martedì 2 agosto 2016

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Seconda]




SEGUE DA: INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA QABBALAH [Parte Prima]. Clicca sul titolo per leggere.

Continua di seguito il glossario essenziale di termini e concetti per accostarsi allo studio della Qabbalah. Le parole in grassetto costituiscono altrettante voci del glossario.


Adam Qadmon

La Qabbalah ritiene che l’Adam Qadmon sia l’archetipo dell’uomo, l’Uomo Universale. Prima configurazione della Luce divina e della forma più alta con la quale la stessa si manifesta dopo lo Tzimtzum. L’Adam Kadmon e l’Albero delle Sephiroth [Albero della vita] sono entrambi espressione del principio della manifestazione.
L’Adam Qadmon non è in alcun modo da confondersi con un ipotetico uomo cosmico di natura bisessuale e neppure con la sua larvata presenza asessuata e tuttavia spiritualmente comprensiva tanto del principio femminile che di quello maschile.

Aesh Mezareph [Esh M’zaref]

Titolo di opera di anonimo autore. Il trattato non è altro che il compendio che ne dà Christian Knorr von Rosenroth nella sua Kabbala Denudata, scritta in latino e pubblicata a Sulzbach tra il 1677 e il 1684.
Per l’anonimo autore, l’uomo è una pietra grezza che deve essere sgrossata; più ancora, collegando il corpo umano con le Sephiroth dell’Albero della vita, l’uomo deve  apprendere a purificare i metalli impuri che si trovano in lui. Se riuscirà nell’impresa, non otterrà ricchezze materiali, ma acquisterà in cambio longevità e saggezza. Aesh mezareph è il ‘Fuoco Purificatore’ e in qualche misura pare ispirarsi al fuoco di Malachia,3, 1-2 : « Questo vi risponde il Signore dell’universo : ‘ Io mando il mio messaggero a preparare la strada davanti a me. Il Signore che voi desiderate entrerà subito nel suo tempio. Attendete dunque il messaggero che proclamerà la mia alleanza con voi. Eccolo, sta per arrivare. Chi potrà sopravvivere al giorno in cui egli giungerà ? Chi potrà restare in piedi, quando apparirà ? Egli sarà come il fuoco che raffina i metalli, come il sapone che lava le vesti ’. »
S’intravede già dalle prime righe del testo il collegamento tra Qabbalah e Alchimia, nel senso tuttavia che senza la conoscenza della prima non sarà neppure possibile accostarsi alla seconda, almeno di non voler fare come « gli studenti volgari della natura » che male interpretando e per di più facendosi vanto di possedere la chiave di ogni segreto, finiscono per ottenere, in luogo di longevità e saggezza, malattie e disprezzo.
Il discorso cabbalistico in Aesh mezareph si avvale, com’è nella tradizione della Qabbalah, del continuo riferimento ai versetti biblici, dell’uso talora anche eccessivo della Ghematria e del costante rapporto tra le Sephiroth e i metalli, con analogie a prima vista sorprendenti ma che hanno la possibilità di essere comprese all’interno di una prospettiva alchemica. Sorprenderà così, per esempio, che la materia prima dell’Opera venga attribuita a Chokmah [Sapienza] – Piombo, la medicina dei metalli a Malkuth [Regno e Luna degli alchimisti] e l’oro a Gheburah [Potenza], e dove ci saremmo aspettati di trovare l’oro nella Sephirah più alta, vi troviamo invece il metallo più vile e dove la lebbra o la corruzione dei metalli, troviamo al contrario la medicina per purificarli. Quanto all’oro di Gheburah, apprendiamo subito dal testo che il fondamento dell’oro è nel ferro misto al fango e che esistono ben dieci qualità di oro. Spetta dunque a questa Sephirah esprimere le diverse e potenziali trasformazioni dell’oro, giacché in fondo un po’ d’oro si nasconde in ogni Sephirah e in ciascun metallo e tutto può essere purificato per l’azione di quella – per usare il linguaggio caro agli Orfici – « scintilla di luce » che si trova nei corpi.
Si comprende così anche il ruolo delle Sephiroth Chokmah e Malkuth. La prima e l’ultima, perché Kether, la Corona dell’Albero sephirotico,  è  la radice stessa dei metalli. Solo il saggio perviene alla comprensione della vera materia prima dell’Opera e solo lui conosce il potere della Luna per sbiancare i metalli impuri.
Al linguaggio alchemico-cabbalistico, fatto di continui riferimenti alle Sephiroth, alle ghematrie, ai passi biblici, alle varie fasi dell’Opera per la purificazione dei metalli, l’anonimo autore aggiunge l’uso dei quadrati magici. Così, seguendo l’ordine che ne dà egli stesso, il quadrato del Sole è in analogia con il Leone alchemico, con l’oro e con la potenza di Gheburah. Il quadrato della Luna si associa con l’argento, con Chesed e con le cinquanta Porte di Binah; il quadrato di Marte col ferro, con Tiphereth e con il cuore dell’uomo, giacché Tiphereth è un guerriero ed è chiamato a rettificare tanto la natura maschile che quella femminile.
Seguono ai precedenti: il quadrato di Giove in analogia con Netzach e con Binah e collegato allo stagno, un metallo, per la verità, di scarso valore; il quadrato di Venere associato con Hod, con il bronzo e con il verbo Tzaphah (osservare); il quadrato di Saturno legato al piombo e a Chokmah, al nome di Dio nella Sephirah e al sabato.
Per ultimo il quadrato di Mercurio, in relazione con Yesod, con l’argento vivo e con l’acqua aurea.
Inutilmente si cercherebbe nell’opera del Rosenroth il Compendium  in forma unitaria, perché vi si trova piuttosto disperso in vari frammenti. Il vero problema è allora quello di risolvere la questione del carattere e dell’autenticità di questi frammenti. Scrive in proposito Gerschom Scholem: « Il modo di esprimersi e il contenuto in queste citazioni mostrano con chiarezza che Knorr von Rosenroth aveva sotto gli occhi effettivamente un manoscritto ebraico che recava questo titolo, e non un qualche libro scritto in latino o in un’altra lingua. Dal modo letterale, anche se certo non sempre corretto, di tradurre di Knorr traspare a ogni piè sospinto l’ebraico […] L’autore conosceva il Talmud  e comprendeva il latino […] Ancora più chiaramente testimonia del carattere di questo testo il suo stesso contenuto. Il primo capitolo comprendeva visibilmente un’introduzione, di cui è citato il brano principale ; i capitoli dal secondo all’ottavo lasciano ancora vedere chiaramente la sequenza in cui erano disposti. Il testo era ordinato – nei capitoli che abbiamo; non è chiaro se ve ne fossero altri – secondo i metalli, e più esattamente nella sequenza: oro, argento, ferro, stagno, rame, piombo, mercurio e zolfo. Tre tipi di contenuto lo compongono: un contenuto puramente cabalistico, che riguarda il simbolismo mistico dei metalli nella loro connessione alle sefirot e cita, si noti, lo Zohar non più di una sola volta; un contenuto puramente chimico, che in sostanza descrive singole operazioni e processi, senza alcun rapporto con le altre parti del testo; e infine, come a concludere ogni capitolo, una parte astrologica che descrive gli amuleti planetari corrispondenti ai vari metalli, e fornisce materiale rilevante per l’indagine sulle origini di tale scritto. »
Circa la data presunta di composizione di Aesh mezareph, sempre lo Scholem propone che la stessa debba essere posta tra il 1620 e il 1660 e che comunque l’opera non possa essere stata scritta prima del 1560, dal momento che i passi citati dello Zohar si riferiscono all’edizione stampata a Cremona nel 1560.

Ayn [Ain]

Abulafia raccomandava la meditazione su Ayn, sedicesima lettera dell’Alfabeto ebraico, alla quale si accede fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la nostra testa, oppure mettendo in relazione Ayn, nulla con Anì, io. Per la forma grafica, simboleggia gli occhi, ma anche i due canali escretori. È il segno della realtà materiale e l’immagine del vuoto e del nulla.

Ayn Soph  


Ayn Soph  ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro. In realtà, l’Apeìron del filosofo ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’Ayn Soph dei cabbalisti, invece, non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. Come è scritto, in più di un testo della Qabbalah, in Ayn Soph, infinito, non c’è alcuna apertura, su di lui ogni interrogativo è vano, come su ogni idea che attenga alle possibilità del pensiero. Quando, nelle prime scuole medievali di Qabbalah si nomina Ayn Soph è più che altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito. Si osservi, infine, che Ayn Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef (valore 1), Yud (10), Nun (50), Samek (60), Waw (6), Phe (80) e che, per Ghematria, vale 207 come Raz segreto e Aur [Or] luce. [SEGUE]

sergio magaldi

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