lunedì 10 dicembre 2018

Settantesimo anniversario della DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI






 Ricorre oggi, 10 dicembre 2018, il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata nel corso di una sessione dell’ONU, il 10 dicembre del 1948. Ironia della storia, la Dichiarazione, voluta fortemente da Eleanor Roosevelt, fu firmata a Parigi, proprio nella città europea dove in questi giorni divampa l’insurrezione contro Macron e contro un’Europa sempre più in mano ad una ristretta oligarchia e sempre meno espressione dei popoli che ne fanno parte.
La ricorrenza, al di là della sua indubbia rilevanza storica, deve farci riflettere se e in quale misura il Preambolo e i 30 articoli di cui si compone la Dichiarazione abbiano trovato concreta attuazione nella realtà di ogni giorno.
Non basta, dovremmo anche chiederci se la genericità contenuta nell’affermazione di certi principi – più che comprensibile per l’epoca in cui furono redatti gli articoli – non sia tra le cause che, autorizzando interpretazioni talora distanti tra loro, ne abbiano causato spesso il mancato adempimento o, se magari, questa genericità sia soltanto un alibi.
Ricorderò questo giorno con un breve excursus storico tratto in gran parte da miei precedenti post sull’argomento.

La prima moderna rivendicazione di diritti umani fondata sul diritto naturale e sulla tesi contrattualistica del potere è  La Petizione dei Diritti che nel 1628 il Parlamento Inglese invia al re Carlo I. Promossa da Sir Edward Coke, la Petizione contiene  quattro principi: 1) Nessuna tassa può essere imposta dal Sovrano senza il consenso del Parlamento. 2) Nessuno può essere imprigionato senza una prova [ribadendo un principio della Magna Charta, già noto come “habeas corpus”]. 3) Nessun soldato può essere alloggiato a carico della popolazione. 4) Nessuna legge marziale ha valore in tempo di pace.

Una più ampia ed elaborata rivendicazione di diritti umani si ha nel corso della I Rivoluzione Inglese, con il Patto del Libero Popolo Inglese [An Agreement of the Free People of England], elaborato tra il 1647 e il 1649. La modernità del Patto sta innanzi tutto nel riconoscere la sovranità al Popolo prima ancora che al Parlamento. Si legge tra l’altro nelle conclusioni:

 È chiaro il motivo per cui noi vogliamo istituire un patto col popolo e dichiarare quali siano i nostri diritti naturali, piuttosto che chiedere al Parlamento di sancirli: nessun atto del Parlamento è, o può essere, immodificabile, per cui non esclude con garanzia sufficiente - per la vostra e la nostra sicurezza - la possibilità che un altro Parlamento si lasci corrompere e decida in senso contrario. Inoltre, il Parlamento deriva potere e rappresentatività da coloro che glieli trasmettono. Il popolo deve quindi specificare in che cosa consiste tale potere e tale rappresentatività, ed è appunto questo che si prefigge il nostro patto”.

Per tutto il secolo XVII procede intanto, soprattutto in Inghilterra, il dibattito sulla natura del potere, sul diritto naturale e sul contratto sociale. Si delineano quattro scuole di pensiero. Si va da Robert Filmer, che continua a sostenere l’origine divina del potere del Sovrano, a John Warr che rivendica la sovranità popolare in nome di Dio, in virtù della scintilla divina presente in ogni uomo. La tesi contrattualistica del potere è invece sostenuta da Thomas Hobbes e da John Locke ma con opposte implicazioni. Per Hobbes, lo stato di natura è caratterizzato dal principio, già evocato in età classica, che “ogni uomo è un lupo per l’altro uomo” [homo homini lupus], con il risultato che il potere si accentra nelle mani del più forte e che non esiste il diritto naturale, ma solo il diritto fondato sulla forza. Per uscire da questa condizione di guerra incessante degli uni contro gli altri, gli uomini accettano di divenire parte integrante di uno Stato che d’ora in avanti godrà di un potere illimitato. Locke, al contrario, ritiene che non necessariamente nello stato di natura gli uomini debbano combattersi fra loro, in quanto la ragione li fa consapevoli di possedere il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Si assoceranno, dunque, ma solo al fine di evitare l’anarchia e di creare uno Stato per la tutela di tali diritti, e il cui potere [avendo ben cura di separare il potere legislativo da quello esecutivo] potrà sempre essere rimesso in discussione allorché venga meno il fine stesso della costituita comunità politica.
L’individuazione di un primo nucleo di diritti umani inalienabili, avvenuta tra contrasti e alterne vicende, nell’Inghilterra del XVII Secolo, trovò la sua concreta formulazione, per uno dei tanti paradossi della Storia, nella Dichiarazione di Indipendenza dalla madrepatria inglese di tredici colonie americane. Se nel preambolo di The Unanimous Declaration of the Thirteen of the United States of America e in gran parte delle affermazioni che ne seguono l’obiettivo è quello di legittimare il distacco dalla Corona britannica, i primi cinque principi hanno valore universale e fondativo di ogni successivo diritto umano.
“We hold these truths to be self-evident, “Queste verità noi consideriamo di per sé evidenti…” dichiarano i rappresentanti degli stati americani riuniti in Congresso a Philadelphia il 4 Luglio del 1776:

1)   “that all men are created equal”,  “che tutti gli uomini sono stati creati uguali”
2)   “that they are endowed by their Creator with certain unalienable rights”,  “che sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili”
3)   “that among these are life, liberty and the pursuit of happiness”,  “che tra questi diritti ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”
4)   “that to secure these rights, governments are instituted among men, deriving powers from the consent of the governed”,  “che per assicurare questi diritti, tra gli uomini sono stati istituiti governi, che traggono il loro consenso direttamente dai governati”
5)   “that whenever any form of government becomes destructive to these ends, it is the right of the people to alter or to abolish it and to institute new government, laying its foundation on such principles and organizing its powers in such form, as to them shall seem most likely to effect their safety and haooness”,  “che ogniqualvolta una forma di governo si fa distruttiva di questi fini, è diritto del popolo modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo che poggi le sue fondamenta su tali principi e regoli il potere in una forma tale da sembrare la migliore per promuovere la sicurezza e la felicità del popolo”.

 La piattaforma dei diritti umani sarà completata, a undici anni di distanza dalla Dichiarazione d’Indipendenza, nella prima Costituzione degli Stati Uniti d’America [17 Settembre 1787] che è anche la prima carta costituzionale del mondo. In dieci emendamenti vengono codificati alcuni dei punti contenuti nel più volte citato Patto del Libero Popolo Inglese e cioè: il divieto di introdurre norme atte a stabilire una religione di Stato, con il relativo diritto per i cittadini di professare qualsiasi religione [sull’esempio del Pantheon degli antichi romani]; il divieto di ogni norma che limiti la libertà di parola e di stampa, il diritto di associazione e di rivolgere petizioni al governo [Primo Emendamento]. Il diritto del popolo di tenere e portare armi per la propria sicurezza [II]. E ancora, una norma che riprende e modifica il terzo punto della Petizione dei diritti che nel 1628 il Parlamento inglese rivolge al re Carlo I, in base alla quale nessun soldato, in tempo di pace, può essere acquartierato in una casa senza il consenso del proprietario né, in tempo di guerra, se non nei modi previsti dalla legge [III]. Il diritto dei cittadini a non subire perquisizioni di alcun genere [persone, case, carte, effetti], non ragionevoli o non sufficientemente motivate [IV]. E inoltre che in tempo di pace, nessuno possa essere chiamato a rispondere di un delitto se non su denuncia o accusa di un Gran Giurì, nessuno possa essere processato due volte per lo stesso delitto, né chiamato in un processo penale a testimoniare contro se stesso [V]. I restanti emendamenti riguardano la tutela legale del cittadino.
                                       
 La risoluzione circa i diritti umani, contenuta nei principi della Dichiarazione di Indipendenza Americana e nei successivi emendamenti, sbarca nel vecchio continente a due anni i distanza dall’approvazione della prima Costituzione degli Stati Uniti d’America. Dopo la presa della Bastiglia del 14 Luglio, il popolo francese in armi, attraverso i propri rappresentanti, tra il 26 e il 27 Agosto del 1789, approva la famosa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino in 17 articoli preceduti dal seguente Preambolo:

“I rappresentanti del popolo francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le sole cause delle pubbliche calamità e della corruzione dei governi, hanno preso la risoluzione di esporre in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell'Uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente per tutti i Membri del corpo sociale, ricordi loro senza interruzione diritti e doveri; affinché gli atti del potere legislativo e quelli dell'esecutivo, potendo essere ad ogni istante messi a confronto con il  fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; e le proteste dei cittadini, fondate d’ora in avanti su semplici e incontestabili principi, si volgano sempre al mantenimento della Costituzione e alla felicità di tutti”.

Il fascismo e ancora di più il nazismo si fecero interpreti della più grande negazione dei diritti umani che la Storia abbia mai conosciuto, col massacro programmato – il nazismo – o semplicemente avallato – il fascismo – di milioni di ebrei, ma anche di zingari, omosessuali, massoni e avversari politici. Non a caso la dottrina del fascismo, elaborata da Benito Mussolini e dai teorici del regime, irride ai principi dell’Ottantanove che chiama “sacri”, “immortali”, “intangibili”, per meglio beffarli.

“[…]Il Fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la “felicità” sulla terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700 […]Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto[…] Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato…

Queste idee, a beneplacito di chi coglie diversità tra un “primo” fascismo e il  fascismo di guerra, si ritrovano già nel 1926:

[…]siamo cioè in uno Stato che controlla tutte le forze che agiscono in seno alla nazione. Controlliamo le forze politiche, controlliamo le forze morali, controlliamo le forze economiche, siamo quindi in pieno Stato corporativo e fascista… rappresentiamo un principio nuovo nel mondo, noi rappresentiamo la antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola, degli immortali principi dell’89.” [S. E D.: 1926; vol. V, pagine 310-11].

 Al termine della II Guerra mondiale, con la caduta del nazifascismo che aveva rappresentato la più spietata negazione dei diritti umani, gli spiriti più illuminati “Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell'umanità, e che l'avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell'uomo”[così recita il 2.o capoverso del Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani] vollero che l’Assemblea dell’ONU tornasse a riaffermare con forza il diritto di ogni essere umano alla libertà, alla dignità e al lavoro.

sergio magaldi



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