Quest’atto ufficiale sanzionava una mobilitazione di idee, progetti, iniziative degli anni precedenti, a partire dalla proposta commemorativa di Alfredo Comandini nel 1876.
Nel 1880 era stata fondata in Italia l’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano Bruno”.
Nel 1885 veniva istituito, sempre in Italia, un Comitato promotore del monumento da erigere a Campo dei Fiori…E ancora nel 1885, questo stesso comitato metteva in circolazione un volume (“numero unico a benefizio del fondo per il monumento”) che raccoglieva importanti adesioni e interventi a favore dell’iniziativa, da parte di illustri firme del mondo intellettuale nazionale e internazionale. E non solo. Da qui al 1889 sarà tutto un rigoglioso fiorire di opuscoli e libelli di varia origine e provenienza…

 Intorno all’imminente omaggio da offrire al filosofo italiano si era mobilitato un complesso coacervo di posizioni politiche, civili e culturali, su cui, comunque, fra tutte spiccava una presenza: quella massonica.

 La Massoneria italiana, sotto la gran maestranza di Adriano Lemmi, insediato per l’appunto nel 1885, seppe dare la forza propulsiva necessaria al buon esito del progetto. Un progetto su cui Lemmi riuscì a convogliare ed aggregare personalità distanti se non pure ostili tra loro. Ma tutto questo è storia, comprese le “prudenze” e i tatticismi che impedirono la presenza ufficiale del governo e del “fratello” Francesco Crispi -che quel governo presiedeva- il giorno dell’inaugurazione del monumento. E ciò, nonostante la decisione parlamentare che la Camera dei deputati fosse rappresentata ufficialmente il 9 giugno a Campo de’ Fiori.

 Chi legga spassionatamente quegli eventi, vedrà chiaramente come la figura del grande pensatore e l’idea della sua celebrazione fossero intimamente legati, per fautori e detrattori, al dibattito civile e politico contemporaneo. Negli stessi anni, il mondo degli storici e dei filosofi vede uno sviluppo determinante degli studi bruniani. Dalla edizione tedesca paradiplomatica dei  Dialoghi Italiani e del Candelaio, curata dal Lagarde nel 1889, all’edizione nazionale italiana delle opere latine, tra il 1879 e il 1891, curata da Fiorentino, Tocco, Vitelli, Imbriani e Tallarigo; dalle monografie di Levi, Berti, Tocco e Fiorentino ai saggi di Giovanni Gentile -curatore, peraltro, della prima edizione nazionale dei Dialoghi Italiani- è tutto un operoso variare, virtuoso ma solidale, su una tesi precisa.

 Una tesi che aveva visto come iniziatore Bertrando Spaventa, negli anni Sessanta dell’Ottocento: Giordano Bruno è un eroe del pensiero, un Prometeo della filosofia della libertà…

 Spaventa e i suoi epigoni, dichiarati o dissimulati, fino a Gentile, investigheranno variamente il pensiero e le opere dell’illustre nolano; tutti, in un modo o nell’altro, al termine della loro sintesi intoneranno il medesimo peana: ecco il moderno profeta della nuova scienza, il precursore della filosofia moderna, il martire del libero pensiero.

 L’interpretazione della società civile, massoneria in testa, e l’interpretazione storico-filosofica convergevano quindi, negli stessi anni decisivi su una precisa e scultorea immagine. Semplice coincidenza? Non sembra…

 Il Giordano Bruno del Grande Oriente d’Italia, delle società radicali, positiviste e razionaliste, delle associazioni studentesche, dei comitati repubblicani e socialisti, di Giovanni Bovio, il quale dichiarò che il 9 Giugno, a Roma, era stata incisa “per consenso di genti libere, la data della religione del pensiero”; questo Bruno, dicevo, era pressoché indistinguibile dall’altro, il Bruno degli “addetti ai lavori”, degli accademici insomma. Ed  era indistinguibile poiché, in entrambi i casi, il fine era simile. Da un lato occorreva un simbolo, un’icona, un’immagine potente che coagulasse intorno a sé le aspettative, le ansie, le ambizioni e le paure di certa società laica - stretta tra le ambiguità e i conservatorismi della Corte e del governo (financo dei massoni “governativi”) e il pericolo sempre temuto di una revanche clericale, magari all’ombra di nuovi accordi tra trono e altare - dall’altra parte l’obiettivo era nientemeno che la nobilitazione filosofica e scientifica della giovanissima nazione italiana.

 La filosofia italiana, l’aveva ben detto per primo Bertrando Spaventa, aveva anticipato gli sviluppi della filosofia europea tutta. Di qui, dall’Italia, erano venute le primizie che avrebbero poi invaso il “mercato della modernità” e quindi ecco Telesio e Campanella precursori di Bacone e Locke; Campanella precursore anche di Cartesio; e Bruno, anticipatore di Spinoza e Leibniz, sacerdote della libertà filosofica, che, sola, avrebbe consentito il progressivo dispiegarsi della Ragione, della Civiltà e della Scienza moderna. Finalmente il quadro è ben designato: gli uni e gli altri, gli studiosi e gli ammiratori, studenti e professori, politici e scrittori, artisti, commercianti e professionisti hanno trovato un vessillo che li accomuna; e ciò all’interno di una nazione appena nata che, oltre a santi e navigatori, ha bisogno anche di filosofi e martiri. I governanti osservano plaudenti l’operazione accademica, benigni ma prudenti quella massonica, preoccupati, ma non troppo, quella repubblicana, socialista e radicale, talvolta utile spauracchio per ammorbidire l’intransigenza pontificia.
 Dopo tre secoli di vita fertile ma sotterranea, di trafelati commenti negli Epistolari dei “dotti” e plagi inconfessati nelle loro opere, Bruno rientrava nell’ufficialità dalla porta principale, magari sovraccarico di addobbi e lustrini. Il mito è nato.

 Già, ma si trattava solamente di un mito? Voglio dire, al di là della chiara utilizzazione in chiave ideologica del simbolo “Giordano Bruno”, non è che magari un’analisi ampia, filologicamente e storicamente impeccabile avrebbe potuto mostrare una sorprendente affinità fra l’uomo in carne ossa e pensieri e il suo ‘Golem’, fabbricato nella seconda metà dell’Ottocento?

 Rimandiamo di qualche riga la soluzione di questo dilemma e cimentiamoci piuttosto nell’altro dei tre quesiti che ponevo all’inizio. Chi e con quali argomenti ha contestato un ritratto così fortemente mitologico? Intendo dire, evidenti a tutti gli intrecci politici, civili e culturali propulsivi dell’operazione bruniana di fine Ottocento, in che modo è stata valutata la distanza di quell’ “effigie” dal suo originale? In nessun modo. Tutti, indistintamente, “maggiori e minori” della storiografia bruniana della seconda metà del Novecento hanno ragionato in termini tautologici. L’icona era falsa in modo autoevidente, ecco tutto. Non c’era bisogno di raffinate confutazioni o analisi. Il Bruno del 1889 se l’erano inventato i massoni, gli anticlericali scalmanati, i liberali e i radicali di fine Ottocento, gente dabbene ma un po’ sprovveduta e grossière, maldestramente ignorante del “vero” Giordano Bruno. A chi interessa constatare quanto vado affermando basterà consultare l’ingente bibliografia bruniana degli ultimi cinquant’anni. Ma, a riprova di quanto tetragono, unilineare e influente sia stato questo atteggiamento, occorre mettere il naso anche al di là della storiografia strettamente bruniana.

 Aldo A. Mola, il più insigne storico della Massoneria Italiana, va ancora oltre nello smascherare la “messinscena” del 9 Giugno 1889: “Ripetere che il pensiero del filosofo cinquecentesco fu strumentalizzato dalla Massoneria e subordinato a una interpretazione ‘mitica e allegorica’ della sua vicenda (arrestato dolosamente, interrogato dall’implacabile Tribunale inquisitorio del Santo Uffizio, condannato a morte per eresia e arso vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600) è ormai superfluo (…) Non v’era insomma una ragione particolarmente valida e convincente perché proprio Giordano Bruno, per un periodo incredibilmente lungo e non ancora chiuso nel ricordo e nei fremiti di taluni Fratelli, dovesse divenire la bandiera ufficiale della Massoneria. Solo la scarsa conoscenza della storia dell’Ordine in Italia e il desiderio, filologicamente opinabile, di elevare agli onori del G.. O.. d’Italia una figura di prestigio internazionale che potesse reggere al confronto con Voltaire e Goethe spianò la via al mito di Bruno, precursore dell’anticurialismo certo, di un sofferto e discontinuo anticattolicismo forse, ma della Massoneria Italiana post-unitaria certamente no, né della Libera Muratoria in quanto tale.”[2]

 Ecco... Tanto varrebbe, dunque, mettere fine a questa imbarazzante farsa, annullare convegni, seminari e commosse celebrazioni, tutte iniziative originate all’ombra di un equivoco e di una maldestra falsificazione? Sì, se la frettolosa unanimità di certe valutazioni culturali fosse sinonimo di verità storica. Ma così non ci pare che sia né debba essere. E allora proviamo a rispondere all’ultimo dei quesiti posti all’inizio, rimasto finora in sospeso. Tra il mito ottocentesco di “Giordano Bruno uomo universale martire del libero pensiero” tutt’ora vivo a più di un secolo dalla sua nascita (tanto da essere epigrafe ufficiale di questo convegno) e il filosofo nolano che visse in quella turbolenta Europa di fine Cinquecento, esiste una solida, fondata connessione, al di là di strumentalismi e arruolamenti d’ufficio? Ancora: è proprio vero che, come dice Aldo Mola, fu solo una puerile ignoranza ambiziosa a spianare la via al mito di Bruno precursore della Libera Muratoria? Quella che segue vuole essere la dimostrazione di uno straordinario paradosso. Quei padri fondatori dell’icona bruniana di fine Ottocento avevano ragioni da vendere. Certo essi arruolarono ideologicamente il filosofo italiano, ma all’ombra di una acutissima intuizione. Nessuno più di Giordano Bruno aveva espresso a chiare lettere nei suoi scritti gli ideali che erano alla base della gestazione secentesca della massoneria speculativa moderna, della sua nascita ufficiale nel 1717 e che sarebbero rimasti alla fine dell’Ottocento, così come oggi, i fondamenti generali della massoneria universale, anche al di là della suddivisione in differenti obbedienze. E oltre la massoneria stessa, il pensiero bruniano costituisce un possente e originale richiamo, specie per l’epoca in cui fu concepito, al rispetto e all’amore per la straordinaria varietà del reale. Rispetto e amore, dunque, per le diverse opinioni, civiltà, religioni e filosofie che l’eterna vicenda umana vede dispiegarsi; in una concezione del tempo che esclude “cadute” e “giudizi universali”, rifiuta evoluzionismi e involuzionismi, ma tutto vede relativizzarsi nella infinita potenza divina di cui ogni essere vivente è un frammento, artefice responsabile ma finito del proprio infinito destino.

 A testimonianza di ciò chiamerò ora a parlare non già la drammatica vicenda della prigionia e della tragica morte del Nolano, troppo spesso abusata chiave di lettura unilaterale e riduttiva d’una esperienza assai complessa; no, a parlare sarà Giordano Bruno in persona, con buona pace di chi non ha avuto la pazienza di ascoltarlo prima, potendo evitare così giudizi frettolosi.

 E’ il 1583 e Bruno così si presenta: “… proclamatore di una filantropia universale, che non preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloro che portano il saio a coloro che non lo portano, ma colui che è più temperante, più civile, più leale, più capace; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di conoscere l’uomo dal viso) la cultura della mente e dell’anima. Che è odiato dai propagatori d’idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onesti e dagli studiosi…”[3]

 Un anno prima, nel dialogo introduttivo del De Umbris Idearum, afferma: “… il nostro ingegno non ci vincola ad un particolare genere di filosofia altrui, e non ci fa disprezzare in generale nessuna strada filosofica…”[4]. Nella Cena delle Ceneri, biasimando l’idiozia di chi odia e combatte gli “altri” per la diversità di cultura e religione: “… crescemo et siamo allevati co la disciplina et consuetudine di nostra casa, et non meno noi udiamo biasimare le leggi, gli riti, le fede, et gli costumi de nostri adversarii, et alieni da noi: che quelli de noi, et di cose nostre. Non meno in noi si piantano per forza di certa naturale nutritura le radici del zelo di cose nostre: che in quelli altri molti, et diversi de le sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in consuetudine, che i nostri stimino far un sacrificio agli dei, quando arranno oppressi, uccisi, debellati, et sassinati gli nemici de la fé nostra: non meno che quelli altri tutti quando arran fatto il simile a noi. Et non con minor fervore et persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel lume per il quale si promettono eterna vita: che noi rendiamo grazie di non essere in quella cecità et tenebre ch’essi sono…”[5]

 E ancora sulla necessità di apportare ragioni ai propri argomenti e non basarsi sulla fede cieca e sulla consuetudine dogmatica: “… Nundinio come colui che quello che dice, lo dice per una fede et per una consuetudine; et quello che niega, lo niega per una dissuetudine et novità, com’è ordinario di que’ che poco considerano et non sono superiori alle proprie azzioni, tanto razzionali, quanto naturali; rimase stupido e attonito…”[6]

 Nello Spaccio della bestia trionfante, Bruno colloca in cielo, al posto dell’immagine di Ercole, la forza d’animo e la costanza, capaci di domare la cieca fortuna, ma aggiunge, rivolto appunto alla “Forza” come virtù personificata: “… conduci le tue virtuose figlie Sedulità, Zelo Toleranza, Magnanimità, Longanimità… “[7]

 Tolleranza assolutamente necessaria tra gli uomini se, come aveva detto prima a proposito della “verità”: “… la quale come non è chi alcunamente la possa toccare, cossì non si trova qua basso chi la possa perfettamente comprendere: perché non è compresa, o veramente non viene appareggiata se non da quello in cui è per essenza; e questo non è altro che lei medesima. E perciò da fuori non si vede se non in ombra, similitudine, specchio ed in superficie…”[8]

Riguardo alla libertà di pensiero ed espressione, viene comandato al potere giudicante, nell’atto di esercitare le sue funzioni: “… che non attenda a quel che s’imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano il stato tranquillo; e massime verse in correggere e mantenere tutto quel che consiste ne l’operazioni…”[9] Il che, tradotto in termini moderni, suona: solo gli atti criminosi o l’istigazione a delinquere possono essere legittimamente puniti e non già la libera espressione d’idee. E che dire di queste parole: “A che verrà il mondo, se tutte le repubbliche, regni, dominii, fameglie e particolari diranno, che si deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati d’essere scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino? e pensaranno che non doviamo forzarci ad esser buoni assolutamente, come fussimo dei, ma per commoditate ed occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi e veneni?…”[10]

 E si potrebbe continuare, se i limiti di questa relazione lo consentissero. Ma se lo studio attento e diretto dei testi bruniani dimostra inconfutabilmente la sua, giustamente invocata, paternità ideale nei confronti della Massoneria Universale e di qualsivoglia posizione che si richiami al ‘libero pensiero’, è possibile aggiungere di vantaggio altro ancora.

 Il professor Mola, nella stessa pagina in cui nega recisamente qualsiasi discendenza “della Libera Muratoria in quanto tale” dalla figura di Giordano Bruno, mette in nota, per una valutazione scientifica dell’illustre pensatore, l’ormai classico libro di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica.

 Non è chi non conosca la Yates; insieme a M. Ciliberto (a parere di chi scrive) la più importante e originale scrittrice di cose bruniane degli ultimi trentacinque anni. Ebbene, esattamente trentacinque anni fa, nella prima edizione del suo bel libro, la studiosa inglese così si esprimeva, sintetizzando l’opera di Bruno: “Dove mai si ritrova una simile sintesi di tolleranza religiosa, di solidarietà psicologica col passato medievale, di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L’unica risposta a questa domanda che mi venga in mente è: nella massoneria, con il suo mitico collegamento con i muratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropia e il suo simbolismo egiziano. La massoneria, come istituzione ben caratterizzata, non appare in Inghilterra che agli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo, sebbene sia questa una materia estremamente oscura. A questo proposito brancoliamo nel buio, fra strani misteri, ma non possiamo fare a meno di domandarci se non sia stato proprio fra gli Inglesi spiritualmente insoddisfatti, i quali forse trovarono nel messaggio ‘egiziano’ di Bruno qualche motivo di sollievo, che i temi del Flauto magico risuonarono per la prima volta nell'aria.”[11]. E ancora: “Bruno applicò il suo ermetismo per la monarchia, al culto cavalleresco tributato a Elisabetta I dai suoi cavalieri. Gli interessi del primo massone a noi noto, Ashmole, non contrasterebbero con l’idea che egli fosse influenzato da motivi che risalivano ai circoli di corte del tempo di Elisabetta. Ashmole era un fervente realista con un forte interesse per la storia della cavalleria. Che l’influenza di Bruno perdurasse in circoli di corte è indicato dal Coelum Britannicum rappresentato a corte solo dodici anni prima dell’ingresso di Ashmole nella Massoneria. Non è una supposizione impossibile che l’importazione di idee dei Rosacroce in Inghilterra, dai cui furono influenzati Fludd, Vaughan e Ashmole, possa essersi incrociata con una precedente corrente cortigiana, forse influenzata da Bruno, dando così vita alla Massoneria”[12].  Ma anche sul ‘movimento’ dei Rosacroce sembra aleggiare l’influenza bruniana. Più volte dai costituti del processo al Nolano emerge un particolare, pregiudizievole per la sorte dell’imputato, ma assai verosimile e in accordo con le vicende biografiche e le dottrine che di lui conosciamo: Bruno avrebbe fondato in Germania una nuova setta, diversa da tutte le altre e che aveva trovato largo seguito tra i luterani. Di questa setta non sappiamo niente di più di quanto ci accennino i documenti del processo bruniano, ma è un fatto che, pochi anni dopo il soggiorno di Bruno, proprio in Germania compaiano i manifesti dei Rosacroce. E citando ancora la suddetta studiosa britannica: “Giordano Bruno, errando attraverso l’Europa, aveva predicato l’approssimarsi di una riforma generale del mondo, fondata sul ritorno alla religione ‘egizia’, insegnata nei trattati ermetici, una religione che doveva superare le differenze religiose con l’amore e la magia e doveva basarsi su una nuova visione della natura da conseguirsi mediante esercizi ermetici di contemplazione. Aveva predicato questa religione, presentata in forme mitologiche, in Francia, Inghilterra e Germania. A sentir lui, aveva fondato in Germania una setta (detta dei ‘giordanisti’) che esercitò una grande influenza tra i luterani. Altrove ho suggerito che potrebbe esservi un nesso tra i ‘giordanisti’ di Bruno e il movimento rosacrociano, che un segreto influsso bruniano potrebbe aver contribuito allo sviluppo del genere di riforma adombrato dai manifesti rosacrociani.”[13] . Così Frances Yates, significativamente isolata – fatta eccezione per l’eccellente libro di Saverio Ricci, La fortuna del pensiero di Giordano Bruno 1600-1750 –  nell’indagine dal di dentro dei rapporti tra Bruno e le società segrete dei secoli XVII e XVIII. E per l’appunto Saverio Ricci conviene menzionare, per una vicenda assai singolare, ambientata nell’Europa dei primissimi anni del Settecento e avente come centro di irradiazione l’Inghilterrra: “Nel 1713 uscì a Londra la prima e assai discussa traduzione inglese dello Spaccio, la Expulsion  of the triunphant beast: sulle reazioni che questa, come altre iniziative dei freethinkers, suscitò nell’establishment culturale e religioso diremo più avanti. Si vuole per ora guardare all’episodio solo dal punto di vista del problema della circolazione materiale dello Spaccio e in generale delle opere italiane del Nolano nell’Inghilterra di quegli anni. Toland fu da molti creduto l’autore della versione…”[14]. Di seguito: “Le idee politiche agitate da Collins, Shaftesbury e Toland nei circoli whig e nella sodalitas socratica dei pantheists (che ‘correspond to (…) the Lodge of the Freemassons which was founded about the same time, 1717, in London’, dice sempre Ricci citando da F.H. Heineman,  John Toland and the age of Enlightenment, ‘Rewiew of English Studies’ xx (1944), pp.125-146: 139) si radicavano in una concezione della natura e dell’uomo, della religione e dell’etica che aveva in Bruno una delle sue fonti più importanti. Infatti l’interpretazione e la messa in circolazione libertina o freethinker della ‘Nolana filosofia’ rappresentavano per il loro principale promotore uno dei momenti più significativi della costruzione di quel credo filosofico-religioso che – come vedremo – il partito ‘protestante’ e ‘repubblicano’ europeo avrebbe dovuto darsi. Toland intendeva serrare, attorno a quel credo, le fila di un movimento intellettuale internazionale capace di influenzare le scelte politiche di stati protestanti come l’Inghilterra, l’Olanda e lo Hannover, ma anche del cattolicissimo Impero Asburgico, che attraverso diplomatici e militari libertini, quali Eugenio di Savoia e Georg Wilhelm von Hohendorf si faceva ostile al papato e alle monarchie ‘papiste’(Francia e Spagna) e si avvicinava piuttosto al mondo protestante e anglosassone. La propaganda ‘repubblicana’ e whig si connetteva quindi sottilmente alla diffusione degli scritti di Bruno, degli autori ‘eretici’ e ‘scismatici’, dei libelli antiromani, delle dottrine ‘panteiste’. Bruno diventava così anche strumento di agitazione politica, o, meglio, uno degli elementi più sostanziosi di quella cultura libertina ed eretica, spregiudicata ed eversiva che Toland e i suoi volevano porre alla base di una rinnovata azione politica sia sul piano inglese che su quello internazionale”[15] . Ma per chi volesse notare che Le Costituzioni di Anderson del 1723 non odoravano eccessivamente di spregiudicatezza ed eversione, lasciamo ricordare ancora a Ricci che “… Toland coinvolse, più o meno direttamente nella sua propaganda, non soltanto whigs, radicali e notori freethinkers, come Collins, Clavel, Baker, ma anche personaggi di primo piano nell’establishment politico quali Lord Aylmer e Lord Harley, nel tentativo di conquistare i vertici sia del partito whig che del partito tory al suo programma filosofico e politico(…) fuori d’Inghilterra la diffusione bruniana promossa da Toland investì progressivamente i Paesi Bassi e la Germania, Vienna e l’Italia. Il filosofo irlandese aveva una notevole familiarità con gli ambienti dotti del continente…”[16]

 Insomma,  la storia della nascita ufficiale della massoneria moderna speculativa in Inghilterra  e della sua diffusione continentale appare parallela e fortemente intrecciata alla reviviscenza e circolazione bruniana degli stessi anni. La storia puntuale e particolareggiata di questa importante connessione non è stata ancora scritta. Essa potrà darci, credo, informazioni anche più sorprendenti e decisive del rapporto tra il pensiero bruniano, talvolta così finemente mitologico e allusivo e miti e simboli che avrebbero caratterizzato la Weltanschauung massonica. A conclusione, un piccolo spunto di riflessione per coloro –fra i lettori di questa relazione e i presenti al convegno –  che frequentano i lavori massonici nelle logge.

 Giordano Bruno, nello Spaccio della bestia trionfante rappresenta lo svolgimento di un concilio degli dei. A che ora devono cominciare i lavori di questo concilio? L’autore ce lo dice per ben due volte, nell’epistola esplicatoria e all’inizio della  terza parte del I Dialogo: a  mezzogiorno.

 Qual è lo scopo di questo concilio? L’intento di Giove e degli dei, ci dice Bruno, è nientemeno che la riforma e il progresso dell’umanità che si dibatte nella cecità, nell’ignoranza e nella corruzione.

Con quali mezzi vengono attuati questa riforma e questo progresso? Esaltando nelle costellazioni tutte le virtù utili alla convivenza umana e scacciandone in basso i vizi che colpevolmente gli dei vi avevano lasciato dimorare…  Sat prata biberunt


[1] Cfr.‘Oratio valedictoria’ in Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R. Amerio, pp. 687-688.
[2] Cfr. Aldo A. Mola  Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano 1994, pp.196-7.
[3] Cfr. Giordano Bruno Opere latine, II (1), pp.76-7.
[4] Cfr. Giordano Bruno Le Ombre delle Idee, a cura di M. Maddam, Mimesis, Milano 1996, p.33.
[5] Cfr. Giordano Bruno La Cena delle Ceneri, a cura di G. Aquilecchia, Torino 1955, p.111
[6] Ibid. p.166.
[7] Cfr. Giordano Bruno Spaccio de la bestia trionfante, a cura di M. Ciliberto, Milano 1985, p.199.
[8] Ibid. p. 158.
[9] Ibid. p. 162.
[10] Ibid. p.249.
[11] Cfr. F.Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari 1969, p.300.
[12] Ibid. p.447.
[13] Cfr.F.Yates, L’illuminismo dei Rosacroce, Torino 1976, p.163.
[14] Cfr. S. Ricci,  La  fortuna del pensiero di Giordano Bruno 1600-1750, Firenze 1990, p.249.
[15] Idid. pp.258-9.
[16] Ibid. pp.259-60.

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