SEGUE DA: INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Prima]. Clicca sul titolo per leggere.
Continua di seguito il glossario
essenziale di termini e concetti per accostarsi allo studio della Qabbalah. Le
parole in grassetto costituiscono altrettante voci del glossario.
Adam Qadmon
La Qabbalah ritiene che l’Adam
Qadmon sia l’archetipo dell’uomo, l’Uomo Universale. Prima configurazione della Luce divina e della
forma più alta con la quale la stessa si manifesta dopo lo Tzimtzum. L’Adam
Kadmon e l’Albero delle Sephiroth [Albero della vita] sono entrambi
espressione del principio della manifestazione.
L’Adam Qadmon non è in alcun modo da
confondersi con un ipotetico uomo cosmico di natura bisessuale e neppure con la
sua larvata presenza asessuata e tuttavia spiritualmente comprensiva tanto del
principio femminile che di quello maschile.
Aesh Mezareph [Esh M’zaref]
Titolo di opera di anonimo
autore. Il trattato non è altro che il compendio che ne dà Christian Knorr von
Rosenroth nella sua Kabbala Denudata,
scritta in latino e pubblicata a Sulzbach tra il 1677 e il 1684.
Per l’anonimo autore, l’uomo è
una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo
umano con le Sephiroth dell’Albero della vita, l’uomo deve apprendere a purificare i metalli impuri che
si trovano in lui. Se riuscirà nell’impresa, non otterrà ricchezze materiali,
ma acquisterà in cambio longevità e saggezza. Aesh mezareph è il ‘Fuoco Purificatore’ e in qualche misura pare
ispirarsi al fuoco di Malachia,3,
1-2 : « Questo
vi risponde il Signore dell’universo : ‘ Io mando il mio messaggero a
preparare la strada davanti a me. Il Signore che voi desiderate entrerà subito
nel suo tempio. Attendete dunque il messaggero che proclamerà la mia alleanza
con voi. Eccolo, sta per arrivare. Chi potrà sopravvivere al giorno in cui egli
giungerà ? Chi potrà restare in piedi, quando apparirà ? Egli sarà
come il fuoco che raffina i metalli, come il sapone che lava le vesti ’. »
S’intravede già dalle prime
righe del testo il collegamento tra Qabbalah e Alchimia, nel senso tuttavia che
senza la conoscenza della prima non sarà neppure possibile accostarsi alla
seconda, almeno di non voler fare come « gli studenti volgari della natura »
che male interpretando e per di più facendosi vanto di possedere la chiave di
ogni segreto, finiscono per ottenere, in luogo di longevità e saggezza,
malattie e disprezzo.
Il discorso cabbalistico in Aesh mezareph si avvale, com’è nella
tradizione della Qabbalah, del continuo riferimento ai versetti biblici,
dell’uso talora anche eccessivo della Ghematria
e del costante rapporto tra le Sephiroth
e i metalli, con analogie a prima vista sorprendenti ma che hanno la
possibilità di essere comprese all’interno di una prospettiva alchemica.
Sorprenderà così, per esempio, che la materia
prima dell’Opera venga attribuita
a Chokmah [Sapienza] – Piombo, la medicina
dei metalli a Malkuth [Regno e Luna degli alchimisti] e l’oro a Gheburah [Potenza], e dove ci saremmo
aspettati di trovare l’oro nella Sephirah
più alta, vi troviamo invece il metallo più vile e dove la lebbra o la
corruzione dei metalli, troviamo al contrario la medicina per purificarli.
Quanto all’oro di Gheburah, apprendiamo subito dal testo che il fondamento
dell’oro è nel ferro misto al fango e che esistono ben dieci qualità di oro.
Spetta dunque a questa Sephirah esprimere le diverse e potenziali trasformazioni dell’oro, giacché in fondo un po’ d’oro
si nasconde in ogni Sephirah e in ciascun metallo e tutto può essere purificato
per l’azione di quella – per usare il linguaggio caro agli Orfici –
« scintilla di luce » che si trova nei corpi.
Si comprende così anche il
ruolo delle Sephiroth Chokmah e Malkuth. La prima e l’ultima, perché Kether, la
Corona dell’Albero sephirotico, è la radice stessa dei metalli. Solo il saggio
perviene alla comprensione della vera materia
prima dell’Opera e solo lui conosce il potere della Luna per sbiancare i
metalli impuri.
Al linguaggio
alchemico-cabbalistico, fatto di continui riferimenti alle Sephiroth, alle
ghematrie, ai passi biblici, alle varie fasi dell’Opera per la purificazione dei metalli, l’anonimo autore aggiunge l’uso
dei quadrati magici. Così, seguendo l’ordine che ne dà egli stesso, il quadrato
del Sole è in analogia con il Leone alchemico, con l’oro e con la potenza di Gheburah. Il quadrato della
Luna si associa con l’argento, con Chesed e con le cinquanta Porte di Binah; il
quadrato di Marte col ferro, con Tiphereth e con il cuore dell’uomo, giacché
Tiphereth è un guerriero ed è chiamato a rettificare tanto la natura maschile
che quella femminile.
Seguono ai precedenti: il
quadrato di Giove in analogia con Netzach e con Binah e collegato allo stagno,
un metallo, per la verità, di scarso valore; il quadrato di Venere associato
con Hod, con il bronzo e con il verbo Tzaphah (osservare); il quadrato di Saturno legato al piombo e a Chokmah,
al nome di Dio nella Sephirah e al sabato.
Per ultimo il quadrato di
Mercurio, in relazione con Yesod, con l’argento vivo e con l’acqua aurea.
Inutilmente si cercherebbe
nell’opera del Rosenroth il Compendium in forma unitaria, perché vi si trova
piuttosto disperso in vari frammenti. Il vero problema è allora quello di
risolvere la questione del carattere e dell’autenticità di questi frammenti.
Scrive in proposito Gerschom Scholem: « Il modo di esprimersi e il
contenuto in queste citazioni mostrano con chiarezza che Knorr von Rosenroth
aveva sotto gli occhi effettivamente un manoscritto ebraico che recava questo
titolo, e non un qualche libro scritto in latino o in un’altra lingua. Dal modo
letterale, anche se certo non sempre corretto, di tradurre di Knorr traspare a
ogni piè sospinto l’ebraico […] L’autore conosceva il Talmud e comprendeva il
latino […] Ancora più chiaramente testimonia del carattere di questo testo il
suo stesso contenuto. Il primo capitolo comprendeva visibilmente
un’introduzione, di cui è citato il brano principale ; i capitoli dal
secondo all’ottavo lasciano ancora vedere chiaramente la sequenza in cui erano
disposti. Il testo era ordinato – nei capitoli che abbiamo; non è chiaro se ve
ne fossero altri – secondo i metalli, e più esattamente nella sequenza: oro,
argento, ferro, stagno, rame, piombo, mercurio e zolfo. Tre tipi di contenuto
lo compongono: un contenuto puramente cabalistico, che riguarda il simbolismo
mistico dei metalli nella loro connessione alle sefirot e cita, si noti, lo Zohar
non più di una sola volta; un contenuto puramente chimico, che in sostanza
descrive singole operazioni e processi, senza alcun rapporto con le altre parti
del testo; e infine, come a concludere ogni capitolo, una parte astrologica che
descrive gli amuleti planetari corrispondenti ai vari metalli, e fornisce
materiale rilevante per l’indagine sulle origini di tale scritto. »
Circa la data presunta di
composizione di Aesh mezareph, sempre
lo Scholem propone che la stessa debba essere posta tra il 1620 e il 1660 e che
comunque l’opera non possa essere stata scritta prima del 1560, dal momento che
i passi citati dello Zohar si
riferiscono all’edizione stampata a Cremona nel 1560.
Ayn [Ain]
Abulafia raccomandava la meditazione su Ayn,
sedicesima lettera dell’Alfabeto
ebraico, alla quale si accede fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la
nostra testa, oppure mettendo in relazione Ayn, nulla con Anì, io. Per la forma grafica, simboleggia gli occhi, ma anche i due
canali escretori. È il segno della realtà materiale e l’immagine del vuoto e
del nulla.
Ayn Soph
Ayn Soph ‘Infinito’ è stato spesso
confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro. In realtà, l’Apeìron
del filosofo ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime
solo il caos originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte
le cose. L’Ayn Soph dei cabbalisti, invece, non è privativo di qualità
ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo
la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler
essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. Come è scritto, in più di un
testo della Qabbalah, in Ayn Soph, infinito, non c’è alcuna apertura, su
di lui ogni interrogativo è vano, come su ogni idea che attenga alle
possibilità del pensiero. Quando, nelle prime scuole medievali di Qabbalah si
nomina Ayn Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di
conoscere l’infinito. Si osservi, infine, che Ayn Soph si scrive in
ebraico con le lettere Alef (valore 1), Yud (10), Nun (50), Samek (60), Waw
(6), Phe (80) e che, per Ghematria, vale 207 come Raz segreto e Aur
[Or] luce. [SEGUE]
sergio magaldi
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