sabato 19 agosto 2017

L’Editoriale di El País sulla strage di Barcellona






 In queste ore di lutto nazionale per la Spagna, mentre le televisioni sospendono la consueta programmazione per lasciare spazio alla narrazione sulla tragedia della Rambla di Barcellona e i focolai terroristici di Alcanar [Tarragona] e Cambrils, mentre le parole – purtroppo sempre le stesse in simili occasioni – così come le immagini, si ripetono sino allo sfinimento dei telespettatori, e risuonano le solite frasi ad effetto, come “No tengo miedo” [Non ho paura], Mariano Rajoy lancia il suo appello per l’unità del Paese, più che mai attuale in un momento delicato della vita nazionale in cui solo poche ore prima degli attentati terroristici si discuteva animatamente, dentro e fuori il Parlamento, sull’indipendenza della Catalogna e sul prossimo referendum. Per il resto, le parole del capo del governo spagnolo non si discostano da quelle di altri primi ministri in circostanze analoghe, per ribadire con fermezza, con i giusti ideali di libertà e di democrazia, che “Non cambieremo il nostro stile di vita”, laddove sarebbe preferibile e più semplice un chiaro e preciso riferimento alla sacralità della vita e ai diritti universali di ogni essere umano.

 Sulla scia del presidente del governo, interviene con un editoriale il più prestigioso quotidiano di Spagna: “El ataque en La Rambla llama a la unidad en una nuova agenda politica” [L’attacco contro la Rambla chiama all’unità nella prospettiva di una nuova agenda politica] – titola l’editoriale di El País di Venerdì 18 Agosto, e nel corso dell’articolo evidenzia a grandi lettere:

Este crimen tiene que
ser un aldabonazo que
devuelva a la politica
catalana a la realidad

Apelamos al Govern para
que se ponga al servicio
de los problemas
reales de Cataluña

[Questo crimine deve essere un gran colpo per riportare la politica catalana alla realtà. Lanciamo un appello al Governo perché si ponga al servizio dei problemi reali della Catalogna].

 Insomma, per El País e per Mariano Rajoy quello dell’indipendenza catalana è l’ultimo dei problemi, anzi non è nemmeno un problema a fronte degli attacchi terroristici che hanno colpito il Paese e che potrebbero colpirlo in futuro. Sicuramente è così, e parlare oggi di secessionismo di regioni europee è almeno anacronistico. Resta il fatto, che le parole di Rajoy e quelle del quotidiano di Madrid non sono certamente dettate dalla prudenza e potrebbero generare nei malevoli esercizi di dietrologia che di sicuro non vanno alimentati in una congiuntura così tragica per la Spagna e per tutta l’Europa.

 Dopo aver menzionato la strage, attribuita alla stessa matrice, della mattina di Giovedì 11 Marzo 2004 [per gli affezionati della numerologia 11 come il giorno dell’attacco alle Torri Gemelle e ancora 11 se si sommano i numeri della data intera 11-03-2004, cioè 1+1+3+2+4 =11], allorché dieci zaini riempiti con esplosivo uccisero 192 persone e ferirono 2.057 persone alla stazioni di Atocha, El Pozo e Santa Eugenia di Madrid – sorprendentemente sorvolando sul fatto che mancavano soltanto tre giorni alle elezioni politiche generali –  l’editoriale ricorda i recenti attentati che hanno insanguinato le strade di diverse città europee: Manchester con 22 morti, Berlino con 12, Nizza con 84 morti e 300 feriti, Bruxelles con 32 morti e 300 feriti, Parigi con 130 morti oltre ai 12 dell’attacco a Charlie Hebdo. L’articolo prosegue poi con l’analisi delle misure già prese o quelle da prendere contro il terrorismo jihadista, ma infine la lingua finisce nuovamente col battere dove il dente duole: “Celebramos, por tanto, que el presidente del Govierno, Mariano Rajoy, haya decidito encabezar, junto con la Delegacíon del Gobierno en Cataluña, la supervisión de las operaciones de respuesta ante el ataque […] Lamentablemente, el brutal atentado terrorista que ha vivido Barcelona coincide con un momento de máxima confusíon política en Cataluña. Un ataque de esta magnitud tiene que ser un aldabonazo que devuelva a la realidad a las fuerzas políticas catalanas que, desde el Govern, el Parlament o los movimientos por la independencia han hecho de la quimera secessionista la sola y unica actividad de la agenda política catalana en los últimos años”. [Apprezziamo pertanto che il capo del governo, Mariano Rajoy, abbia deciso di presiedere, unitamente alla Delegazione del Governo di Catalogna, alla supervisione delle operazioni di risposta all’attacco (…) Purtroppo, il brutale attentato terrorista che ha vissuto Barcellona coincide con un momento di massima confusione in Catalogna. Un attacco di questa portata deve essere come un gran colpo per ricondurre alla realtà le forze politiche catalane che, dal Governo, al Parlamento o ai movimenti per l’indipendenza hanno fatto della chimera secessionista la sola e unica attività dell’agenda politica catalana degli ultimi anni].

sergio magaldi


venerdì 18 agosto 2017

L'EUROPA che non c'è...



 Come già capitato, sere fa mi aspettavo di trovare al confine di Ventimiglia la gendarmeria francese coadiuvata dai cani-poliziotto e pronta ad impedire l’accesso sul sacro suolo di Francia di migranti, indesiderabili e spacciatori. E invece, con mia grande sorpresa, ho visto apparire, nella loro uniforme blu - carta da zucchero, i poliziotti italiani di frontiera, impegnati con encomiabile zelo nel controllo capillare non di chi entrasse, ma di chiunque volesse lasciare il Belpaese: passeggeri di auto private o di pullman da turismo ai quali non solo è stato chiesto di esibire il documento per uscire dall’Italia, ma a diversi di loro il documento è stato sequestrato per una buona mezz’ora, senza motivi apparenti e con un criterio difficile da comprendere, dal momento che passaporti e carte di identità sono stati ritirati anche a signore di una certa età e dalla faccia insospettabile. L’attesa per rientrare in possesso dei documenti a molti è sembrata eterna, a me ha fatto venire in mente il film “Detenuto in attesa di giudizio”, che inizia proprio ad un passaggio di frontiera italiana, con il ritiro per “accertamenti” del passaporto del protagonista, interpretato magistralmente da Alberto Sordi. Com’è noto, dopo aver atteso a lungo la restituzione del documento, Alberto Sordi si vede arrestare perché scambiato con un’altra persona.

 Questa volta, non mi sembra ci siano stati arresti e neppure errori di identità; resta il fatto strano e inquietante che mentre dei gendarmi francesi non si è vista neppure l’ombra, e neppure di quelli spagnoli, al successivo confine tra Francia e Spagna, i poliziotti italiani si dessero un gran daffare per impedire che eventuali soggetti indesiderabili lasciassero il nostro Paese. Di che si tratta? Di misure eccezionali per dare la caccia a qualcuno? Di un servizio reso ai transalpini a garanzia della loro sicurezza interna? Di un patto che stabilisce tra italiani e francesi turni periodici di sorveglianza delle frontiere? Se così fosse, perché non esiste un analogo controllo per chi esce dalla Francia ed entra in Spagna? Sarebbe interessante avere chiarimenti in merito da parte delle autorità italiane. Diversamente, i cittadini potrebbero pensare alla subalternità dell’Italia in questa Europa dominata dal capitale finanziario e dall’egemonia franco-tedesca: lasciato solo a governare la massiccia migrazione proveniente dall’Africa, il nostro Paese deve ora farsi garante anche della sicurezza per conto terzi?

sergio magaldi   



mercoledì 16 agosto 2017

La ciliegina di Allegri





 La Juve vista Domenica sera nella finale di Supercoppa italiana è apparsa, oltre che in ritardo di forma, fisicamente e tatticamente stanca, come nell’ultimo mese di Campionato, come nella finale, persa nettamente, di Champions. È vero, d’altra parte, che a pochi giorni dall’inizio della Serie A, la squadra appare indebolita rispetto allo scorso anno, non solo per le partenze di Bonucci, Dani Alves, Lemina e Rincon, ma anche perché i nuovi acquisti, Douglas Costa e Bernardeschi, sembrano più che altro variabili non determinanti rispettivamente di Cuadrado e di Pjaca.

 Partita con fervore agonistico, dopo i primi cinque minuti la Juventus si è subito afflosciata, lasciando il dominio territoriale alla Lazio e denunciando lo stato approssimativo di molti dei suoi, soprattutto a centrocampo, dove Pjanic e Khedira tutto hanno fatto tranne che creare un filtro per ostacolare le discese dei laziali e nello stesso tempo creare palle giocabili per le punte, e in attacco dove, a fronte di un Mandzukic inguardabile e di un mai servito Higuain, ci sono stati solo gli spunti di Cuadrado e le manovre di Dybala che, così come avveniva l’anno passato, continua a partire da troppo lontano per inspiegabili motivi tattici. Eppure, proprio il campione argentino – di sicuro il migliore in campo dei bianconeri – sfruttando un calcio di rigore e tirando magistralmente a rete un calcio di punizione compiva il miracolo di pareggiare quasi al novantesimo una partita già persa.

 Restano inspiegabili i cambi effettuati da Allegri: a parte gli ultimi venti minuti di un impalpabile Bernardeschi, Douglas Costa che sostituisce Cuadrado – l’unico con Dybala a mantenere viva sino a quel momento la manovra offensiva della Juve – invece dello spento Mandzukic e soprattutto il cambio di Benatia [a mio giudizio il migliore della difesa bianconera] con l’ex-milanista De Sciglio. Mossa quest’ultima che si rivelerà strategicamente determinante per la vittoria… della Lazio, quando Lukaku, ad un minuto dalla fine del recupero, involandosi indisturbato sulla fascia [dov’era Douglas Costa?!] non trovava il collaudato Lichsteiner come ultimo ostacolo, bensì il pupillo di Allegri che il robusto difensore laziale piantava in asso, dribblandolo con facilità, per poi crossare di precisione al centro dell’area avversaria per il comodo 3-2 con cui la Lazio si è aggiudicata meritatamente la Supercoppa italiana di quest’anno.

 Insomma, è quasi superfluo ripetere quanto più volte ho detto in passato: senza un vero centrocampo di filtro e regia, la Juve non potrà mai vincere una Champions e quest’anno avrà vita dura anche in Campionato. Si continua a parlare dell’arrivo di Matuidi e/o di tanti altri illustri centrocampisti, ma a pochi giorni dall’inizio del Campionato, con le partenze di Lemina e di Rincon, la Juve in mezzo al campo appare ancora più povera.


sergio magaldi      

mercoledì 2 agosto 2017

TERAPIA DI COPPIA PER AMANTI

Diego De Silva, Terapia di coppia per amanti, Einaudi Super ET, Torino 2017, pp.288, € 12,50


 Per le letture sotto l’ombrellone, ripropongo un romanzo di un paio di anni fa, ora ripubblicato per le edizioni di Einaudi Super ET e da Mondolibri. Può risultare utile per gli amanti in astensione forzata durante le vacanze estive e costretti a riflettere sulle proprie vicende personali e familiari. Ancorché scritto in un linguaggio che, nell’intento di cavalcare il proprio tempo e di strappare qualche risata, non di rado indulge alla volgarità, il romanzo del napoletano Diego De Silva si propone come una ricerca semiseria sulla condizione degli amanti: perché stanno insieme, come gestiscono la loro relazione clandestina, che si aspettano dal futuro. Per la verità, nella narrazione di De Silva, questi interrogativi sembrano più che altro ossessionare Viviana, la donna della coppia, perché lui, Modesto, musicista di professione, dal figlio sveglio e dal padre impossibile, sembra più che altro aver bisogno di viverlo l’amore con Viviana, senza bisogno di farsi tante domande.

 Che le cose non stiano come le vorrebbe Modesto si percepisce già dalle prime righe del libro: “Se pensate che gli amanti siano partigiani della felicità; gente abbastanza disillusa da aver capito che l’unico modo per resistere all’andazzo mortifero della vita matrimoniale sia farsene un’altra in cui negare ideologicamente le norme vigenti della prima, e dunque abolire ogni ruolo, ogni dovere, ogni ambizione di stabilità in nome di un unico fine superiore (il solo che poi conta veramente), quello di vedersi quando si ha voglia senza aspettarsi dall’altro più di quanto ti dà; bene se è questo che pensate, allora lasciate che vi dica che non avete la minima idea di cosa state parlando” [p.3, ed. Mondolibri]. Insomma, è del tutto illusorio pensare che l’amante sia “un fazzoletto di terra a statuto speciale dove abbandonarti ai tuoi desideri più essenziali, provvisoriamente esentato dalle rotture di coglioni che ti ammorbano l’esistenza quotidiana. Tu, lei e niente più”.

 A lasciarci intravedere come stiano realmente le cose, ci viene in soccorso Viviana, quando è il suo turno di parlare [i due amanti si alternano nel romanzo in quello che di fatto è un simbolico rivolgersi ai lettori]: “Ma con quest’uomo, accidenti, non so davvero cosa mi prende. Mi si è ribaltato tutto. Non ho più convinzioni, punti fermi, principi […] Lo voglio e non lo voglio, lo esalto e lo demolisco, lo cerco e lo allontano, lo scaccio e lo riconvoco[…] La verità è che mi sento sua, vergognosamente  sua, mentre lui, che pure mi ama, di me potrebbe anche fare senza […] Tre anni che la nostra storia va avanti, e non un segno di miglioramento. Combatto ogni giorno con la mia dipendenza, m’illudo che prima o poi riuscirò a superarla o perlomeno a inglobarla nelle attività che m’impegnano il tempo ma non c’è verso, non ne vengo fuori, sono invischiata in questo amore doloroso e non ce la faccio più a reggere la doppia vita, perché alla fine di questo si tratta […] Certo, non è stato sempre così. All’inizio tutto è facile, fattibile […] La leggerezza dei primi mesi è incantevole […] Poi un giorno qualcosa s’inceppa […] Inizi a pensare a lui continuamente, ossessivamente. Ti manca […] Perché se ne va?, ti chiedi. E non te l’eri mai chiesto. Perché torna a casa da sua moglie? Cosa ci fa con lei?” [pp.14-17].

 Così, ad un certo punto, arriva la telefonata di lei, sull’orlo di una crisi di nervi, a casa di lui, alle quattro del mattino [o di notte, secondo il punto di vista] e se non fosse per la complicità di Eric, il figlio di Modesto che ignora la relazione di suo padre, ma ha subito intuito di che si tratti, tutto sarebbe scoperto e i due amanti non sarebbero più clandestini. E, nei giorni seguenti, le interminabili discussioni tra lui giustamente risentito e lei che gli rimprovera la sua insensibilità, sino al punto di trascinarlo in una terapia di coppia. E qui tra la messa in questione, se non in ridicolo, del trattamento psicoanalitico, per le umane debolezze del terapeuta, e in una girandola di citazioni musicali, si consuma il futuro della coppia: “Ho riflettuto molto in questi giorni – dice Viviana a Modesto – e ho capito un po’ di cose. Per esempio che tu sei fatto così. Che ho sbagliato a trascinarti in analisi. Che non possiamo affidare a qualcun altro la soluzione dei nostri problemi. Che dobbiamo fare da noi. E non so se saremo in grado. Quello che devi sapere è che potrei andarmene da un giorno all’altro, quando meno te lo aspetti”.

 Pur nei limiti cui è affrontata la materia, l’autore ha l’abilità di cogliere una certa psicologia dell’amante femmina: il suo carattere lunare, romantico e minaccioso; e una psicologia altrettanto parziale dell’amante maschio, dall’atteggiamento intriso di edonismo e di superficialità, anche quando ama. In conclusione, il romanzo descrive con una certa efficacia gli innumerevoli problemi della “condizione amante”, complicata dall’idea illusoria e ossessiva che per far cessare ogni malessere tra gli amanti basterebbe trasformare la relazione clandestina in un secondo matrimonio.


sergio magaldi