domenica 28 agosto 2016

DISFATTA [evitabile] DEI GIALLOROSSI IN CHAMPIONS. OGGI IL RISCATTO IN CAMPIONATO?



   La Roma getta via la qualificazione ai gironi di Champions dopo averla assaporata una settimana prima con il pareggio e il goal segnato nella trasferta di Oporto. Le cause della disfatta sono ancora sotto gli occhi di tutti ma vale la pena di ricordarle a poche ore dalla disputa della seconda di Campionato:

1)  La Federcalcio non ha posticipato la prima di campionato della Roma [ma i dirigenti della società avevano chiesto il rinvio?!], pur essendo chiaro che sostenere tre partite in una settimana è proibitivo per tutti, in particolare per le squadre impegnate in estenuanti tournée estive e con alcuni giocatori reduci da rassegne internazionali, come i Campionati europei e la Coppa America.

2)  Inadeguata preparazione per il doppio impegno di Champions e per la prima di Campionato: la Roma ha corso solo nei primi 35 minuti di gioco contro il Porto e, nella terza delle tre partite settimanali, la più importante, i giocatori hanno solo camminato mettendo in evidenza una scarsa condizione fisica; di qui anche i falli commessi e le due relative e forse determinanti espulsioni.

3)  Spalletti che aveva sotto gli occhi la condizione fisica dei suoi uomini avrebbe dovuto operare un ampio turnover nella partita contro l’Udinese, poco importando, rispetto al maggiore obiettivo di Champions, se la Roma invece di travolgere gli avversari per quattro goal a zero, avesse pareggiato o perso la partita. In Campionato aveva modo di recuperare, non ha più tempo invece per l’Europa calcistica che conta.

4)Contravvenendo non soltanto alla scaramanzia, Spalletti sostituisce Alisson, che aveva difeso la porta giallorossa a Oporto, con Szczęsny, il portiere polacco riconfermato nel prestito solo da pochi giorni e che non ha potuto allenarsi con i compagni in vista delle decisive gare contro il Porto.

5) Dopo l’espulsione di De Rossi, che fa Spalletti? Invece di schierare una difesa a tre, fa entrare in campo Emerson Palmieri. Si priva così di un attaccante, proprio quando c'è da recuperare il punteggio e dimostra scarsa memoria circa i due falli commessi nella propria area [di cui uno soltanto punito col rigore] dall’improvvido terzino brasiliano nella partita di Oporto. Il risultato è l’espulsione del nuovo entrato per un fallo, questa volta, bontà sua, commesso fuori della propria area di rigore.

6)  Per rinvigorire l’attacco, l’allenatore giallorosso, dimenticando di avere in panchina El Shaarawy e Totti, fa entrare il solito inconcludente Iturbe, inutilmente sperando nella sua velocità.

7) Quando ancora tutto sembra possibile, con il recupero del punteggio da parte della Roma e la possibilità di andare almeno ai supplementari, ecco la ciliegina sulla torta indigesta: l’uscita a dir poco suicida di Szczęsny dalla porta, descrivendo nemmeno una retta, ma addirittura una semicirconferenza per andare a fermare un attaccante avversario ancora distante e decentrato dalla rete: un gioco da ragazzini uccellare l’ingenuo guardiano romanista ed è anche l’atto sciagurato e definitivo di questa sin troppo evitabile disfatta giallorossa! L'auspicio è quello di un pronto riscatto nella partita di questa sera contro il Cagliari, sempre che si faccia tesoro degli errori commessi all'Olimpico contro il Porto.


sergio magaldi

lunedì 15 agosto 2016

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Quarta]





Segue da:
Clicca su ciascun titolo per leggere.

I termini in grassetto rappresentano altrettante voci del glossario essenziale per lo studio della Qabbalah.
                                                            
Abraham ben David

Abraham ben David (1125-1198) di Posquières (Narbonne), padre del più famoso Isacco il Cieco, fu autore di scritti in polemica con Maimonide e di commenti sul Talmud. Fondò un’accademia talmudica, dove ben presto si praticò la Kavvanah (concentrazione), lo studio della Torah e la lettura del Sepher Bahir.  Di qui si formarono diversi circoli di asceti o Perushim. Il più noto fu, in un primo tempo, il gruppo di Jacob Hanazyr dedito in particolare alla meditazione sulle Sephiroth. I perushim provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi. Huqe ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito tra i discepoli.

Ba‘al Shem Tov

“Signore del Buon Nome”, così fu chiamato Isra’el Ben Eli‘ezer (1700 ca - 1760), fondatore del movimento chassidico dell’Europa orientale.

Bene [e Male]

Che significa il versetto: E avvenne che, quando Mosè teneva la sua mano alzata, Israele era più forte, ma quando egli faceva riposare la sua mano, Amalec era più forte (Es.17.11)? Ci insegna che il mondo esiste grazie all’elevazione delle mani. Per quella forza che è stata data a Giacobbe nostro padre, il cui nome è Israele. Ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe furono date forze, una a ciascuno di essi, in base all’attributo secondo il quale ognuno regolava la propria condotta. Abramo era caritatevole verso il mondo… (Sepher Bahir, 135) Quando Mosé chiese di conoscere il Nome glorioso e terribile, sia benedetto… domandò perché a un giusto tocchi in sorte il bene e a un altro il male, e parimenti, a un malvagio tocchi in sorte il bene e a un altro il male. Ma non gli fu dato di saperlo (194) Perché a un giusto tocca in sorte il bene e a un altro il male? Giacché quel giusto, a cui tocca il male, era stato in precedenza un malvagio, e ora incorre nella punizione. E’ possibile che lo si punisca per quanto compiuto durante la giovinezza?… Gli rispose: Non parlo di questa vita, ma di quanto è già accaduto nel passato… A che cosa si può paragonare? A un uomo che piantò una vigna nel proprio giardino, con la speranza di produrre buona uva, ma non ne ottenne che di scadente. Quando vide che non aveva avuto successo, la piantò, la recintò, la rafforzò, ripulì i grappoli buoni dai cattivi, e poi la ripiantò una seconda volta, ma vide che non era riuscito; la piantò ancora e la recintò, dopo averla ripulita; ancora non riuscì: sradicò e piantò nuovamente. Per quante volte? Per mille generazioni(195) Se non vi fossero le vostre colpe non vi sarebbe differenza tra voi e lui... L'uomo avrebbe un’anima superiore se non fosse per le colpe. L’hai fatto poco meno di un Dio (Sal.8.6) Cosa significa poco meno? Che egli ha colpe, ma il Santo, sia Egli benedetto, non ne ha, che Egli sia benedetto e benedetto il suo Nome in eterno. Egli non ha colpe e tuttavia la cattiva inclinazione proviene da lui! (196)

Bereshìt

Genesi [“In principio”]: il primo dei cinque libri che compongono la Torah. Rappresenta l’inizio della manifestazione e dunque del tempo storico.

Bet

Seconda lettera dell’alfabeto ebraico, con cui inizia  il Bereshit,  la Torah e il tempo. La grafia che la chiude da un lato indica che nulla è conoscibile prima della manifestazione.

Betzalel

Betzalel, [Bet-tzadè-lamed-alef-lamed], il nome dell’artista prescelto dal Signore per la costruzione della Menorah e di parte del Tabernacolo, ha valore numerico 153 (leggendo le lettere da destra a sinistra: 2+90+30+1+30 = 153), ossia il triangolo di 17.   “Il 17 - osserva Nadav Eliahu -  è un numero importantissimo in Qabbalah poiché è il numero indicante il bene (Tov). Non a caso è la Ghematria di due dei 72 Nomi di Dio, il 1° e il 49°. Anche questi numeri non sono casuali, in quanto si riferiscono alle Cinquanta Porte dell’Intelligenza, le più importanti delle quali sono la prima dall’alto e la quarantanovesima dal basso. Ed ecco che 17 è anche il valore di EGOZ (noce), un frutto esoterico, studiando il quale il re Salomone ricavò importanti considerazioni sulla struttura degli universi paralleli (vedi il Cantico dei Cantici, al versetto ‘Sono sceso al giardino delle noci’)”.  Il 17, inoltre, è anche il valore della parola Hagadah e osserva ancora Nadav Eliahu, (Misparei Ha-Sod. I numeri del segreto, Milano, 1990, pp. 29-30): “Il nome Hagadah (leggenda) si riferisce a tutta quella parte della tradizione orale dell’Ebraismo che contiene racconti e descrizioni basate soprattutto sul funzionamento tipico dell’emisfero cerebrale destro. Il valore 17 allude all’intrinseca bontà di questa parte, a volte ingiustamente trascurata o minimizzata dagli ebrei razionalisti.”

Binah

Binah-Intelligenza è la terza Sephira dell’albero della vita. Comprende Cinquanta Porte, di cui solo 49 furono accessibili a Mosé.

Birur Niztotzot

Termine utilizzato nella Qabbalah lurianica [Ari-Arizal] per indicare la selezione delle scintille di luce cadute in basso, dopo la rottura dei Vasi.

Bittul

Rappresenta l’auto-annullamento dell'Io, il potere dell’Anima che nel suo più alto livello trasforma l‘Ani - Io in Ayn – Nulla, e prepara alla contemplazione del  Divino.

[Tohu]-Bohu

[Caos e informità]: La terra era caos e informità. Significa che era già caos. Era Tohu e tornò ad essere Bohu (Sepher Bahir, 2) I concetti di materia e forma si collegano a quelli di luce e tenebra. La riconoscibilità del bene attraverso il male, come la luce attraverso la tenebra. La terra era caos perché prodotta dalla condensazione della luce originaria che si era ridotta per poter essere vista, nella parte mancante della luce originaria subentra la tenebra, la luce condensata o materia caotica. Dio ha fatto una cosa contrapposta all’altra(Eccl.7.14) Creò l’informità(bohu) e la collocò nella pace. Creò il caos(tohu) e lo collocò nel male, creò l’informità e la collocò nella pace, nel bene (11). Da dove si deduce che il caos è nel male? Dal versetto: Colui che opera il bene e crea il male-(Is.45.7). La forma o informità viene dunque creata per limitare o circoscrivere il male. E’ la luce rimasta dopo la riduzione della luce originaria e che serve a rimettere ordine nel caos della materia (12) E’ il tohu dal quale proviene il male che stupisce gli uomini (135) ‘…compi il tuo lavoro nella tua dimora… In tal modo, non potranno vederti né nuocerti, giacché essi… si tengono lontani da ogni condotta buona e scelgono il cattivo comportamento. Quando vedono che un uomo s’avvia lungo una strada onesta, e la percorre, lo prendono in odio. Che cos’è? E’ Satana. Questo ci insegna che il Santo, sia Egli benedetto, ha un attributo il cui nome è male (162) E tohu significa male che frastorna il mondo affinché pecchi. Ogni cattiva inclinazione dell’uomo proviene di là…Perché l’istinto del cuore umano è inclinato al male fin dalla sua adolescenza(Gen.8.21) e il compito dell’uomo è nel vincere le cattive inclinazioni, nel mettere ordine nel caos dei desideri, nel dare forma alla sua vita nella materia (167)

Briah

Briah [Creazione]: il secondo dei quattro universi paralleli dopo Atzilut. Rappresenta l’apparire di qualcosa dal nulla, la creazione ex-nihilo. Si tratta, tuttavia, di una realtà ancora del tutto spirituale, la matrice di tutte le forme particolari della manifestazione. Scientificamente corrisponde al “campo unificato” spazio-temporale da cui originano le particelle atomiche. [SEGUE]

sergio magaldi


domenica 7 agosto 2016

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Terza]




SEGUE DA:
  Clicca su ciascun titolo per leggere


Prosegue il glossario essenziale su termini, concetti e nomi noti nello studio della Qabbalah. Le parole in grassetto costituiscono altrettante voci del glossario.



ANIMA

Cinque sono i livelli dell’anima nella concezione ebraico-cabbalistica. Il livello più basso, anche se indispensabile all’incarnazione e alla vita sulla terra, è rappresentato da NEPHESH. Comune agli esseri umani e agli animali, questo livello dell’anima presiede alla vita istintuale, è assimilato al sangue che scorre nei corpi, e ha la sua fonte nel fegato. Presente nel corpo al momento della formazione dell’embrione, lo abbandona dopo la morte, ma solo quando è avvenuta la completa putrefazione della carne e dopo che il terzo e il quarto livello dell’anima sono già usciti dal corpo.
Il quarto livello è rappresentato da RUACH, il soffio vitale. Anche questo livello dell’anima è comune tanto agli esseri umani che agli animali. È lo spirito di vita che entra nei corpi al momento della nascita e che fuoriesce con l’ultimo respiro della morte. La sua fonte è nel cuore e nei polmoni. È questo il livello dell’anima che abbandona il corpo prima di NEPHESH e subito dopo NESHAMAH.
Il terzo livello dell’anima è appunto rappresentato da NESHAMAH ed è ciò che caratterizza lo spirito di una persona, la sua razionalità, la sua sensibilità, il suo equilibrio e le sue conoscenze. Questo livello appartiene esclusivamente agli esseri umani ed ha la sua fonte nel cervello. Entra nel corpo in età puberale ma il tempo preciso del suo ingresso varia da individuo a individuo. Abbandona il corpo sempre prima di RUACH e NEPHESH.
Diverso il discorso per i due restanti livelli: il secondo, CHAYA, manifesta l’intuizione e la comprensione della trascendenza; il primo, YECHIDAH, la completa identificazione con l’unità e con il divino. Entrambi questi livelli dell’anima non sono accessibili a tutti. Da parte di alcuni cabalisti i cinque livelli dell’anima sono visti come altrettanti corpi di luce che riempiono i quattro mondi [OLAM].

ASSIAH

La Qabbalah individua quattro universi paralleli nella manifestazione. L’ultimo e il più basso è Assiah, dove domina la materia e l’azione e dove il male metafisico e morale tende a prevalere.

ATZILUT

È il primo e il più elevato dei quattro mondi, Olam Atzilut o mondo dell’Emanazione. In lui è contenuto tutto il progetto divino,  quale si viene realizzando negli altri tre universi.

ARI 

Ari “Leone”, soprannome reverenziale nonché acronimo di Ashkenazi Rabbi Yitzhak, il maestro cabbalista askenazita Isacco Luria vissuto nel XVI secolo tra Gerusalemme e Safed. Con lui si chiude la Qabbalah classica e medievale e inizia la speculazione cabalistica moderna e contemporanea. In suo onore, ma talora anche per sottolineare le differenze con il passato, si parlerà di Qabbalah lurianica. Haym Vital,  suo discepolo della cerchia di Safed, ebbe un ruolo determinante nel divulgare il pensiero del maestro.

ARIZAL

Altro soprannome di Isacco Luria, formato da due acronimi: ARI e ZAL. Per il primo [ARI] si veda la voce precedente. ZAL, il secondo acronimo è formato da Zikhrono Livrakha [“Benedetta la sua memoria”], con l’aggiunta di una vocale [com’è noto le vocali non fanno parte dell’alfabeto ebraico] per unire le due consonanti.

AUR [OR]

Aur [Or, Luce]: Il punto di luce, adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. E’ davvero così? L’invisibile puntino da cui lo yud - la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico - è tracciato è davvero altro? Osserviamo intanto che quel puntino di luce è per noi invisibile  proprio come la luce oscura e, dunque, partecipa della stessa natura di questa. Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: “Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.” (Genesi 1:4). La separazione consentì all’uomo - vista l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della creazione - di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto con le tenebre. Naturalmente questa oscurità non ha nulla a che vedere con l’Oscurità originaria, da cui scaturì il primo punto di luce.
Gli uomini non sopportano la vista della luce troppo fulgida (bahir), il buio è per te come la luce ( Sepher Bahir, 1) Solo della luce c’è sostanza, non così della tenebra che, pure, è creata da Dio (13) La luce precedette il mondo (16) Nessuna creatura può guardare la prima luce (147). Qual è il nascondiglio della potenza di Dio? E’ la luce che ha celato e nascosto e che tiene in serbo per i giusti del ‘olam ha-ba o mondo a venire, quella che rimane è per coloro che confidano in Dio, osservano la Torah, compiono i suoi precetti, santificano il suo Nome e ne proclamano l’unità in segreto e in pubblico (148) La Torah è una luce (149) Fu così creata una grande luce, che nessuna creatura avrebbe potuto sopportare. Il Santo, sia Egli benedetto, vide che nessuno poteva tollerarla: ne prese allora la settima parte, e la sostituì, per essi all’intero. Il resto lo ripose per i giusti a venire (160)E’ scritto: E Dio disse: Sia la luce, e la luce fu. In verità, questo ci insegna che la luce era assai grande, né alcuna creatura poteva fissarla (190).

AVAYA

Nome formato dalle quattro lettere del Tetragramma. Indica l’esistenza e la manifestazione.

AVRAHAM ABULAFIA

Avraham Abulafia [Saragozza 1240 – località della Sicilia, data probabile il 1291] cabbalista itinerante, fu in Grecia dove forse subì l’influenza dell’Esicasmo cristiano, in Israele, in Italia, a Capua dove gli fu maestro Rabbi Hillel di Verona, in Catalogna, in Castiglia dove ebbe numerosi e importanti discepoli e, infine, in Sicilia dove, con molta probabilità terminò la sua vita. Famoso il suo tentativo di incontrare il Papa Niccolo III nel 1280 presso il castello Orsini di Soriano nel Cimino, nonostante le minacce papali di rogo. Il Papa che si era rifiutato d’incontrarlo e che lo aveva minacciato di morte, morì all'improvviso.
Abulafia conobbe l’ostilità tanto dell’ambiente ebraico–cabbalistico quanto di quello cristiano. L’ossessione, per così dire, che egli manifesta per l’Uno e per l’Unità (Ichud) lo porta a polemizzare aspramente col concetto cristiano di Trinità, mentre, sul versante cabbalistico, lo induce al conflitto con la cosiddetta Qabbalah delle Sephiroth, di fronte alla quale, sulla scia di Isacco il Cieco, ripropone con forza la Qabbalah del nome di Dio e delle ventidue lettere dell’alfabeto con cui Dio creò il mondo.
Abulafia è ritenuto, l’iniziatore di una Qabbalah estatica o profetica. Ma, a parte la considerazione che molti dei temi da lui trattati erano stati già affrontati da Isacco il Cieco e dalla sua scuola, la stessa pratica della concentrazione e della meditazione non era mai venuta meno nella tradizione ebraica. Già la preghiera era sempre stata uno strumento di meditazione (soprattutto L’ Amidà e lo Shemà Israel), come pure l'uso di prendere un versetto della Bibbia come oggetto di meditazione (gherushin), la concentrazione per la conoscenza del sé o Hitbonenuth (già utilizzata da Maimonide) che può prendere a riferimento una pietra, una foglia, un fiore, un'idea ecc...ma che ha lo scopo la comprensione di se stessi alla luce degli altri oggetti della creazione. Noto era anche l’uso del mantra (Ribbonò shel Olàm, ‘Padrone dell'Universo’, il più importante) per il mantenimento della concentrazione.
L’originalità di Abulafia, tuttavia, consiste nell’aver saputo distinguere tra contemplazione semplice e concentrazione capace di condurre sino alla visualizzazione. L’esperienza mistica della visione dei colori ( per esempio, i cinque colori che si sprigionano dal lume di una candela o da una lampada ad olio: biancogiallorosso neroazzurro) è da lui considerata la più semplice tra quelle consentite dalla Qabbalah, ma è di grande importanza perché rappresenta lo stadio iniziale di ogni ulteriore e più complessa visualizzazione. Il valore numerico di Machazeh visione è 60, con lo stesso valore: Kli  recipiente (uno dei 72 nomi di Dio), Ganaz nascondere, Hineh  ecco! Halakhah  regola di vita, Gaon  sapiente. In Abulafia è anche frequente la Ghematria ha Machazeh (65) la visione, con Adonai (65), terzo dei nomi di Dio, dopo il Tetragramma ed Elohim.
La meditazione vera e propria è tuttavia, per Abulafia, quella che si esercita attraverso la contemplazione delle lettere dell’alfabeto, a cominciare dalle tre lettere madri: Alef  Mem  Shin e dal nome di Dio di quattro lettere (Tetragramma), anche ricorrendo alla tecnica della permutazione o Temurah. La meditazione sul Tetragramma può cominciare dalla consapevolezza di uno dei suoi significati: la prima lettera, la Yud è la moneta  o la vita, la seconda, la He  è la mano divina che dona la vita, la terza lettera o Waw è il braccio che si tende per donare, la quarta lettera, infine, o seconda He, è la mano di chi riceve.
Un’altra meditazione raccomandata da Abulafia è quella su Ayn, nulla, alla quale si può accedere fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la nostra testa, oppure mettendo in relazione Ayn, nulla con Anì, io. [SEGUE]

sergio magaldi





martedì 2 agosto 2016

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Seconda]




SEGUE DA: INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Prima]. Clicca sul titolo per leggere.

Continua di seguito il glossario essenziale di termini e concetti per accostarsi allo studio della Qabbalah. Le parole in grassetto costituiscono altrettante voci del glossario.


Adam Qadmon

La Qabbalah ritiene che l’Adam Qadmon sia l’archetipo dell’uomo, l’Uomo Universale. Prima configurazione della Luce divina e della forma più alta con la quale la stessa si manifesta dopo lo Tzimtzum. L’Adam Kadmon e l’Albero delle Sephiroth [Albero della vita] sono entrambi espressione del principio della manifestazione.
L’Adam Qadmon non è in alcun modo da confondersi con un ipotetico uomo cosmico di natura bisessuale e neppure con la sua larvata presenza asessuata e tuttavia spiritualmente comprensiva tanto del principio femminile che di quello maschile.

Aesh Mezareph [Esh M’zaref]

Titolo di opera di anonimo autore. Il trattato non è altro che il compendio che ne dà Christian Knorr von Rosenroth nella sua Kabbala Denudata, scritta in latino e pubblicata a Sulzbach tra il 1677 e il 1684.
Per l’anonimo autore, l’uomo è una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo umano con le Sephiroth dell’Albero della vita, l’uomo deve  apprendere a purificare i metalli impuri che si trovano in lui. Se riuscirà nell’impresa, non otterrà ricchezze materiali, ma acquisterà in cambio longevità e saggezza. Aesh mezareph è il ‘Fuoco Purificatore’ e in qualche misura pare ispirarsi al fuoco di Malachia,3, 1-2 : « Questo vi risponde il Signore dell’universo : ‘ Io mando il mio messaggero a preparare la strada davanti a me. Il Signore che voi desiderate entrerà subito nel suo tempio. Attendete dunque il messaggero che proclamerà la mia alleanza con voi. Eccolo, sta per arrivare. Chi potrà sopravvivere al giorno in cui egli giungerà ? Chi potrà restare in piedi, quando apparirà ? Egli sarà come il fuoco che raffina i metalli, come il sapone che lava le vesti ’. »
S’intravede già dalle prime righe del testo il collegamento tra Qabbalah e Alchimia, nel senso tuttavia che senza la conoscenza della prima non sarà neppure possibile accostarsi alla seconda, almeno di non voler fare come « gli studenti volgari della natura » che male interpretando e per di più facendosi vanto di possedere la chiave di ogni segreto, finiscono per ottenere, in luogo di longevità e saggezza, malattie e disprezzo.
Il discorso cabbalistico in Aesh mezareph si avvale, com’è nella tradizione della Qabbalah, del continuo riferimento ai versetti biblici, dell’uso talora anche eccessivo della Ghematria e del costante rapporto tra le Sephiroth e i metalli, con analogie a prima vista sorprendenti ma che hanno la possibilità di essere comprese all’interno di una prospettiva alchemica. Sorprenderà così, per esempio, che la materia prima dell’Opera venga attribuita a Chokmah [Sapienza] – Piombo, la medicina dei metalli a Malkuth [Regno e Luna degli alchimisti] e l’oro a Gheburah [Potenza], e dove ci saremmo aspettati di trovare l’oro nella Sephirah più alta, vi troviamo invece il metallo più vile e dove la lebbra o la corruzione dei metalli, troviamo al contrario la medicina per purificarli. Quanto all’oro di Gheburah, apprendiamo subito dal testo che il fondamento dell’oro è nel ferro misto al fango e che esistono ben dieci qualità di oro. Spetta dunque a questa Sephirah esprimere le diverse e potenziali trasformazioni dell’oro, giacché in fondo un po’ d’oro si nasconde in ogni Sephirah e in ciascun metallo e tutto può essere purificato per l’azione di quella – per usare il linguaggio caro agli Orfici – « scintilla di luce » che si trova nei corpi.
Si comprende così anche il ruolo delle Sephiroth Chokmah e Malkuth. La prima e l’ultima, perché Kether, la Corona dell’Albero sephirotico,  è  la radice stessa dei metalli. Solo il saggio perviene alla comprensione della vera materia prima dell’Opera e solo lui conosce il potere della Luna per sbiancare i metalli impuri.
Al linguaggio alchemico-cabbalistico, fatto di continui riferimenti alle Sephiroth, alle ghematrie, ai passi biblici, alle varie fasi dell’Opera per la purificazione dei metalli, l’anonimo autore aggiunge l’uso dei quadrati magici. Così, seguendo l’ordine che ne dà egli stesso, il quadrato del Sole è in analogia con il Leone alchemico, con l’oro e con la potenza di Gheburah. Il quadrato della Luna si associa con l’argento, con Chesed e con le cinquanta Porte di Binah; il quadrato di Marte col ferro, con Tiphereth e con il cuore dell’uomo, giacché Tiphereth è un guerriero ed è chiamato a rettificare tanto la natura maschile che quella femminile.
Seguono ai precedenti: il quadrato di Giove in analogia con Netzach e con Binah e collegato allo stagno, un metallo, per la verità, di scarso valore; il quadrato di Venere associato con Hod, con il bronzo e con il verbo Tzaphah (osservare); il quadrato di Saturno legato al piombo e a Chokmah, al nome di Dio nella Sephirah e al sabato.
Per ultimo il quadrato di Mercurio, in relazione con Yesod, con l’argento vivo e con l’acqua aurea.
Inutilmente si cercherebbe nell’opera del Rosenroth il Compendium  in forma unitaria, perché vi si trova piuttosto disperso in vari frammenti. Il vero problema è allora quello di risolvere la questione del carattere e dell’autenticità di questi frammenti. Scrive in proposito Gerschom Scholem: « Il modo di esprimersi e il contenuto in queste citazioni mostrano con chiarezza che Knorr von Rosenroth aveva sotto gli occhi effettivamente un manoscritto ebraico che recava questo titolo, e non un qualche libro scritto in latino o in un’altra lingua. Dal modo letterale, anche se certo non sempre corretto, di tradurre di Knorr traspare a ogni piè sospinto l’ebraico […] L’autore conosceva il Talmud  e comprendeva il latino […] Ancora più chiaramente testimonia del carattere di questo testo il suo stesso contenuto. Il primo capitolo comprendeva visibilmente un’introduzione, di cui è citato il brano principale ; i capitoli dal secondo all’ottavo lasciano ancora vedere chiaramente la sequenza in cui erano disposti. Il testo era ordinato – nei capitoli che abbiamo; non è chiaro se ve ne fossero altri – secondo i metalli, e più esattamente nella sequenza: oro, argento, ferro, stagno, rame, piombo, mercurio e zolfo. Tre tipi di contenuto lo compongono: un contenuto puramente cabalistico, che riguarda il simbolismo mistico dei metalli nella loro connessione alle sefirot e cita, si noti, lo Zohar non più di una sola volta; un contenuto puramente chimico, che in sostanza descrive singole operazioni e processi, senza alcun rapporto con le altre parti del testo; e infine, come a concludere ogni capitolo, una parte astrologica che descrive gli amuleti planetari corrispondenti ai vari metalli, e fornisce materiale rilevante per l’indagine sulle origini di tale scritto. »
Circa la data presunta di composizione di Aesh mezareph, sempre lo Scholem propone che la stessa debba essere posta tra il 1620 e il 1660 e che comunque l’opera non possa essere stata scritta prima del 1560, dal momento che i passi citati dello Zohar si riferiscono all’edizione stampata a Cremona nel 1560.

Ayn [Ain]

Abulafia raccomandava la meditazione su Ayn, sedicesima lettera dell’Alfabeto ebraico, alla quale si accede fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la nostra testa, oppure mettendo in relazione Ayn, nulla con Anì, io. Per la forma grafica, simboleggia gli occhi, ma anche i due canali escretori. È il segno della realtà materiale e l’immagine del vuoto e del nulla.

Ayn Soph  


Ayn Soph  ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro. In realtà, l’Apeìron del filosofo ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’Ayn Soph dei cabbalisti, invece, non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. Come è scritto, in più di un testo della Qabbalah, in Ayn Soph, infinito, non c’è alcuna apertura, su di lui ogni interrogativo è vano, come su ogni idea che attenga alle possibilità del pensiero. Quando, nelle prime scuole medievali di Qabbalah si nomina Ayn Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito. Si osservi, infine, che Ayn Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef (valore 1), Yud (10), Nun (50), Samek (60), Waw (6), Phe (80) e che, per Ghematria, vale 207 come Raz segreto e Aur [Or] luce. [SEGUE]

sergio magaldi