domenica 12 dicembre 2021

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte tredicesima)


 

SEGUE DA:

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’ E  DOGMATISMO (Parte prima)

 

LE FORME  DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte terza)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO  (Parte quinta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte sesta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte settima)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte ottava)

 

LE FORME    DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte nona)

 

LE  FORME   DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte decima)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte undicesima)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte dodicesima)

 

 

 Emerge tuttavia una continuità tra la Qabbalah di Isacco il cieco e quella del Chassidismo. In entrambe si direbbe quasi che il pensiero oscilli di continuo tra devozione religiosa e nihilismo, tra ricerca impossibile di giungere sino all'Uno nel tentativo almeno di cogliere il significato più autentico dell'azione divina e la consapevolezza di chi conosce in anticipo l'inutilità e la nullificazione di ogni azione umana votata in tal senso.

 

 L'esemplificazione di tale tragico paradosso insito nel pensiero sapienziale della Qabbalah ebraica si trova forse - come è stato messo in evidenza da Gershom Scholem, Martin Buber, Karl Grozinger e tanti altri - nell'universo letterario di Kafka. Addirittura G.Scholem soleva dire che per capire veramente la Qabbalah bisognerebbe prima aver letto i libri di Franz Kafka. Nei romanzi dello scrittore praghese si disegna infatti, contemporaneamente, la speranza teurgica propria della Qabbalah storica e la ‘rinuncia’ chassidica portata sino alle estreme conseguenze.

 

L’impossibilità di giungere al Signore del Castello, come l’impossibilità di ottenere il giudizio nel Processo non dipendono dall’irascibile Dio del Vecchio Testamento, neppure il ‘silenzio’ di Dio dipende dalla Sua ‘morte’ e la condanna nell’apparente innocenza, così come per Giobbe, non dipende dall’esistenza di un Demiurgo malvagio che Kafka avrebbe in comune con Marcione e i marcioniti secondo il fortunato ma per me errato giudizio di Remo Cantoni.

 

La Qabbalah nell'accennare al progetto divino del mondo, individua nella teurgia lo strumento del Tiqqun, della riparazione e della restaurazione, ma l’impresa rivela subito la sua natura prometeica e superba e deve essere punita. Persino in Abramo ‘la sincera convinzione’ di essere sulla via giusta diventa superbia e questa stessa ubris guida Josef K. nel Processo e l’agrimensore K. nel Castello; il loro fallimento è il fallimento stesso dell’azione teurgica come istanza riparatrice, né migliore fortuna arride alla variante teurgica proposta dal Chassidismo dove è il Rebbe, lo Zaddik ad intercedere per la comunità.

 

L’aiuto nel tribunale del Processo come nel villaggio del Castello si rivela illusorio quando non addirittura fuorviante. Eppure, questo pensare l’inadeguatezza della teurgia non si colloca fuori dell’ebraismo e della Qabbalah, né è vissuto da Kafka con angoscia. 'L’angoscia intollerabile' di cui parlò André Gide s’impadronisce piuttosto dei lettori e deve servire ad allontanarli dall’agire frenetico. Il fatto è che lo scrittore ceco ci invia un messaggio preciso che non è la denuncia dell’incapacità umana di spingersi con il suo agire fin su…, bensì la lucida consapevolezza non tanto dell’inutilità del desiderio di ascesa, quanto piuttosto della pericolosità prometeica di tale desiderio. Scrive in proposito Bernhard Rang:

 

«Nella misura in cui si può considerare il castello come sede della grazia, tutti questi vani tentativi e sforzi significano appunto -in termini teologici- che la grazia divina non si lascia ottenere e costringere dall’arbitrio e dalla volontà dell’uomo. L’inquietudine e l’impazienza non fanno che impedire e confondere la sublime quiete del divino». (Cfr.in W.Benjamin, Angelus Novus, tr.it., Milano,1965,p.292).

 

A sostegno di tale interpretazione basterebbero alcuni pochi aforismi di Kafka contenuti negli Otto quaderni in ottavo, a cominciare dal più breve di tutti: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato

 

S E G U E 

 

sergio magaldi


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