venerdì 6 gennaio 2012

NESSUNO SI SALVA DA SOLO





Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo, Mondadori, 2011




 Non c’è una trama vera e propria nell’ultimo breve romanzo di Margaret Mazzantini [l’edizione originale non supera le 160 pagine di effettiva narrazione, quella di Mondolibri addirittura le 150], se non la cronaca della dissoluzione, lenta ma inesorabile, di un rapporto di coppia. L’espediente narrativo è semplice: Delia e Gaetano [che lei probabilmente chiama Gae] sposati e non ancora quarantenni si ritrovano in un ristorante all’aperto quando tra loro è già successo di tutto.


- Perché siamo qui?

- Per parlare dell’estate dei bambini…

È arrivata la cotoletta. La cameriera la molla lì. Gaetano solleva la forchetta, la punta verso Delia.


 Tra un boccone e l’altro, si dipana la storia del loro amore e del successivo disamore. Un tentativo non sempre riuscito di dare ritmo ad una narrazione che altrimenti rischierebbe di non averne. Non sono solo le parole che i due si scambiano, accennando ai figli Cosmo e Nico o a qualche ricordo del passato, a riempire la scena sono soprattutto i pensieri reconditi dell’uno e dell’altra che s’intrecciano sin quasi a confondersi, a rappresentare una vicenda che pareva segnata sin dall’inizio:


 Bastava guardarlo attentamente, Gaetano, per capire che non era adatto a lei, che non erano adatti. Non erano all’altezza dell’impresa che intendevano compiere. Due velleitari pieni di buchi emotivi. Si erano annusati ben bene nell’arco di poche ore. Convinti di riempire ogni buco con la sola forza del pensiero. Il germe della distruzione albergava già in quella esaltazione. Due timidi asfaltati di rivalse che si palleggiavano una sola mitomania, quella della loro unione. Un micidiale esempio di coppia contemporanea.


 In realtà è la storia di sempre: la ragione dell’amore è spesso soltanto la proiezione di un mito inconsapevole, senza tempo né spazio, mentre le ragioni del disamore sono scritte in modo indelebile nell’usura del quotidiano e nell’abitudine dei gesti e dei luoghi, e ognuno dei due le riconosce perfettamente. Si può far finta di niente, ma all’improvviso arriva la classica goccia che, come si suole dire, fa traboccare il vaso, perché tutto prima o poi deve essere consumato, anche l’amore:


 Dov’è il segreto dell’amore eterno? Del viaggio che si rinnova? È davvero solo questione di ormoni, di cani che si saltano addosso?


 Il senso del romanzo in fondo è tutto qui: Delia e Gae colti in un presente squallido, alla luce di un passato che non può tornare e che tuttavia continua ad alimentarsi di rimpianti. E il merito della Mazzantini sta nel bilanciare “democraticamente” non solo i reciproci pensieri di odio e di amore ma le ragioni e i torti dell’uno e dell’altra. Anche se alla fine s’intuisce chiaramente da che parte si schieri chi racconta. Perché è stato Gae ad un certo punto a far precipitare tutto, a colmare il disamore e la reciproca mancanza di desiderio con l’avventura iniziata, proprio nel giorno della festa di compleanno di Cosmo, con una delle ragazze dell’animazione. E Delia lo viene a sapere da Nico, l’altro figlio. E Gae dichiara che era sul punto di dirglielo, mentre sua moglie replica con una frase che, pur nel linguaggio forte e nell’involontaria ironia, sa di rimpianto per l’amore perduto, come nessun’altra espressione avrebbe potuto:


-Ma non me l’hai detto. Come puoi scoparti un’altra, con lo stesso cazzo…


 È vera l’affermazione di Francesca Magni? Nessuno si salva da solo è “un’epica del privato (piccolo piccolo)” e non riesce a “volare”? Può darsi, anche se il privato di cui si parla si muove sullo sfondo della crisi sentimentale di una generazione e mi sembra emblematico della fragilità della vita e dei rapporti umani. È vero invece – come scrive la Magni nella sua pur pregevole recensione [vedila in Rete] – che Margaret Mazzantini utilizzi “un gergo di carattere che vuole mescolare alto e basso, turpiloquio e profondità”. L’operazione non è nuova e tuttavia mi sembra riuscita, come non è nuovo il periodare scarno, intessuto di frasi brevi, scolpite quasi, che molto ricorda il romanzo americano tra le due guerre. Come pure, quel “gergo tra turpiloquio e profondità”, ricorda il romanzo della condizione umana e il romanzo esistenzialista, con quella ricerca del “sublime” che non discende dall’alto ma nasce dalle putredine. Basti pensare [ Si veda in proposito su questo blog il breve saggio La fortuna di Sartre] al critico francese Emile Henriot, scandalizzato dall’episodio “orribile e sozzo” di L’age de raison [“L’età della ragione”] di Sartre, allorché una ragazza [Ivitch] vomita e Sartre osserva: “Un aspro odore di vomito emanava dalla sua bocca così pura, Mathieu respirò appassionatamente quell’odore”. E Merleau-Ponty commenta: “Orbene, senza alzare il tono e senza cercare il paradosso, si può trovare nella frase di L’age de raison che tanto urta Emile Henriot come un piccolo sublime, senza eloquenza e senza illusioni, che è, credo, un’invenzione del nostro tempo. Si parla da un pezzo dell’uomo come angelo e animale insieme, ma la maggior parte dei critici sono meno arditi di Pascal. Trovano ripugnante mescolare l’angelico e l’animale nell’uomo […]”

 Pur non raggiungendo le vette di Non ti muovere o di Venuto al mondo, la Mazzantini mostra tuttavia ancora una volta di padroneggiare la scrittura e di saper utilizzare tecniche narrative del passato, allorché queste siano capaci di conservare la loro efficacia anche nel presente. Più di tanta prosa italiana contemporanea, autoreferenziale e priva di retroterra culturale.



sergio magaldi









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