martedì 20 novembre 2018

I LIBRI PIU’ BELLI SULL’AMORE, parte II, Werther e Jacopo Ortis





SEGUE DA 


 Se Lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig è il romanzo dell’amore assoluto e non corrisposto di una donna, il prototipo dell’amore infelice e tragico, spesso segreto, perché uno dei due amanti – quasi sempre una donna, per motivi familiari o sociali destinata ad altri – non si trova, per così dire, sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro, è rappresentato da I dolori del giovane Werther che Goethe pubblicò nel 1774, e dalla sua “variante” italiana, Ultime lettere di Jacopo Ortis  di Ugo Foscolo, apparso nel 1802. Entrambi i romanzi non fanno parte della classifica dei “venti libri d’amore più importanti della storia” di Tuttolibri, ma figurano in altre graduatorie dei “libri più belli sull’amore” che circolano in rete. In comune con Lettera di una sconosciuta, hanno la caratteristica di essere romanzi epistolari, dove a scrivere è per di più uno solo dei due amanti, evitando un intreccio poco probabile, vuoi per il senso che la storia narrata è destinato ad assumere, vuoi per la segretezza che deve essere mantenuta.
  I dolori del giovane Werther si iscrive a buon diritto nel clima preromantico, suscitato dal movimento cosiddetto dello Sturm und Drang (tempesta ed impeto), il cui manifesto è rappresentato  dai  Saggi intorno al carattere e all’arte dei tedeschi, redatto nel 1773 da Herder, Goethe e Moeser. Valori di riferimento sono l’esaltazione del genio individuale e della spontaneità del popolo, lo spirito libero e la vita secondo natura intesa alla maniera di Jean Jacques Rousseau (1712-1778), il chiaro di luna e la musica quasi simboli del connubio tra natura e spirito, l’amore e la poesia come nella grande stagione di William Shakespeare (1564-1616). All’idealismo dominante, tuttavia, fa riscontro l’idea della vanità e della precarietà della vita umana, quasi la nostalgia di un paradiso perduto, lo struggimento per non poter cogliere l’assoluto, l’eros e thanatos (amore e morte) come punti nodali dell’esistenza, la materia sepolcrale dell’ossianesimo, cosiddetto da Ossian, principe e antico cantore di epica presso i celti, nonché protagonista dell'opera di Macpherson, I canti di Ossian (1760-1773), dove l’esaltazione del sentimento e della natura si tinge di malinconia e si accompagna alla narrazione di imprese leggendarie e cavalleresche. Non a caso Goethe nel suo romanzo fa in modo che Werther legga a Carlotta alcuni passi dei Canti di Ossian:

«…"Non avete niente da leggere?" chiese. Werther non
aveva nulla. "Là, nel mio cassetto, riprese Carlotta, c'è
la vostra traduzione di alcuni canti di Ossian: non li ho
ancora letti, perché speravo sempre di udirli da voi, ma
da allora non è mai stato possibile".
Egli sorrise, prese il poema, e un brivido lo scosse
quando lo ebbe fra le mani, e gli occhi gli si riempirono
di lacrime quando li posò sullo scritto. Sedette, e cominciò
a leggere:"Stella della notte crepuscolare, tu risplendi
fulgida all'occidente, tu alzi dal seno della tua
nuvola la testa raggiante, e maestosamente
avanzi sulla tua collina. Che cosa guardi nella
brughiera? I venti tempestosi si sono calmati,
da lontano giunge il mormorio del torrente;
onde sussurranti si frangono contro la roccia
lontana; nei campi si diffonde il ronzio degli
insetti della sera. Che cosa guardi, bella luce?
Ma tu sorridi, e passi, e ti circondano i flutti
che bagnano la tua chioma graziosa. Addio,
raggio tranquillo. Risplendi tu, splendida luce
dell'anima ossianica!”…» [I dolori del giovane Werther, ebook Progetto Manuzio, liberliber, pp.148-149]

Come nasce la passione di Werther per Carlotta? Naturalmente si tratta di amore a prima vista, come il giovane racconta in una delle lettere al suo amico:

«16 giugno.
Perché non ti scrivo? Me lo domandi proprio tu che
sei un sapiente! Dovresti indovinare che sto bene e
che... In breve ho fatto una conoscenza che mi tocca
proprio il cuore. Ho... non so quel che ho!
Sarà difficile che io possa raccontarti ordinatamente
come ho conosciuto la più deliziosa fra le creature. Sono
soddisfatto e contento; e per conseguenza non sono un
buono storico.
Un angelo! ahi, questo ognuno lo dice della sua amata.
E quindi non so come fare a dirti come lei sia perfetta,
perché sia perfetta: in breve lei è riuscita ad avvincere
tutto il mio essere.
Una grande purezza si unisce a una grande intelligenza,
e la bontà e l'energia, la pace dell'animo e l'amore
alla vita attiva armonizzano in lei. Tutte le cose che ti
scrivo non sono che chiacchiere inutili e vane astrazioni
che non esprimono nulla di quello che lei è.» [Ibid., pp.22-23]

Ed è una condizione di felicità quella che pochi giorni più tardi Werther descrive in un’altra lettera all’amico. Una beatitudine che si appaga già solo della vicinanza alla donna amata:

«21 giugno.
Vivo giorni così felici, quali Dio ne concede ai suoi
beati: qualunque cosa possa avvenirmi ora, non potrò
dire di non aver gustato le più pure gioie della vita. Tu
conosci il mio Wahlheim; là mi sono definitivamente
stabilito: sono soltanto a una mezz'ora di distanza da
Carlotta e vi godo tutta la felicità che può essere concessa
a un uomo. Eppure non avrei pensato, scegliendo Wahlheim
come meta delle mie passeggiate, che esso sarebbe
stato così vicino al cielo. E quante volte nelle mie
lunghe escursioni ho contemplato, dal monte, o dalla
pianura che si stende al di là del fiume, la casa di caccia
che ora racchiude tutti i miei desideri!» [Ibid., pp.35-36]

Ora Werther si dice certo con l’amico di essere riamato da Carlotta e che questo lo fa sentire migliore, insomma “se altri mi ama per ciò stesso sono giustificato ad esistere”, un concetto che, d’après Sartre, ricorre spesso nella narrativa dell’esistenzialismo di quasi due secoli più tardi, ma il primo germe dell’infelicità è già all’opera: Carlotta ha un fidanzato verso cui nutre tutt’altro che indifferenza. Nella lettera del 16 luglio ricompare nuovamente e con più forza il motivo medievale della donna “angelicata” cara al “dolce stil novo” ma, quanto più la donna appare di natura angelica, tanto più infelice e tragico sarà il destino dell’amante:

«13 luglio.
No, non m'inganno: leggo nei suoi occhi neri un vero
interesse per me, per la mia sorte. Io sento, e posso lasciar
parlare il mio cuore, sento che lei... devo in queste
parole esprimere la mia celeste felicità? sento che lei mi
ama!
Mi ama! E come sono divenuto caro a me stesso! a te
posso dirlo perché hai l'animo atto a comprendermi.
Come mi sento elevato ai miei propri occhi da quando
lei mi ama!
È forse presunzione? o è coscienza dei veri sentimenti
che ci uniscono? Io non conosco nessun uomo di cui
temere l'influenza sul cuore di Carlotta. Pure quando lei
parla del suo fidanzato con tanto calore e con tanto affetto,
mi sento come un uomo al quale si sottraggano
tutti i suoi onori e le sue dignità, e a cui si porti via la
sua spada.

16 luglio.
Quale brivido mi corre nelle vene quando per caso le
mie dita toccano le sue, quando i nostri piedi s'incontrano
sotto la tavola! Mi ritiro come dal fuoco, una segreta
forza mi spinge avanti di nuovo, e tutti i miei sensi sono
presi da vertigine. E la sua innocenza, la sua anima
ignara non le lasciano comprendere come queste piccole
familiarità mi fanno male. Se, parlando, lei posa la sua
mano sulla mia, se nel calore della conversazione si avvicina
a me in modo che il suo alito divino sfiori le mie
labbra, io credo di morire, come percosso dal fulmine. E
se una volta, Guglielmo, quell'anima celeste e fiduciosa
io osassi... tu mi capisci? No, il mio cuore non è così
corrotto! Ma è debole, molto debole, e questa non è forse
corruzione?
Lei mi è sacra. Ogni desiderio tace alla sua presenza.
Non posso dire quello che succede in me quando le sono
vicino; mi pare che tutta l'anima si riversi nei miei nervi.
Carlotta sa una melodia che suona al pianoforte con
un'angelica espressione, con grande semplicità e spirito.
È la sua aria preferita, e appena suona la prima nota,
fuggono lontano da me pene, preoccupazioni, capricci.»[Ibid. pp.49-51]

 La consuetudine con Carlotta e il suo fidanzato non farà che aumentare la disperazione di Werther, sino al proposito del giovane e sfortunato amante di scomparire definitivamente:

« Avevo già trascorso una mezz'ora immerso nei tristi e
dolci pensieri della separazione e del rivedersi, quando
li sentii salire sulla terrazza. Corsi loro incontro e, con
un brivido, presi la mano di lei e la baciai. Eravamo appunto
arrivati, quando la luna si levò dalla collina coperta
di cespugli; conversammo un poco e poi giungemmo
al gabinetto oscuro. Carlotta entrò e si sedette, Alberto
si mise vicino a lei e io pure; ma la mia inquietudine
non mi permise di stare a lungo seduto; mi alzai, mi
misi davanti a Carlotta; feci qualche passo in su e in giù,
mi sedetti di nuovo: era uno stato di angoscia. Lei ci
fece osservare il bell'effetto di luna che dal fondo del
boschetto di faggi illuminava davanti a noi tutta la terrazza;
il colpo d'occhio era splendido e ci colpiva ancor
più, in quanto eravamo avvolti da una profonda oscurità.
Eravamo silenziosi e, dopo qualche tempo, lei cominciò
a dire: non posso mai passeggiare al chiaro di luna senza
pensare a tutti i miei morti, senza esser presa dal sentimento
della morte e dell'avvenire. Noi avremo una seconda
vita, proseguì con accento forte e sentito; ma,
Werther, ci potremo ritrovare, riconoscere? Che cosa
pensate, che ne dite voi?
- Carlotta - dissi, e le tesi la mano mentre gli occhi
mi si riempivano di lacrime - ci rivedremo; qui e lassù,
noi ci rivedremo. - Non potei dire altro. Guglielmo, doveva
lei farmi questa domanda mentre io avevo in cuore
l'angoscia dell'addio? [Ibid. pp.76-77]

In che il romanzo di Jacopo Ortis si differenzia da quello del giovane Werther? La formula epistolare è la stessa, con  le lettere scritte ad un caro amico (Lorenzo Alderani), quasi identico l’intreccio narrativo, perfettamente identico il finale. Anche qui c’è l’amore a prima vista e il tema della donna angelicata anche se espressi con maggiore sobrietà:

«26 Ottobre
La ho veduta, o Lorenzo, la divina fanciulla; e te ne
ringrazio. La trovai seduta miniando il proprio ritratto.
Si rizzò salutandomi come s'ella mi conoscesse, e ordinò
a un servitore che andasse a cercar di suo padre.» [Ultime Lettere di Jacopo Ortis, Grande Universale Mursia, Milano, 1965, p.24]

«Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non
quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angioli
sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare
l'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo
si aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto
del mondo?» [Op.cit., p.54]

 A differenza di Carlotta, tuttavia, che nutre per Werther un amore fraterno, Teresa ama Jacopo, anche se l’essere stata promessa, per gravi ragioni economiche, da suo padre a Odoardo, le impedirà ugualmente di vivere il proprio amore, pronunciando la frase che spezzerà il cuore di Jacopo: “Non posso essere vostra mai!”:

«14 Maggio, a sera
O quante volte ho ripigliato la penna, e non ho potuto
continuare: mi sento un po' calmato e torno a scriverti. –
Teresa giacea sotto il gelso – ma e che posso dirti che
non sia tutto racchiuso in queste parole? Vi amo. A queste
parole tutto ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso
dell'universo: io mirava con occhi di riconoscenza il cielo,
e mi parea ch'egli si spalancasse per accoglierci! deh!
a che non venne la morte? e l'ho invocata. Sì; ho baciato
Teresa; i fiori e le piante esalavano in quel momento un
odore soave; le aure erano tutte armonia; i rivi risuonavano
da lontano; e tutte le cose s'abbellivano allo splendore
della Luna che era tutta piena della luce infinita
della Divinità. Gli elementi e gli esseri esultavano nella
gioja di due cuori ebbri di amore – ho baciata e ribaciata
quella mano – e Teresa mi abbracciava tutta tremante, e
trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore
palpitava su questo petto: mirandomi co' suoi grandi occhi
languenti, mi baciava, e le sue labbra umide, socchiuse
mormoravano su le mie – ahi! che ad un tratto mi
si è staccata dal seno quasi atterrita: chiamò sua sorella
e s'alzò correndole incontro. Io me le sono prostrato, e
tendeva le braccia come per afferrar le sue vesti – ma
non ho ardito di rattenerla, né richiamarla. La sua virtù –
e non tanto la sua virtù, quanto la sua passione, mi sgomentava:
sentiva e sento rimorso di averla io primo eccitata
nel suo cuore innocente. Ed è rimorso – rimorso
di tradimento! Ahi mio cuore codardo! – Me le sono accostato
tremando. – Non posso essere vostra mai! – e
pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una
occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi.» [Ibid. pp.65-66]

 Un’altra differenza tra i due romanzi epistolari consiste nel fatto che in Jacopo Ortis c’è spazio per la politica e l’amor patrio. All’impossibilità di vivere il suo amore con Teresa, si aggiunge infatti la delusione di un veneziano per il tradimento compiuto da Napoleone con il trattato di Campoformio [17 ottobre 1797] che segnò la fine della Repubblica di Venezia.

sergio magaldi


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