SEGUE
DA:
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte seconda)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME DEL
PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO
(Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte decima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte undicesima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte dodicesima)
Emerge tuttavia una continuità tra la Qabbalah
di Isacco il cieco e quella del Chassidismo. In entrambe si direbbe quasi che
il pensiero oscilli di continuo tra devozione religiosa e nihilismo, tra
ricerca impossibile di giungere sino all'Uno nel tentativo almeno di cogliere
il significato più autentico dell'azione divina e la consapevolezza di chi
conosce in anticipo l'inutilità e la nullificazione di ogni azione umana votata
in tal senso.
L'esemplificazione
di tale tragico paradosso insito nel pensiero sapienziale della Qabbalah
ebraica si trova forse - come è stato messo in evidenza da Gershom Scholem,
Martin Buber, Karl Grozinger e tanti altri - nell'universo letterario di Kafka.
Addirittura G.Scholem soleva dire che per capire veramente la Qabbalah
bisognerebbe prima aver letto i libri di Franz Kafka. Nei romanzi dello
scrittore praghese si disegna infatti, contemporaneamente, la speranza teurgica
propria della Qabbalah storica e la ‘rinuncia’ chassidica portata sino alle
estreme conseguenze.
L’impossibilità
di giungere al Signore del Castello, come l’impossibilità di
ottenere il giudizio nel Processo non dipendono
dall’irascibile Dio del Vecchio Testamento, neppure il ‘silenzio’ di Dio
dipende dalla Sua ‘morte’ e la condanna nell’apparente innocenza, così come per
Giobbe, non dipende dall’esistenza di un Demiurgo malvagio che Kafka avrebbe in
comune con Marcione e i marcioniti secondo il fortunato ma per me errato giudizio
di Remo Cantoni.
La
Qabbalah nell'accennare al progetto divino del mondo, individua nella teurgia
lo strumento del Tiqqun, della riparazione e della restaurazione,
ma l’impresa rivela subito la sua natura prometeica e superba e deve essere
punita. Persino in Abramo ‘la sincera convinzione’ di essere sulla via
giusta diventa superbia e questa stessa ubris guida
Josef K. nel Processo e l’agrimensore K. nel Castello;
il loro fallimento è il fallimento stesso dell’azione teurgica come istanza
riparatrice, né migliore fortuna arride alla variante teurgica proposta dal
Chassidismo dove è il Rebbe, lo Zaddik ad intercedere per la comunità.
L’aiuto
nel tribunale del Processo come nel villaggio del Castello si
rivela illusorio quando non addirittura fuorviante. Eppure, questo pensare
l’inadeguatezza della teurgia non si colloca fuori dell’ebraismo e della
Qabbalah, né è vissuto da Kafka con angoscia. 'L’angoscia
intollerabile' di cui parlò André Gide s’impadronisce piuttosto dei lettori e
deve servire ad allontanarli dall’agire frenetico. Il fatto è che lo scrittore
ceco ci invia un messaggio preciso che non è la denuncia dell’incapacità umana
di spingersi con il suo agire fin su…, bensì la lucida consapevolezza non tanto
dell’inutilità del desiderio di ascesa, quanto piuttosto della pericolosità
prometeica di tale desiderio. Scrive in proposito Bernhard Rang:
«Nella
misura in cui si può considerare il castello come sede della grazia, tutti
questi vani tentativi e sforzi significano appunto -in termini teologici- che
la grazia divina non si lascia ottenere e costringere dall’arbitrio e dalla
volontà dell’uomo. L’inquietudine e l’impazienza non fanno che impedire e
confondere la sublime quiete del divino». (Cfr.in W.Benjamin, Angelus Novus,
tr.it., Milano,1965,p.292).
A
sostegno di tale interpretazione basterebbero alcuni pochi aforismi di Kafka
contenuti negli Otto quaderni in ottavo, a cominciare dal più breve
di tutti: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato”
S E G U E
sergio magaldi
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