A 415 anni dalle fiamme che spensero la vita di Giordano Bruno, ma non
il suo pensiero, che da quel rogo si levò con più forza che mai, ripropongo il
seguente intervento presentato ad uno dei tanti convegni sul Nolano. Benché da allora
siano trascorsi alcuni anni, le parole contenute in quella relazione mi
sembrano quanto mai attuali.
A
S.M.
GIORDANO BRUNO UOMO
UNIVERSALE MARTIRE DEL LIBERO PENSIERO… ?
- Relazione di GIOELE MAGALDI
Il tema
del convegno è perentorio, non ammette punti interrogativi o forse, più saggiamente,
li lascia alla discrezione dei relatori…
Senza abusare di tale libertà e auspicando di
fare cosa utile (magari riconquistando alla fine ciò che è stato messo in
discussione all’inizio) vorrei dunque invitare a questi lavori un personaggio
di provata onestà e schiettezza: sua eccellenza il “dubbio”. E vorrei fargli
assumere i panni vetusti ancorché fascinosi di quel tal filosofo di nome
Socrate, il quale aveva una pessima abitudine… Sì, poiché l’ateniese, posto
davanti ad una frase, un discorso, un concetto che il suo interlocutore
ostentava come cosa ovvia, domandava sempre: Ti estì (Che cos’è? Che intendi dire?). Fuor di metafora: siamo
proprio sicuri che Giordano Bruno, bruciato vivo quattrocento anni or sono,
abbia voluto essere e sia stato “uomo universale” e “martire del libero
pensiero”? E ancora: quando è nata quest’idea, questo giudizio così solenne e
impegnativo per un uomo che si autodefiniva “…esule, fuggiasco, zimbello di
fortuna, piccolo di corpo, scarso di beni, privo di favore, premuto dall’odio
della folla…”[1].
E per finire: nata e affermatasi l’affascinante visione di un uomo morto a
difesa della libertà di “pensare” e “conoscere” da parte dei suoi simili, si ha
memoria di taluno che abbia osato revocare in dubbio un così edificante
ritratto del filosofo nolano?
Rispondere a questi interrogativi appare a chi
scrive di vitale importanza.
La domanda più semplice è quella che dice
“quando?“ Ebbene la risposta più ragionevole e scontata intonerebbe così: Il 9
giugno 1889 veniva inaugurato a Roma, in Campo dei Fiori, il monumento a
Giordano Bruno, il quale veniva acclamato martire del libero pensiero e della
libertà di coscienza.
Quest’atto ufficiale
sanzionava una mobilitazione di idee, progetti, iniziative degli anni
precedenti, a partire dalla proposta commemorativa di Alfredo Comandini nel
1876.
Nel 1880 era stata
fondata in Italia l’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano
Bruno”.
Nel 1885 veniva
istituito, sempre in Italia, un Comitato promotore del monumento da erigere a
Campo dei Fiori…E ancora nel 1885, questo stesso comitato metteva in
circolazione un volume (“numero unico a benefizio del fondo per il monumento”)
che raccoglieva importanti adesioni e interventi a favore dell’iniziativa, da
parte di illustri firme del mondo intellettuale nazionale e internazionale. E
non solo. Da qui al 1889 sarà tutto un rigoglioso fiorire di opuscoli e libelli
di varia origine e provenienza…
Intorno all’imminente omaggio da offrire al
filosofo italiano si era mobilitato un complesso coacervo di posizioni
politiche, civili e culturali, su cui, comunque, fra tutte spiccava una
presenza: quella massonica.
La Massoneria italiana, sotto la gran
maestranza di Adriano Lemmi, insediato per l’appunto nel 1885, seppe dare la
forza propulsiva necessaria al buon esito del progetto. Un progetto su cui
Lemmi riuscì a convogliare ed aggregare personalità distanti se non pure ostili
tra loro. Ma tutto questo è storia, comprese le “prudenze” e i tatticismi che
impedirono la presenza ufficiale del governo e del “fratello” Francesco Crispi
-che quel governo presiedeva- il giorno dell’inaugurazione del monumento. E
ciò, nonostante la decisione parlamentare che la Camera dei deputati fosse
rappresentata ufficialmente il 9 giugno a Campo de’ Fiori.
Chi legga spassionatamente quegli eventi,
vedrà chiaramente come la figura del grande pensatore e l’idea della sua
celebrazione fossero intimamente legati, per fautori e detrattori, al dibattito
civile e politico contemporaneo. Negli stessi anni, il mondo degli storici e
dei filosofi vede uno sviluppo determinante degli studi bruniani. Dalla
edizione tedesca paradiplomatica dei Dialoghi Italiani e del Candelaio, curata dal Lagarde nel 1889,
all’edizione nazionale italiana delle opere latine, tra il 1879 e il 1891,
curata da Fiorentino, Tocco, Vitelli, Imbriani e Tallarigo; dalle monografie di
Levi, Berti, Tocco e Fiorentino ai saggi di Giovanni Gentile -curatore,
peraltro, della prima edizione nazionale dei Dialoghi Italiani- è tutto un operoso variare, virtuoso ma
solidale, su una tesi precisa.
Una tesi che aveva visto come iniziatore
Bertrando Spaventa, negli anni Sessanta dell’Ottocento: Giordano Bruno è un
eroe del pensiero, un Prometeo della filosofia della libertà…
Spaventa e i suoi epigoni, dichiarati o
dissimulati, fino a Gentile, investigheranno variamente il pensiero e le opere
dell’illustre nolano; tutti, in un modo o nell’altro, al termine della loro
sintesi intoneranno il medesimo peana: ecco il moderno profeta della nuova
scienza, il precursore della filosofia moderna, il martire del libero pensiero.
L’interpretazione della società civile,
massoneria in testa, e l’interpretazione storico-filosofica convergevano
quindi, negli stessi anni decisivi su una precisa e scultorea immagine. Semplice
coincidenza? Non sembra…
Il Giordano Bruno del Grande Oriente d’Italia,
delle società radicali, positiviste e razionaliste, delle associazioni
studentesche, dei comitati repubblicani e socialisti, di Giovanni Bovio, il
quale dichiarò che il 9 Giugno, a Roma, era stata incisa “per consenso di genti
libere, la data della religione del pensiero”; questo Bruno, dicevo, era
pressoché indistinguibile dall’altro, il Bruno degli “addetti ai lavori”, degli
accademici insomma. Ed era
indistinguibile poiché, in entrambi i casi, il fine era simile. Da un lato
occorreva un simbolo, un’icona, un’immagine potente che coagulasse intorno a sé
le aspettative, le ansie, le ambizioni e le paure di certa società laica -
stretta tra le ambiguità e i conservatorismi della Corte e del governo (financo
dei massoni “governativi”) e il pericolo sempre temuto di una revanche clericale, magari all’ombra di
nuovi accordi tra trono e altare - dall’altra parte l’obiettivo era nientemeno
che la nobilitazione filosofica e scientifica della giovanissima nazione
italiana.
La filosofia italiana, l’aveva ben detto per
primo Bertrando Spaventa, aveva anticipato gli sviluppi della filosofia europea
tutta. Di qui, dall’Italia, erano venute le primizie che avrebbero poi invaso
il “mercato della modernità” e quindi ecco Telesio e Campanella precursori di
Bacone e Locke; Campanella precursore anche di Cartesio; e Bruno, anticipatore
di Spinoza e Leibniz, sacerdote della libertà filosofica, che, sola, avrebbe
consentito il progressivo dispiegarsi della Ragione, della Civiltà e della
Scienza moderna. Finalmente il quadro è ben designato: gli uni e gli altri, gli
studiosi e gli ammiratori, studenti e professori, politici e scrittori,
artisti, commercianti e professionisti hanno trovato un vessillo che li
accomuna; e ciò all’interno di una nazione appena nata che, oltre a santi e
navigatori, ha bisogno anche di filosofi e martiri. I governanti osservano
plaudenti l’operazione accademica, benigni ma prudenti quella massonica,
preoccupati, ma non troppo, quella repubblicana, socialista e radicale,
talvolta utile spauracchio per ammorbidire l’intransigenza pontificia.
Dopo tre secoli di vita fertile ma
sotterranea, di trafelati commenti negli Epistolari dei “dotti” e plagi
inconfessati nelle loro opere, Bruno rientrava nell’ufficialità dalla porta
principale, magari sovraccarico di addobbi e lustrini. Il mito è nato.
Già, ma
si trattava solamente di un mito? Voglio dire, al di là della chiara
utilizzazione in chiave ideologica del simbolo “Giordano Bruno”, non è che
magari un’analisi ampia, filologicamente e storicamente impeccabile avrebbe
potuto mostrare una sorprendente affinità fra l’uomo in carne ossa e pensieri e
il suo ‘Golem’, fabbricato nella seconda metà dell’Ottocento?
Rimandiamo di qualche riga la soluzione di
questo dilemma e cimentiamoci piuttosto nell’altro dei tre quesiti che ponevo
all’inizio. Chi e con quali argomenti ha contestato un ritratto così fortemente
mitologico? Intendo dire, evidenti a tutti gli intrecci politici, civili e culturali
propulsivi dell’operazione bruniana di fine Ottocento, in che modo è stata
valutata la distanza di quell’ “effigie” dal suo originale? In nessun modo.
Tutti, indistintamente, “maggiori e minori” della storiografia bruniana della
seconda metà del Novecento hanno ragionato in termini tautologici. L’icona era
falsa in modo autoevidente, ecco tutto. Non c’era bisogno di raffinate
confutazioni o analisi. Il Bruno del 1889 se l’erano inventato i massoni, gli
anticlericali scalmanati, i liberali e i radicali di fine Ottocento, gente
dabbene ma un po’ sprovveduta e grossière,
maldestramente ignorante del “vero” Giordano Bruno. A chi interessa constatare
quanto vado affermando basterà consultare l’ingente bibliografia bruniana degli
ultimi cinquant’anni. Ma, a riprova di quanto tetragono, unilineare e influente
sia stato questo atteggiamento, occorre mettere il naso anche al di là della
storiografia strettamente bruniana.
Aldo A. Mola, il più insigne storico della
Massoneria Italiana, va ancora oltre nello smascherare la “messinscena” del 9
Giugno 1889: “Ripetere che il pensiero del filosofo cinquecentesco fu
strumentalizzato dalla Massoneria e subordinato a una interpretazione ‘mitica e
allegorica’ della sua vicenda (arrestato dolosamente, interrogato dall’implacabile
Tribunale inquisitorio del Santo Uffizio, condannato a morte per eresia e arso
vivo in Campo de’ Fiori, a Roma, il 17 febbraio 1600) è ormai superfluo (…) Non
v’era insomma una ragione particolarmente valida e convincente perché proprio
Giordano Bruno, per un periodo incredibilmente lungo e non ancora chiuso nel
ricordo e nei fremiti di taluni Fratelli, dovesse divenire la bandiera
ufficiale della Massoneria. Solo la scarsa conoscenza della storia dell’Ordine
in Italia e il desiderio, filologicamente opinabile, di elevare agli onori del
G.. O.. d’Italia una figura di prestigio internazionale che potesse reggere al
confronto con Voltaire e Goethe spianò la via al mito di Bruno, precursore
dell’anticurialismo certo, di un sofferto e discontinuo anticattolicismo forse,
ma della Massoneria Italiana post-unitaria certamente no, né della Libera
Muratoria in quanto tale.”[2]
Ecco... Tanto varrebbe, dunque, mettere fine a
questa imbarazzante farsa, annullare convegni, seminari e commosse
celebrazioni, tutte iniziative originate all’ombra di un equivoco e di una
maldestra falsificazione? Sì, se la frettolosa unanimità di certe valutazioni
culturali fosse sinonimo di verità storica. Ma così non ci pare che sia né
debba essere. E allora proviamo a rispondere all’ultimo dei quesiti posti
all’inizio, rimasto finora in sospeso. Tra il mito ottocentesco di “Giordano
Bruno uomo universale martire del libero pensiero” tutt’ora vivo a più di un
secolo dalla sua nascita (tanto da essere epigrafe ufficiale di questo convegno)
e il filosofo nolano che visse in quella turbolenta Europa di fine Cinquecento,
esiste una solida, fondata connessione, al di là di strumentalismi e
arruolamenti d’ufficio? Ancora: è proprio vero che, come dice Aldo Mola, fu
solo una puerile ignoranza ambiziosa a spianare la via al mito di Bruno
precursore della Libera Muratoria? Quella che segue vuole essere la
dimostrazione di uno straordinario paradosso. Quei padri fondatori dell’icona
bruniana di fine Ottocento avevano ragioni da vendere. Certo essi arruolarono
ideologicamente il filosofo italiano, ma all’ombra di una acutissima
intuizione. Nessuno più di Giordano Bruno aveva espresso a chiare lettere nei
suoi scritti gli ideali che erano alla base della gestazione secentesca della
massoneria speculativa moderna, della sua nascita ufficiale nel 1717 e che
sarebbero rimasti alla fine dell’Ottocento, così come oggi, i fondamenti
generali della massoneria universale, anche al di là della suddivisione in
differenti obbedienze. E oltre la massoneria stessa, il pensiero bruniano
costituisce un possente e originale richiamo, specie per l’epoca in cui fu
concepito, al rispetto e all’amore per la straordinaria varietà del reale.
Rispetto e amore, dunque, per le diverse opinioni, civiltà, religioni e filosofie
che l’eterna vicenda umana vede dispiegarsi; in una concezione del tempo che
esclude “cadute” e “giudizi universali”, rifiuta evoluzionismi e
involuzionismi, ma tutto vede relativizzarsi nella infinita potenza divina di
cui ogni essere vivente è un frammento, artefice responsabile ma finito del
proprio infinito destino.
A testimonianza di ciò chiamerò ora a parlare
non già la drammatica vicenda della prigionia e della tragica morte del Nolano,
troppo spesso abusata chiave di lettura unilaterale e riduttiva d’una
esperienza assai complessa; no, a parlare sarà Giordano Bruno in persona, con
buona pace di chi non ha avuto la pazienza di ascoltarlo prima, potendo evitare
così giudizi frettolosi.
E’ il 1583 e Bruno così si presenta: “… proclamatore di una filantropia universale, che non
preferisce gli Italiani ai Britanni, i maschi alle femmine, le teste mitrate a
quelle incoronate, gli uomini di toga a quelli d’arme, coloro che portano il
saio a coloro che non lo portano, ma colui che è più temperante, più civile,
più leale, più capace; che non prende in considerazione la testa unta, la
fronte segnata, le mani lavate, il pene circonciso, ma (e ciò permette di
conoscere l’uomo dal viso) la cultura della mente e dell’anima. Che è odiato
dai propagatori d’idiozie e dagli ipocriti, ma ricercato dagli onesti e dagli
studiosi…”[3]
Un anno prima, nel dialogo introduttivo del De Umbris Idearum, afferma: “… il nostro
ingegno non ci vincola ad un particolare genere di filosofia altrui, e non ci fa disprezzare in generale nessuna
strada filosofica…”[4].
Nella Cena delle Ceneri, biasimando
l’idiozia di chi odia e combatte gli “altri” per la diversità di cultura e
religione: “… crescemo et siamo allevati co la
disciplina et consuetudine di nostra casa, et non meno noi udiamo biasimare le
leggi, gli riti, le fede, et gli costumi de nostri adversarii, et alieni da
noi: che quelli de noi, et di cose nostre. Non meno in noi si piantano per
forza di certa naturale nutritura le radici del zelo di cose nostre: che in
quelli altri molti, et diversi de le sue. Quindi facilmente ha possuto porsi in
consuetudine, che i nostri stimino far un sacrificio agli dei, quando arranno
oppressi, uccisi, debellati, et sassinati gli nemici de la fé nostra: non meno
che quelli altri tutti quando arran fatto il simile a noi. Et non con minor
fervore et persuasione di certezza quelli ringraziano Idio d’aver quel lume per
il quale si promettono eterna vita: che noi rendiamo grazie di non essere in
quella cecità et tenebre ch’essi sono…”[5]
E ancora sulla necessità di apportare ragioni
ai propri argomenti e non basarsi sulla fede cieca e sulla consuetudine
dogmatica: “… Nundinio come colui che quello che dice,
lo dice per una fede et per una consuetudine; et quello che niega, lo niega per
una dissuetudine et novità, com’è ordinario di que’ che poco considerano et non
sono superiori alle proprie azzioni, tanto razzionali, quanto naturali; rimase
stupido e attonito…”[6]
Nello Spaccio
della bestia trionfante, Bruno colloca in cielo, al posto dell’immagine di
Ercole, la forza d’animo e la costanza, capaci di domare la cieca fortuna, ma
aggiunge, rivolto appunto alla “Forza” come virtù personificata: “… conduci le tue virtuose figlie Sedulità, Zelo Toleranza, Magnanimità, Longanimità… “[7]
Tolleranza assolutamente necessaria tra gli
uomini se, come aveva detto prima a proposito della “verità”: “… la quale come non è chi alcunamente la possa toccare, cossì
non si trova qua basso chi la possa perfettamente comprendere: perché non è
compresa, o veramente non viene appareggiata se non da quello in cui è per
essenza; e questo non è altro che lei medesima. E perciò da fuori non si vede
se non in ombra, similitudine, specchio ed in superficie…”[8]
Riguardo alla libertà
di pensiero ed espressione, viene comandato al potere giudicante, nell’atto di
esercitare le sue funzioni: “… che non attenda a
quel che s’imagine o pense ciascuno, pur che le paroli e gesti non corrompano
il stato tranquillo; e massime verse in correggere e mantenere tutto quel che
consiste ne l’operazioni…”[9] Il che, tradotto in
termini moderni, suona: solo gli atti criminosi o l’istigazione a delinquere
possono essere legittimamente puniti e non già la libera espressione d’idee. E
che dire di queste parole: “A che verrà il mondo,
se tutte le repubbliche, regni, dominii, fameglie e particolari diranno, che si
deve esser santo col santo, perverso col perverso? e si faranno iscusati
d’essere scelerati, perché hanno il scelerato per compagno o vicino? e
pensaranno che non doviamo forzarci ad esser buoni assolutamente, come fussimo
dei, ma per commoditate ed occasione, come gli serpenti, lupi ed orsi, tossichi
e veneni?…”[10]
E si potrebbe continuare, se i limiti di
questa relazione lo consentissero. Ma se lo studio attento e diretto dei testi
bruniani dimostra inconfutabilmente la sua, giustamente invocata, paternità
ideale nei confronti della Massoneria Universale e di qualsivoglia posizione
che si richiami al ‘libero pensiero’, è possibile aggiungere di vantaggio altro
ancora.
Il professor Mola, nella stessa pagina in cui
nega recisamente qualsiasi discendenza “della Libera Muratoria in quanto tale”
dalla figura di Giordano Bruno, mette in nota, per una valutazione scientifica
dell’illustre pensatore, l’ormai classico libro di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica.
Non è chi non conosca la Yates; insieme a M.
Ciliberto (a parere di chi scrive) la più importante e originale scrittrice di
cose bruniane degli ultimi trentacinque anni. Ebbene, esattamente trentacinque
anni fa, nella prima edizione del suo bel libro, la studiosa inglese così si
esprimeva, sintetizzando l’opera di Bruno: “Dove mai si ritrova una simile
sintesi di tolleranza religiosa, di solidarietà psicologica col passato
medievale, di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla
religione e al simbolismo degli Egiziani? L’unica risposta a questa domanda che
mi venga in mente è: nella massoneria, con il suo mitico collegamento con i
muratori medievali, con la sua tolleranza, la sua filantropia e il suo
simbolismo egiziano. La massoneria, come istituzione ben caratterizzata, non
appare in Inghilterra che agli inizi del XVII secolo, ma certamente essa ebbe
precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo, sebbene sia
questa una materia estremamente oscura. A questo proposito brancoliamo nel
buio, fra strani misteri, ma non possiamo fare a meno di domandarci se non sia
stato proprio fra gli Inglesi spiritualmente insoddisfatti, i quali forse
trovarono nel messaggio ‘egiziano’ di Bruno qualche motivo di sollievo, che i
temi del Flauto magico risuonarono
per la prima volta nell'aria.”[11].
E ancora: “Bruno applicò il suo ermetismo per la monarchia, al culto
cavalleresco tributato a Elisabetta I dai suoi cavalieri. Gli interessi del
primo massone a noi noto, Ashmole, non contrasterebbero con l’idea che egli
fosse influenzato da motivi che risalivano ai circoli di corte del tempo di
Elisabetta. Ashmole era un fervente realista con un forte interesse per la
storia della cavalleria. Che l’influenza di Bruno perdurasse in circoli di
corte è indicato dal Coelum Britannicum
rappresentato a corte solo dodici anni prima dell’ingresso di Ashmole nella
Massoneria. Non è una supposizione impossibile che l’importazione di idee dei
Rosacroce in Inghilterra, dai cui furono influenzati Fludd, Vaughan e Ashmole,
possa essersi incrociata con una precedente corrente cortigiana, forse
influenzata da Bruno, dando così vita alla Massoneria”[12]. Ma anche sul ‘movimento’ dei Rosacroce sembra
aleggiare l’influenza bruniana. Più volte dai costituti del processo al Nolano
emerge un particolare, pregiudizievole per la sorte dell’imputato, ma assai
verosimile e in accordo con le vicende biografiche e le dottrine che di lui
conosciamo: Bruno avrebbe fondato in Germania una nuova setta, diversa da tutte
le altre e che aveva trovato largo seguito tra i luterani. Di questa setta non
sappiamo niente di più di quanto ci accennino i documenti del processo
bruniano, ma è un fatto che, pochi anni dopo il soggiorno di Bruno, proprio in
Germania compaiano i manifesti dei Rosacroce. E citando ancora la suddetta
studiosa britannica: “Giordano Bruno, errando attraverso l’Europa, aveva
predicato l’approssimarsi di una riforma generale del mondo, fondata sul
ritorno alla religione ‘egizia’, insegnata nei trattati ermetici, una religione
che doveva superare le differenze religiose con l’amore e la magia e doveva
basarsi su una nuova visione della natura da conseguirsi mediante esercizi
ermetici di contemplazione. Aveva predicato questa religione, presentata in forme
mitologiche, in Francia, Inghilterra e Germania. A sentir lui, aveva fondato in
Germania una setta (detta dei ‘giordanisti’) che esercitò una grande influenza
tra i luterani. Altrove ho suggerito che potrebbe esservi un nesso tra i
‘giordanisti’ di Bruno e il movimento rosacrociano, che un segreto influsso
bruniano potrebbe aver contribuito allo sviluppo del genere di riforma
adombrato dai manifesti rosacrociani.”[13]
. Così Frances Yates, significativamente isolata – fatta eccezione per
l’eccellente libro di Saverio Ricci, La
fortuna del pensiero di Giordano Bruno 1600-1750 – nell’indagine dal di dentro dei rapporti tra
Bruno e le società segrete dei secoli XVII e XVIII. E per l’appunto Saverio
Ricci conviene menzionare, per una vicenda assai singolare, ambientata
nell’Europa dei primissimi anni del Settecento e avente come centro di
irradiazione l’Inghilterrra: “Nel 1713 uscì a Londra la prima e assai discussa
traduzione inglese dello Spaccio, la Expulsion
of the triunphant beast: sulle reazioni che questa, come altre
iniziative dei freethinkers, suscitò
nell’establishment culturale e religioso diremo più avanti. Si vuole per ora
guardare all’episodio solo dal punto di vista del problema della circolazione
materiale dello Spaccio e in generale
delle opere italiane del Nolano nell’Inghilterra di quegli anni. Toland fu da
molti creduto l’autore della versione…”[14].
Di seguito: “Le idee politiche agitate da Collins, Shaftesbury e Toland nei
circoli whig e nella sodalitas socratica dei pantheists (che ‘correspond to (…)
the Lodge of the Freemassons which was founded about the same time, 1717, in London’, dice
sempre Ricci citando da F.H. Heineman, John Toland and the age of Enlightenment,
‘Rewiew of English Studies’ xx (1944), pp.125-146: 139) si radicavano in una concezione
della natura e dell’uomo, della religione e dell’etica che aveva in Bruno una
delle sue fonti più importanti. Infatti l’interpretazione e la messa in
circolazione libertina o freethinker
della ‘Nolana filosofia’ rappresentavano per il loro principale promotore uno
dei momenti più significativi della costruzione di quel credo
filosofico-religioso che – come vedremo – il partito ‘protestante’ e
‘repubblicano’ europeo avrebbe dovuto darsi. Toland intendeva serrare, attorno
a quel credo, le fila di un movimento intellettuale internazionale capace di
influenzare le scelte politiche di stati protestanti come l’Inghilterra,
l’Olanda e lo Hannover, ma anche del cattolicissimo Impero Asburgico, che
attraverso diplomatici e militari libertini, quali Eugenio di Savoia e Georg
Wilhelm von Hohendorf si faceva ostile al papato e alle monarchie
‘papiste’(Francia e Spagna) e si avvicinava piuttosto al mondo protestante e
anglosassone. La propaganda ‘repubblicana’ e whig si connetteva quindi
sottilmente alla diffusione degli scritti di Bruno, degli autori ‘eretici’ e
‘scismatici’, dei libelli antiromani, delle dottrine ‘panteiste’. Bruno
diventava così anche strumento di agitazione politica, o, meglio, uno degli
elementi più sostanziosi di quella cultura libertina ed eretica, spregiudicata
ed eversiva che Toland e i suoi volevano porre alla base di una rinnovata
azione politica sia sul piano inglese che su quello internazionale”[15]
. Ma per chi volesse notare che Le
Costituzioni di Anderson del 1723 non odoravano eccessivamente di
spregiudicatezza ed eversione, lasciamo ricordare ancora a Ricci che “… Toland
coinvolse, più o meno direttamente nella sua propaganda, non soltanto whigs,
radicali e notori freethinkers, come
Collins, Clavel, Baker, ma anche personaggi di primo piano nell’establishment
politico quali Lord Aylmer e Lord Harley, nel tentativo di conquistare i
vertici sia del partito whig che del partito tory al suo programma filosofico e
politico(…) fuori d’Inghilterra la diffusione bruniana promossa da Toland investì
progressivamente i Paesi Bassi e la Germania, Vienna e l’Italia. Il filosofo
irlandese aveva una notevole familiarità con gli ambienti dotti del
continente…”[16]
Insomma,
la storia della nascita ufficiale della massoneria moderna speculativa
in Inghilterra e della sua diffusione
continentale appare parallela e fortemente intrecciata alla reviviscenza e
circolazione bruniana degli stessi anni. La storia puntuale e particolareggiata
di questa importante connessione non è stata ancora scritta. Essa potrà darci,
credo, informazioni anche più sorprendenti e decisive del rapporto tra il
pensiero bruniano, talvolta così finemente mitologico e allusivo e miti e
simboli che avrebbero caratterizzato la Weltanschauung massonica. A
conclusione, un piccolo spunto di riflessione per coloro –fra i lettori di
questa relazione e i presenti al convegno –
che frequentano i lavori massonici nelle logge.
Giordano Bruno, nello Spaccio della bestia trionfante rappresenta lo svolgimento di un
concilio degli dei. A che ora devono
cominciare i lavori di questo concilio? L’autore ce lo dice per ben due
volte, nell’epistola esplicatoria e all’inizio della terza parte del I Dialogo: a
mezzogiorno.
Qual è lo scopo di
questo concilio?
L’intento di Giove e degli dei, ci dice Bruno, è nientemeno che la riforma e il
progresso dell’umanità che si dibatte
nella cecità, nell’ignoranza e nella corruzione.
Con quali mezzi vengono attuati questa riforma e questo
progresso? Esaltando nelle costellazioni tutte
le virtù utili alla convivenza umana e scacciandone in basso i vizi che colpevolmente gli dei vi
avevano lasciato dimorare… Sat prata biberunt …
[1] Cfr.‘Oratio valedictoria’ in
Opere di Giordano Bruno e Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R.
Amerio, pp. 687-688.
[2] Cfr. Aldo A. Mola Storia
della Massoneria Italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano
1994, pp.196-7.
[3] Cfr. Giordano Bruno Opere latine, II (1), pp.76-7.
[4] Cfr. Giordano Bruno Le Ombre delle Idee, a cura di M.
Maddam, Mimesis, Milano 1996, p.33.
[5] Cfr. Giordano Bruno La Cena delle Ceneri, a cura di G.
Aquilecchia, Torino 1955, p.111
[6] Ibid. p.166.
[7] Cfr. Giordano Bruno Spaccio de la bestia trionfante, a cura
di M. Ciliberto, Milano 1985, p.199.
[8]
Ibid. p. 158.
[9]
Ibid. p. 162.
[10]
Ibid. p.249.
[11] Cfr. F.Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica,
Bari 1969, p.300.
[12] Ibid. p.447.
[13] Cfr.F.Yates, L’illuminismo dei Rosacroce, Torino 1976, p.163.
[14] Cfr. S. Ricci, La fortuna del pensiero di Giordano Bruno
1600-1750, Firenze 1990, p.249.
[15] Idid. pp.258-9.
[16] Ibid. pp.259-60.
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