ANJALI BANERJEE, La libreria dei nuovi inizi, Rizzoli, 2011, pp.342
Ossessionata [non a caso il titolo originale
del libro è Haunting Jasmine] dal pensiero di Robert, il marito
americano che l’ha tradita e abbandonata per un’altra donna e che per questo
motivo non esita ripetutamente a definire “un delinquente”, Jasmine Mistry,
un’indiana trapiantata in America con tutta la famiglia [proprio come l’autrice
del libro] si reca da Los Angeles a Shelter Island per sostituire
temporaneamente alla guida di una libreria, situata in un edificio vittoriano
dall’aria misteriosa, la non più giovane zia Ruma che deve recarsi in India per
“questioni di cuore”. Forse un’operazione chirurgica? Solo alla fine del
romanzo se ne saprà di più.
Edizione Mondolibri, RCS Libri S.p.A, Milano, 2011, pp.338
Inizia
così, poco a poco, la lenta “conversione” di Jasmine che da consulente
finanziaria o qualcosa di simile deve mutarsi rapidamente in appassionata
conduttrice di una “speciale” libreria dove gli scrittori, più o meno famosi e
defunti, fanno sentire la loro “presenza”, dove si organizzano amorevoli sedute
di adulti e bambini, dove una statua di bronzo di Ganesh, il dio indiano dalla
testa di elefante, sembra fatta apposta per spaventare i clienti e per
trasmettere loro il senso del mistero.
Senso che, tuttavia, il lettore avverte
pochissimo, per la prosa quasi da “romanzo rosa” di Anjali Banerjee,
prevedibile e per di più costellata di “frasi fatte” d’ineffabile spessore
[almeno nella traduzione italiana] del tipo: “Muoio dalla
voglia di una doccia calda e di una tazza di caffè bollente” o “Mi sento come se mi fosse appena arrivato
un pugno in pieno stomaco” o “Mi
mordo il labbro per evitare di cantargliene quattro” e via dicendo.
Neppure il riferimento a Ganesh – che pure
nel finale del romanzo sarà chiamato a svolgere il ruolo di deus ex machina
– sembra dar corpo ad una narrazione che permane ingenua, infantile e
“dolciastra”, più adatta forse ad un racconto per ragazzi o per garbate
giovinette d’altri tempi, illuse della vita e dell’amore. Un genere dal quale
certamente la scrittrice avrà colto maggiori soddisfazioni. Ganesh, com’è noto,
è il dio dalla testa di elefante che, nella tradizione indiana, al suono
dell’OM, il mantra sacro, dette origine all’universo descrivendone le forme
attraverso la danza. Una raffigurazione di sicuro irrazionale del Principio
creativo e che fa sorridere gli occidentali. Di qui la sua forza dirompente di
contro ai miti pseudorazionali con cui l’Occidente ha di volta in volta inteso
rappresentare le proprie divinità.
Irrazionale che calza a pennello per questo
romanzo: parlare con i grandi spiriti del passato, senza creare le condizioni
di un “realismo magico”, sa di superficiale e d’ingenuo e appiattisce l’intera
vicenda nella direzione di un esito falsamente tranquillizzante e fabulistico.
Ciò che puntualmente accadrà nelle ultime pagine del romanzo, quando tutto
tornerà al “posto giusto”: la zia Ruma, la famiglia, la trasgressione
razionalizzata, i vivi, i morti e persino la sorella di Jasmine che non vuole
più sposare l’amato fidanzato per timore che lui in futuro possa tradirla, ma
che alla fine cederà alle pressioni dell’amata sorella che ha ritrovato intatta
la fiducia nella vita e nell’amore, dopo essere andata a letto con il fantasma
di uno scrittore filantropo e avventuriero che si aggira per la libreria.
Un libro da leggere, forse, prima di
addormentarsi, per chi voglia ritrovare serenità, illusioni e gioia di vivere.
sergio magaldi
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