domenica 25 giugno 2017

FUNZIONI E SIMBOLI DELL'INCONSCIO [Parte seconda]





 Se Plutone è l’inconscio, il segreto di ciò che è custodito nelle profondità ctonie e della nostra psiche, se in altri termini è un simbolo di morte per ciò che nasconde alla vista e alla coscienza, Venere, al contrario, rappresenta la vita, l’amore e la bellezza della manifestazione: vincitrice, perché capace di vincere anche sulla morte, genitrice perché è dal desiderio e dall’attrazione che ogni cosa nasce nell’universo. Così la celebra il poeta latino Lucrezio nell’invocazione che apre il suo De Rerum Natura:

Aeneadum genetrix,hominum divomque voluptas, alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentis concelebras, per te quondam genus omne animantum concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum…

 
Madre della stirpe di Enea, che il desiderio susciti
negli uomini e negli dei, alma Venere,
tu che rendi navigabile il mare con celesti segni,
e rechi alla terra abbondanti messi,
tu che causi la vita d’ogni essere animato
che nascendo si rallegra dei raggi del sole:
te, dea, fuggono i venti,
dileguano le nubi del cielo al tuo apparire,
per te la terra lucente fa spuntare fiori,
per te la distesa del mare sorride e brilla di luce splendente il cielo sereno…”
[la traduzione è mia]

 L’energia di Venere che induce uomini animali e piante a riprodursi e a godere di tutto ciò che di bello e di sublime offre l’esistenza e che al tempo stesso è simbolo della natura, della giovinezza e della primavera, ha la sua anima nella dea della mitologia classica e la sua veste fisica nel pianeta o corpo celeste più luminoso e primo a nascere [apparire] il mattino. Ésperos, Eosfóros, Fosfóros o portatrice di luce è stata volta a volta chiamata questa “stella” che, oltre alla luminosità, offre altri elementi a coglierne gli aspetti animici e le analogie astrologiche. È il pianeta più vicino alla Terra e dunque il più visibile ed è capace di riflettere circa il 70% della luce che riceve dal Sole. L’albedo di Venere, infatti, ovvero il suo potere riflettente è il più elevato dell’intero sistema solare. Venere è avvolta in una fitta coltre di nubi, che ostacolano la penetrazione della luce del Sole all'interno e la riflettono invece all'esterno, rendendola, oltre che splendente e luminosa, capace di un “effetto serra” che porta sul pianeta la temperatura in superficie a circa 475°centigradi. "La dea", allorché si libera delle vesti (la fitta coltre di nubi), suscita l’ammirazione “magica” di chi la guarda, ma l’effetto serra che produce il suo corpo genera non solo il calore della passione, ma può anche determinare il paradosso della follia.

 Non vorrei essere frainteso. È chiaro che gran parte dei significati che l’astrologia attribuisce a Venere derivino dai miti collegati alla dea ed è altrettanto vero che tali significati siano la proiezione fantastica che il corpo celeste, ovvero la sua veste fisica, ha generato nella psiche umana sin dai primordi e che la tradizione ha successivamente contribuito ad implementare. Naturalmente, non si tratta di miti isolati, perché vanno sempre considerati in relazione alla complessa mitologia degli altri dei-pianeti e/o luminari ed alla particolare posizione che ciascuno di tali corpi celesti occupa nello spazio.

 La polarità di Amore e Morte, rappresentata dall'incontro di Venere e Plutone, può essere stimolante ma può anche condurre sino all'ossessione sessuale: da una parte il desiderio di emozioni e di estroversione di Venere, dall'altra l'istinto introverso e indagatore di Plutone che spinge a cercare in ogni donna la Femmina primordiale e assoluta, la Grande Madre che è insieme vita e morte. La tensione può essere attenuata con uno spostamento dell'eros dalla sessualità alla creazione artistica o all'ascesi mistica, ma perché ciò avvenga, è necessario un vero e proprio viaggio iniziatico. Ricompare qui il rapporto tra l'anima e l'incon­scio, tra Persefone e Plutone, come nel mito rivissuto dall'iniziato di Eleusi.

 Nella configurazione Plutone-Saturno-Marte è facile comprendere come il dia­logo risulti difficile o addirittura impossibile. Saturno protegge l'io  e la forma, impedendo che i contenuti rimossi, rappresentati da Plutone possano filtrare. Nel migliore dei casi il risultato è la più completa cristallizzazione dell'io, la sua sclerosi e il suo annullamento. Se tra i due interviene anche Marte, principio dinamico dell'azione, il risultato sarà l'inutile tentativo di rompere la cristallizzazione attraverso un attivi­smo tutto esteriore e poco interiorizzato, con il risultato della frustrazione e di un'azio­ne distruttiva verso se stessi. Di fronte ad una simile trama dell’inconscio-destino, non resta che attivare la forza di Marte o quella del Sole o di un pianeta altrettanto potente, capace di costringere Plutone e Saturno al dialogo, almeno sino a quando la tensione non si sia alleggerita in virtù di una parziale conoscenza di se stessi.

 Il tema della discesa agli inferi e del contatto con la zona oscura della coscienza era presente in ogni antica iniziazione. Nei Misteri di Dioniso, l'iniziato lasciava addirittura che il rimosso filtrasse alla luce del sole e nell'ebbrezza del delirio, reso più facile dalla musica e dal vino, sperimentava la totalità delle proprie energie.

 Nelle Baccanti”, Euripide ci rappresenta il delirio dionisiaco delle origini. La tragedia è altrettanto illuminan­te nel presentare l'indomabile e divina forza dell'inconscio. Ecco come Tiresia parla di Dioniso: 

 “ […] E questo dio è anche profeta. Perché il furore bacchico e il delirio hanno virtù profetica. E quando il dio entra negli uomini a grande impeto, li dissenna e predicono il futuro” (“Il Teatro greco”, Sansoni, Firenze, 1970, p.1017). Allorché Penteo cattura Dioniso, si svolge tra i due questo interessante dialogo:
Dioniso: L'ho visto [Zeus]faccia a faccia e mi ha trasmesso i riti e i misteri.
Penteo: Che riti sono e quale è la forma ch'essi hanno per te?
Dioniso: Sono dei riti su cui vige il silenzio: nessuno che non sia iniziato può conoscerli.
Penteo: E quale bene ne ha chi li celebra?
Dioniso: A te non si può dire, ma è un bene che un uomo deve farne esperienza”. (cit. p. 1022).

 Inutile, d'altra parte, è la pretesa di Penteo di ignorare il dio e le forze che egli rappresenta. Avrà un bell'ordinare alle guardie: "E voi andate a chiuderlo nelle stalle qui accanto, perché veda solo il buio e la tenebra!” (p.1024). L'inconscio non si può incatenare. Ben presto Dioniso si libera: "In questo io l’ho beffato, ch'egli credeva d’incatenarmi ma non mi ha sfiorato, non mi ha toccato, la sua è stata un'illusione” (p. 1027).

 Dioniso è figura centrale anche nei Misteri Orfici. Solo che la prospettiva è qui capovolta. Dioniso non è più la rappresentazione gioiosa della vita nel dispiegamento totale degli istinti e delle energie. Nella teologia orfica, egli è Zagreo, il lacerato, creatura infera nata da Zeus e da Persefone. La totalità uomo-dio si è nuovamente frantumata. Aizzati da Era, eternamente gelosa di Zeus, i Titani hanno fatto a pezzi il dio e lo hanno divorato. Dal cuore sottratto al banchetto, Zeus forma un altro Dioniso, poi fulmina i Titani. Dalla cenere dei Titani, nascono gli uomini, in cui l'elemento dionisiaco e spirituale della luce e del bene si fonde con quello titanico e materiale dell'oscurità e del male.

 sergio magaldi


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