La brutta figura rimediata dalla Juve nella
finale di Champions non deve sorprendere più di tanto, perché ha cause ben
precise. Non solo la tradizione che l’ha vista perdente, con questa, in ben 7
finali su 9, ma soprattutto la condizione fisica di una squadra che nell’ultimo
mese ha rischiato addirittura di perdere uno scudetto già vinto e di cui la
critica continuava a dire che centellinava le proprie forze in previsione dei
tanti impegni, tra campionato, coppa Italia e Champions. La verità è che la
Juve è arrivata stressata alla partita più importante dell’anno. La quadratura
del cerchio trovata da Allegri per non scontentare i suoi grandi attaccanti,
schierandoli contemporaneamente tutti in campo, e nell’intento di migliorare un
modello di gioco poco spettacolare, alla lunga ha finito per mostrare i suoi
limiti: con 10 giocatori costretti da mesi a correre a tutto campo per ovviare
all’inconveniente di non poter contare su un vero centrocampo, formato di
incontristi e di un grande regista. Si aggiunga a ciò, nell’ultimo mese e dopo
due stagioni esaltanti, il crollo di Cuadrato e, per l’intera stagione appena
conclusasi, lo snaturamento di Dybala, costretto a compiti di copertura che non
gli sono congeniali e che solo saltuariamente gli hanno consentito di mettersi
in mostra. Cuadrado e Dybala, i due giocatori determinanti nel gioco offensivo
della Juve. Scrivevo tra l’altro in un precedente post:
“la
squadra […] quando gli avversari attaccano è costretta ad arretrare perché non
fa filtro a centrocampo, e come potrebbe […] con Pjanic e Khedira che non sono
né interditori né veri centrocampisti, ma buoni interni o trequartisti […]?
L’inconveniente potrebbe anche essere sanato con un ordinato gioco d’attacco,
che succede invece? Che gli esterni, i trequartisti e un Dybala che da seconda
punta, l’allenatore ha trasformato in altro, si buttano tutti insieme in
avanti, a turno cercando gloria personale senza servire Higuain, la vera e
unica punta di questa squadra”.
Sono
tornato sulla questione in un altro post, allorché si è cominciato a fare il
confronto con la Juve finalista di due anni fa; scrivevo tra l’altro:
“Si ha un bel dire […] che la Juve si
è nel frattempo rafforzata, ma i bianconeri sono davvero più forti, con Pjanic, Cuadrado, Mandzukic, Higuain e
Dybala [che ormai segna solo su rigore] e senza Pirlo, Vidal, Pogba, Morata e
Tevez e con un pacchetto difensivo, per ragioni anagrafiche, meno impenetrabile
di prima? Sulla carta forse sì, ed è vero che la Juventus da qualche tempo ha
cominciato a giocare all’europea, ma è proprio certo che il gioco di Allegri
con quattro attaccanti sia davvero più offensivo di quello con i tre centrali,
con cui ha giocato sino a poco tempo fa? A giudicare da quello che si vede in
campo e anche dal numero dei goal che segna mediamente si direbbe di no, anche
se bisogna ammettere che ne ha guadagnato lo spettacolo. Pur apprezzando lo
sforzo della società per rafforzare la squadra e renderla maggiormente
competitiva in Europa, continuo a pensare che ai bianconeri manchi un grande
centrocampista per tentare la grande impresa
e anche un’organizzazione più razionale di gioco, in grado di mettere
Higuain nelle condizioni di finalizzare a rete più spesso, così come il Napoli
della scorsa stagione riusciva a fare con l’argentino”.
La Juventus della finale di due anni fa contro
un grande Barcellona fu in gara per tutta la partita. Privata di un calcio di
rigore, capitolò definitivamente solo negli ultimi minuti. La Juve di ieri
notte ha resistito un tempo al Real Madrid, crollando poi nella ripresa, dove è
stata quasi sempre costretta nella propria area e dove Buffon e la difesa hanno
certamente avuto le loro responsabilità, fortemente mitigate, tuttavia, dalla
mancanza di un centrocampo in grado di fare filtro, impedendo il dilagare degli
spagnoli. Nonostante la sonora sconfitta, sono convinto che l’organico della
Juve non sia inferiore a quello del Real Madrid. Ieri notte, gli uomini di
Zidane erano solo meno stressati dei loro avversari, con più organizzazione di
gioco, meglio schierati in campo e con la capacità di far valere la manifesta
superiorità del centrocampo.
sergio
magaldi
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