domenica 25 giugno 2017

FUNZIONI E SIMBOLI DELL'INCONSCIO [Parte seconda]





 Se Plutone è l’inconscio, il segreto di ciò che è custodito nelle profondità ctonie e della nostra psiche, se in altri termini è un simbolo di morte per ciò che nasconde alla vista e alla coscienza, Venere, al contrario, rappresenta la vita, l’amore e la bellezza della manifestazione: vincitrice, perché capace di vincere anche sulla morte, genitrice perché è dal desiderio e dall’attrazione che ogni cosa nasce nell’universo. Così la celebra il poeta latino Lucrezio nell’invocazione che apre il suo De Rerum Natura:

Aeneadum genetrix,hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quondam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum…

 
Madre della stirpe di Enea, che il desiderio susciti
negli uomini e negli dei, alma Venere,
tu che rendi navigabile il mare con celesti segni,
e rechi alla terra abbondanti messi,
tu che causi la vita d’ogni essere animato
che nascendo si rallegra dei raggi del sole:
te, dea, fuggono i venti,
dileguano le nubi del cielo al tuo apparire,
per te la terra lucente fa spuntare fiori,
per te la distesa del mare sorride e brilla di luce splendente il cielo sereno…”
[la traduzione è mia]

 L’energia di Venere che induce uomini animali e piante a riprodursi e a godere di tutto ciò che di bello e di sublime offre l’esistenza e che al tempo stesso è simbolo della natura, della giovinezza e della primavera, ha la sua anima nella dea della mitologia classica e la sua veste fisica nel pianeta o corpo celeste più luminoso e primo a nascere [apparire] il mattino. Ésperos, Eosfóros, Fosfóros o portatrice di luce è stata volta a volta chiamata questa “stella” che, oltre alla luminosità, offre altri elementi a coglierne gli aspetti animici e le analogie astrologiche. È il pianeta più vicino alla Terra e dunque il più visibile ed è capace di riflettere circa il 70% della luce che riceve dal Sole. L’albedo di Venere, infatti, ovvero il suo potere riflettente è il più elevato dell’intero sistema solare. Venere è avvolta in una fitta coltre di nubi, che ostacolano la penetrazione della luce del Sole all'interno e la riflettono invece all'esterno, rendendola, oltre che splendente e luminosa, capace di un “effetto serra” che porta sul pianeta la temperatura in superficie a circa 475°centigradi. "La dea", allorché si libera delle vesti (la fitta coltre di nubi), suscita l’ammirazione “magica” di chi la guarda, ma l’effetto serra che produce il suo corpo genera non solo il calore della passione, ma può anche determinare il paradosso della follia.

 Non vorrei essere frainteso. È chiaro che gran parte dei significati che l’astrologia attribuisce a Venere derivino dai miti collegati alla dea ed è altrettanto vero che tali significati siano la proiezione fantastica che il corpo celeste, ovvero la sua veste fisica, ha generato nella psiche umana sin dai primordi e che la tradizione ha successivamente contribuito ad implementare. Naturalmente, non si tratta di miti isolati, perché vanno sempre considerati in relazione alla complessa mitologia degli altri dei-pianeti e/o luminari ed alla particolare posizione che ciascuno di tali corpi celesti occupa nello spazio.

 La polarità di Amore e Morte, rappresentata dall'incontro di Venere e Plutone, può essere stimolante ma può anche condurre sino all'ossessione sessuale: da una parte il desiderio di emozioni e di estroversione di Venere, dall'altra l'istinto introverso e indagatore di Plutone che spinge a cercare in ogni donna la Femmina primordiale e assoluta, la Grande Madre che è insieme vita e morte. La tensione può essere attenuata con uno spostamento dell'eros dalla sessualità alla creazione artistica o all'ascesi mistica, ma perché ciò avvenga, è necessario un vero e proprio viaggio iniziatico. Ricompare qui il rapporto tra l'anima e l'incon­scio, tra Persefone e Plutone, come nel mito rivissuto dall'iniziato di Eleusi.

 Nella configurazione Plutone-Saturno-Marte è facile comprendere come il dia­logo risulti difficile o addirittura impossibile. Saturno protegge l'io  e la forma, impedendo che i contenuti rimossi, rappresentati da Plutone possano filtrare. Nel migliore dei casi il risultato è la più completa cristallizzazione dell'io, la sua sclerosi e il suo annullamento. Se tra i due interviene anche Marte, principio dinamico dell'azione, il risultato sarà l'inutile tentativo di rompere la cristallizzazione attraverso un attivi­smo tutto esteriore e poco interiorizzato, con il risultato della frustrazione e di un'azio­ne distruttiva verso se stessi. Di fronte ad una simile trama dell’inconscio-destino, non resta che attivare la forza di Marte o quella del Sole o di un pianeta altrettanto potente, capace di costringere Plutone e Saturno al dialogo, almeno sino a quando la tensione non si sia alleggerita in virtù di una parziale conoscenza di se stessi.

 Il tema della discesa agli inferi e del contatto con la zona oscura della coscienza era presente in ogni antica iniziazione. Nei Misteri di Dioniso, l'iniziato lasciava addirittura che il rimosso filtrasse alla luce del sole e nell'ebbrezza del delirio, reso più facile dalla musica e dal vino, sperimentava la totalità delle proprie energie.

 Nelle Baccanti”, Euripide ci rappresenta il delirio dionisiaco delle origini. La tragedia è altrettanto illuminan­te nel presentare l'indomabile e divina forza dell'inconscio. Ecco come Tiresia parla di Dioniso: 

 “ […] E questo dio è anche profeta. Perché il furore bacchico e il delirio hanno virtù profetica. E quando il dio entra negli uomini a grande impeto, li dissenna e predicono il futuro” (“Il Teatro greco”, Sansoni, Firenze, 1970, p.1017). Allorché Penteo cattura Dioniso, si svolge tra i due questo interessante dialogo:
Dioniso: L'ho visto [Zeus]faccia a faccia e mi ha trasmesso i riti e i misteri.
Penteo: Che riti sono e quale è la forma ch'essi hanno per te?
Dioniso: Sono dei riti su cui vige il silenzio: nessuno che non sia iniziato può conoscerli.
Penteo: E quale bene ne ha chi li celebra?
Dioniso: A te non si può dire, ma è un bene che un uomo deve farne esperienza”. (cit. p. 1022).

 Inutile, d'altra parte, è la pretesa di Penteo di ignorare il dio e le forze che egli rappresenta. Avrà un bell'ordinare alle guardie: "E voi andate a chiuderlo nelle stalle qui accanto, perché veda solo il buio e la tenebra!” (p.1024). L'inconscio non si può incatenare. Ben presto Dioniso si libera: "In questo io l’ho beffato, ch'egli credeva d’incatenarmi ma non mi ha sfiorato, non mi ha toccato, la sua è stata un'illusione” (p. 1027).

 Dioniso è figura centrale anche nei Misteri Orfici. Solo che la prospettiva è qui capovolta. Dioniso non è più la rappresentazione gioiosa della vita nel dispiegamento totale degli istinti e delle energie. Nella teologia orfica, egli è Zagreo, il lacerato, creatura infera nata da Zeus e da Persefone. La totalità uomo-dio si è nuovamente frantumata. Aizzati da Era, eternamente gelosa di Zeus, i Titani hanno fatto a pezzi il dio e lo hanno divorato. Dal cuore sottratto al banchetto, Zeus forma un altro Dioniso, poi fulmina i Titani. Dalla cenere dei Titani, nascono gli uomini, in cui l'elemento dionisiaco e spirituale della luce e del bene si fonde con quello titanico e materiale dell'oscurità e del male.

 sergio magaldi


mercoledì 21 giugno 2017

FUNZIONI E SIMBOLI DELL'INCONSCIO [Parte prima]



 Nell'articolo “Das Unbewusst” ("L'Inconscio") del 1915, Freud dichiara che i con­tenuti dell'inconscio sono sostitutivi di pulsioni che non possono divenire oggetto di coscienza. Pertanto, le rappresentazioni inconsce sono organizzate in fantasmi [dal greco φάντασμα, phàntasma, apparizione] o trame immaginarie alle quali le pulsioni si fissano e che pos­sono essere concepiti come "vere messe in scena del desiderio". In tale prospettiva, il contenuto dell'inconscio è assimilabile a ciò che è stato rimosso, con in più, osser­va Freud, "un nucleo originario di contenuti filogenetici", cioè di quell’esperienza accumulata nel corso del tempo, che siamo soliti denominare inconscio collettivo.
 Gli antichi possedevano già il concetto di inconscio. Lo chiamavano Heimarmene cioè fatalità o destino e il loro modo di cercare di com­prenderlo divenne poco a poco, non ancora il lettino dello psicoanalista, ma il tema natale tracciato con gli strumenti dell’astrologia giudiziaria. Il problema che si poneva era se l'uomo potesse conoscere il proprio desti­no e, una volta conosciutolo, se gli fosse possibile mutarlo nei suoi aspetti più drammatici. Per altro verso è ciò che avviene ancora oggi dallo psicoanalista: portare alla luce il rimosso generatore di nevrosi e vedere se ciò possa servire a lenire il dolore della persona.
 Jung, al quale va il merito di aver ampliato il concetto freudiano di inconscio, sottolinea la quasi totale identificazione di inconscio e destino. In “Psicologia e Al­chimia” egli osserva che, quando parliamo del nostro destino, mettiamo in campo una volontà che non coincide con quella dell'io e, poiché tale volontà si oppone all'io, noi vi scorgiamo un potere divino o infernale, a seconda dei casi.
 Nella tragedia greca, il mito, quale archetipo universale, è la chiave che ci consente di entrare nella psiche dei personaggi e di cogliere il filo che sorregge la trama di tutte le loro azioni. La stessa guerra tra gli dei - che i miti raccontano - è finalmente intesa come la guerra che gli individui combattono con loro stessi. La cieca fatalità che spesso sembra dar corso agli eventi, secondo il principio che le colpe dei padri ricadono sui figli, si colora infine di senso. Liz Greene, la nota psicoanalista e cultrice di astrologia afferma che, per com­prendere il tema natale di un singolo, occorre tracciare la carta di nascita dei suoi genitori e che forse non basta, perché bisognerebbe anche conoscere il tema natale degli antenati. (L.Greene, The Astrology of Fate,1984, trad.it., “Astrologia e Destino”, Armenia, Milano 1995, pp.98-132). Quale il significato di tale affermazione? Lo psicoanalista-astrologo e ricercatore è convinto che il proprio paziente sia vittima, oltre che dei suoi, anche dei conflitti inconsci rimasti irrisolti nei genitori e nella famiglia d’origine.
 È interessante osservare che per secoli l'astrologia giudiziaria ha considerato simboli privilegiati per l'ascolto dell'inconscio il luminare della Luna e, in particolare, Lilith, la sua zona oscura, talora erroneamente identificata con la Luna Nera. Né, d'altra parte, erano noti altri simboli spazio-temporali per descrivere l'inconscio. In proposito, occorre appena accennare che sulla stessa esistenza fisica della Luna Nera si continua ancora a dubitare, tanto che è stata spesso diversamente interpretata: 1. Come Luna non visibile o Luna nuova al momento della sua congiunzione col Sole (Ecate o Artemide dei Greci); 2. Come secondo satellite della Terra, scoperto nel XVII Secolo dal gesuita Giovanbattista Riccioli e con un passo giornaliero di 3 gradi, ma di cui l'esistenza non è stata ancora accertata; 3. Come un punto fittizio dell'orbita lunare.
 Che la Luna rappresenti simbolicamente il femminile, la fantasia, il sogno, l'immaginazione è perfettamente accettabile; che l'inconscio possa essere identificato col simbolismo lunare è altamente improbabile. Dane Rudhyar ha chiaramente dimostrato che è proprio la dinamica Saturno (l'io, la forma) - Luna (l'energia vitale) a rendere conto del nostro io cosciente. (Dane Rudhyar, “Astrologia della personalità”, trad.it., Roma, 1986, pp.205-209). Inoltre, la Luna è talmente veloce nello spazio che male rappresenta un contenuto psichico così fortemente cristallizza­to quale l'inconscio, la cui trasformazione richiede un processo lentissimo, addirittura generazionale, prima di poter avvertire un significativo mutamento. 

 Occorre tuttavia riconoscere che la figura di Lilith-Ecate è presente tanto nella mitologia ebraica che in quella greco-romana con la funzione di rappresentare gli istinti più riposti della personalità, ma a parte il dubbio sul potersi giovare di un suo corrispettivo fisico nello spazio, resta – questo simbolo – anche solo come concetto, un po' troppo angusto per una reale connotazione dell'incon­scio. Né appare convincente l'idea di un inconscio rappresentato come controparte di polarità sessuale. Il ruolo di con­troparte sembra più che altro spettare all'Anima per l'uomo e all’Animus per la donna. E “anima” e “animus” appartengono alla coscienza o tutt’al più al subconscio.  

 Ciò premesso, la tentazione di sottomettere o redimere l’inconscio è quanto mai ardua e pericolosa. Questo pericolo è di tutti, ma più che mai è presente nel santo, nell'eroe, nell'ini­ziato. I quali tutti, per “mestiere” sono portati a rifiutare l'inconscio oppure a costruirse­ne uno di comodo cui relazionarsi con lo scopo sublime di sottometterlo o di razionalizzarlo. Queste anime belle spesso si coprono gli occhi per non vedere e si turano il naso per non sentire il fetore che viene dalla “stanza accanto” della loro coscienza illuminata. Insomma, tra Alto e Basso, bisogna trovare - come già auspicava Marsilio Ficino - un luogo intermedio dove sia possibile incontrare il cosiddetto mondo interiore. 

 Che c'è, in realtà, di così difficile e inquietante nel tentare di sottomettere o redimere l'inconscio? L'ener­gia che sprigiona questa forza invisibile è talmente grande che l'esigua energia della coscienza rischia di esserne travolta. La coscienza può uscirne mutilata nel suo processo di individuazione che presuppone, appunto, il coraggio del confronto con l'inconscio non la sua sottomissione o redenzione. Il dialogo può essere spiacevole, doloroso, forse pericoloso, ma è l'unico mezzo che abbiamo per rompere le cristal­lizzazioni saturnine, allargando progressivamente le frontiere della coscienza e im­parando finalmente a conoscere, vista la sostanziale omogeneità di Inconscio ed Heimarmene, la trama del nostro destino.

 Non è un caso che all'inizio del secolo, proprio quando appare “L’interpretazione dei sogni” di Freud, l'astronomo Percival Lowel, per spiegare le perturbazioni del­l'orbita di Urano, calcoli la posizione di un invisibile pianeta, all'estremo del siste­ma solare. Neppure è un caso che Jung nel 1929 congedi il suo saggio di commento al “Segreto del fiore d'oro”, antico testo di alchimia taoista, prospettando una visione dell'inconscio che riprende e amplia la stessa concezione freudiana di inconscio e che, pochi mesi più tardi, con l'ingresso del Sole in Acquario (febbraio 1930), un astrono­mo americano riesca per la prima volta a fotografare il pianeta “invisibile”: Plutone.

 Per la verità, Rudhyar attribuisce la rappresentazione simbolica dell’inconscio a tutti e tre i pianeti trans-saturnini: Urano, scoperto nel 1781, poco prima della Rivoluzione francese, Nettuno scoperto nel 1846 e Plutone scoperto esatta­mente 84 anni dopo Nettuno, a distanza di un ciclo completo di Urano. Ai tre pianeti, egli assegna tre diverse funzioni simboliche: Urano rappresenta la forza “proiettiva” dell'inconscio, Nettuno quella “dissolvente”, e Plutone quella “rigenerante” [cit., pp.209-220].

 In conclusione, dunque, il concetto più compiuto e al tempo stesso più produttivo con cui siamo oggi in grado di rappresentare l'inconscio, nella sua dinamica spazio-temporale, è Plutone. Signore di tutto ciò che è segreto e in particolare del segreto iniziatico, Plutone governa i Misteri Eleusini ai quali, come ricorda Aristotele si andava non per apprendere, ma per provare, attraverso un'esperienza mistica vissuta attraverso il rito, una profonda emozione religiosa. Ad Eleusi gli era dedicato un Tempio e sembra, almeno a partire da una certa epoca, che in quei luoghi l'iniziato rivivesse l’esperienza del rapimento di Persefone.

 Greci e Latini conoscevano bene la storia della figlia di Demetra che, china su di un prato a cogliere fiori, è ghermita dal dio e trascinata sotto terra. Demetra si dispera, poi si vendica, impedendo alla vegetazione di crescere. Interviene Zeus e manda Ermete con un messaggio per Plutone. Il dio a malincuore rinuncia all'idea delle nozze con Persefone. Egli è pronto a restituirla, ma c'è una legge di Necessità che non può essere violata neppure dagli dei: se la fanciulla ha già gustato del cibo dei morti, non può più riprendere la vita di prima. Persefone non ha toccato cibo, può quindi risalire sulla terra, ma ecco che Ascalafo, uno dei giardinieri di Plutone, rivela di aver visto Persefone raccogliere un melograno nell'orto e assaggiarne sette chicchi. Alla fanciulla è cosi preclusa la via del ritorno e Demetra si vendica tramutando Ascalafo in barbagianni. Con “ascalafo” i Greci si riferivano sia al gufo che al barbagianni. Ovidio ricorda l'episodio che giustifica la cattiva fama di questo uccello: “funereus bubo letali carmine fecit:[…]”, cioè: “lugubre il gufo [o barbagianni] cantò con augurio funesto” [Ovidio, Metamorfosi, X,453]. Com’è noto, con “bubo” i latini indicavano gli uccelli strigiformi e in particolare il gufo e il barbagianni.

 Il mito poetico, l'astronomia. E l’astrologia come vede Plutone? Lo collo­ca nel segno dello Scorpione, opposto alla Terra prima del Toro, lui che è il Signore del sottosuolo. Come forza rigenerante nel bene e nel male, Plutone non può che appartenere a questo segno zodiacale dove lo scorpione può evolversi sino al serpente e all'aquila solare. Se il Sole è il simbolo del principio di individuazione, con la potenzialità di assimilare e trasformare i contenuti dell'inconscio, Plutone è definito “Sole di mezzanotte” per “il materiale” che è in grado di offrire per questa assimilazione e trasformazione.

 Cosa accade quando Plutone s'imbatte negli altri dei? Particolarmente significativi risultano gli incontri in cui si manifesta la polarità di Eros e Thanatos (Amore-Morte), che in astrologia si riconnette all'aspetto Venere-Plutone, sia quelli dove risulta evidente la dinamica di Plutone-Saturno-Marte, divinità che, allorché si relazionano tra di loro, illuminano il ricercatore sugli istinti autodistruttivi della persona [SEGUE]

sergio magaldi










sabato 10 giugno 2017

La resistibile ascesa della legge elettorale alla tedesca



 Il patto tra Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini sembrava destinato a dare finalmente al Paese una legge elettorale. Nobilitata dal marchio tedesco, ancorché fabbricata in casa, la nuova legge veniva incontro ai calcoli di bottega dei quattro schieramenti. Una legge proporzionale, anticamera di un governo Pd-Forza Italia a guida Renzi, con una maggioranza risicata, resa comunque possibile dallo sbarramento del 5% - col fare incetta dei seggi solitamente riservati ai partiti più piccoli - e probabilmente dai seggi delle circoscrizioni estere. In più, con il vantaggio per il Pd di cancellare la presenza in Parlamento degli “articoli 1” e per Berlusconi di sottrarsi all’abbraccio con Salvini e di tenere fuori dal gioco Alfano e i centristi di tutte le ore. Per la Lega, un modo per raddoppiare, almeno, la propria rappresentanza parlamentare. Per i Cinque Stelle, perso il treno della governabilità che solo il ballottaggio dell’Italicum gli avrebbe assicurato, una maniera elegante per recuperare tutti i seggi dei fuoriusciti e degli espulsi, candidandosi a diventare l’unica grande opposizione credibile al futuro governo Renzi-Berlusconi. Cosa è successo poi? Al di là del pretesto dovuto all’emendamento Biancofiore, si sono palesati diversi malumori. Per cominciare, i parlamentari duri e puri del M5S, ancorché in rete la base del movimento si fosse dichiarata favorevole al patto e, per continuare, Renzi e una parte dei suoi, dopo gli interventi dell’ex Presidente della Repubblica e di Prodi,  e quando è apparso chiaro a tutti che il patto tra Pd e Forza Italia per la legge elettorale, altro non era che un patto di governo che lasciava scoperto il fianco sinistro del Pd, dando modo a Pisapia di compattare le membra sparse della vecchia e nuova sinistra in un unico raggruppamento dalla potenzialità, non del tutto fantasiose, del 16%.

 Può anche darsi che, dopo il voto amministrativo di domani, lo scenario politico cambi ancora e che i “quattro grandi” si ritrovino di nuovo attorno a un tavolo. Dubito però che la discussione riprenda come se nulla fosse accaduto. In ogni caso, si dimostra ancora una volta, se mai ce n’era bisogno, che i partiti politici italiani non guardano agli interessi del Paese e dei cittadini, bensì soltanto al tornaconto personale e/o a quello della propria fazione. Insomma, a questo punto, c’è bisogno più che mai di un partito che non c’è…


sergio magaldi 

domenica 4 giugno 2017

JUVE di CHAMPIONS: le ragioni di una sconfitta



 La brutta figura rimediata dalla Juve nella finale di Champions non deve sorprendere più di tanto, perché ha cause ben precise. Non solo la tradizione che l’ha vista perdente, con questa, in ben 7 finali su 9, ma soprattutto la condizione fisica di una squadra che nell’ultimo mese ha rischiato addirittura di perdere uno scudetto già vinto e di cui la critica continuava a dire che centellinava le proprie forze in previsione dei tanti impegni, tra campionato, coppa Italia e Champions. La verità è che la Juve è arrivata stressata alla partita più importante dell’anno. La quadratura del cerchio trovata da Allegri per non scontentare i suoi grandi attaccanti, schierandoli contemporaneamente tutti in campo, e nell’intento di migliorare un modello di gioco poco spettacolare, alla lunga ha finito per mostrare i suoi limiti: con 10 giocatori costretti da mesi a correre a tutto campo per ovviare all’inconveniente di non poter contare su un vero centrocampo, formato di incontristi e di un grande regista. Si aggiunga a ciò, nell’ultimo mese e dopo due stagioni esaltanti, il crollo di Cuadrato e, per l’intera stagione appena conclusasi, lo snaturamento di Dybala, costretto a compiti di copertura che non gli sono congeniali e che solo saltuariamente gli hanno consentito di mettersi in mostra. Cuadrado e Dybala, i due giocatori determinanti nel gioco offensivo della Juve. Scrivevo tra l’altro in un precedente post:

 “la squadra […] quando gli avversari attaccano è costretta ad arretrare perché non fa filtro a centrocampo, e come potrebbe […] con Pjanic e Khedira che non sono né interditori né veri centrocampisti, ma buoni interni o trequartisti […]? L’inconveniente potrebbe anche essere sanato con un ordinato gioco d’attacco, che succede invece? Che gli esterni, i trequartisti e un Dybala che da seconda punta, l’allenatore ha trasformato in altro, si buttano tutti insieme in avanti, a turno cercando gloria personale senza servire Higuain, la vera e unica punta di questa squadra”.

Sono tornato sulla questione in un altro post, allorché si è cominciato a fare il confronto con la Juve finalista di due anni fa; scrivevo tra l’altro:

“Si ha un bel dire […] che la Juve si è nel frattempo rafforzata, ma i bianconeri sono davvero più forti,  con Pjanic, Cuadrado, Mandzukic, Higuain e Dybala [che ormai segna solo su rigore] e senza Pirlo, Vidal, Pogba, Morata e Tevez e con un pacchetto difensivo, per ragioni anagrafiche, meno impenetrabile di prima? Sulla carta forse sì, ed è vero che la Juventus da qualche tempo ha cominciato a giocare all’europea, ma è proprio certo che il gioco di Allegri con quattro attaccanti sia davvero più offensivo di quello con i tre centrali, con cui ha giocato sino a poco tempo fa? A giudicare da quello che si vede in campo e anche dal numero dei goal che segna mediamente si direbbe di no, anche se bisogna ammettere che ne ha guadagnato lo spettacolo. Pur apprezzando lo sforzo della società per rafforzare la squadra e renderla maggiormente competitiva in Europa, continuo a pensare che ai bianconeri manchi un grande centrocampista per tentare la grande impresa  e anche un’organizzazione più razionale di gioco, in grado di mettere Higuain nelle condizioni di finalizzare a rete più spesso, così come il Napoli della scorsa stagione riusciva a fare con l’argentino”.

 La Juventus della finale di due anni fa contro un grande Barcellona fu in gara per tutta la partita. Privata di un calcio di rigore, capitolò definitivamente solo negli ultimi minuti. La Juve di ieri notte ha resistito un tempo al Real Madrid, crollando poi nella ripresa, dove è stata quasi sempre costretta nella propria area e dove Buffon e la difesa hanno certamente avuto le loro responsabilità, fortemente mitigate, tuttavia, dalla mancanza di un centrocampo in grado di fare filtro, impedendo il dilagare degli spagnoli. Nonostante la sonora sconfitta, sono convinto che l’organico della Juve non sia inferiore a quello del Real Madrid. Ieri notte, gli uomini di Zidane erano solo meno stressati dei loro avversari, con più organizzazione di gioco, meglio schierati in campo e con la capacità di far valere la manifesta superiorità del centrocampo.


sergio magaldi