mercoledì 8 febbraio 2012

"MOTIVAZIONI DI UNA SENTENZA DI ASSOLUZIONE"?





 Alcuni giornalisti sportivi a Radio-Radio si sono chiesti se le motivazioni rese note sulla sentenza di primo grado del processo Moggi siano quelle di una sentenza di assoluzione.

 E invece il Tribunale di Napoli ha condannato Luciano Moggi a 5 anni e 4 mesi di reclusione.

 Ho letto attentamente le 558 pagine a sostegno della condanna e, per la verità, dalle numerose intercettazioni riportate non ho ricavato l’impressione che sia stata messa in campo una frode a vantaggio della Juventus che, come tutti ricorderanno, fu l’unica squadra a pagare veramente a seguito del sommario processo sportivo, con la retrocessione in serie B e ben 17 punti di penalizzazione. Semmai, come osservano i giudici del Tribunale di Napoli, contro Moggi si può parlare di “possibile” tentativo di frode, mentre risulta evidente l’estraneità della squadra da qualsiasi responsabilità. Si legge in proposito alle pagine 548-49:

 “Né può essere trascurato il dato del ridimensionamento della portata dell’accusa che deriva dalla parzialità con la quale sono state vagliate le vicende del campionato 2004/2005, per correre dietro soltanto ai misfatti di Moggi, dei quali sono state accertate modalità, quanto alle frodi sportive, al limite di sussistenza del reato di tentativo, con conseguente ulteriore difficoltà dell’aggancio alla responsabilità del datore di lavoro, fornitore dell’occasione all’azione criminosa.”

 La colpa più grave per l’ex direttore generale della Juventus sembra essere quella di aver distribuito schede telefoniche svizzere, costume che, a quel che si sente dire in giro, caratterizzerebbe la comunicazione in molti ambienti istituzionali e tra le molteplici corporazioni legalmente operanti nel Paese. Si legga, a titolo di esempio, quanto viene scritto per tratteggiare il comportamento di  Paolo Bergamo, codesignatore arbitrale:

 “Né, pur dovendosi rapportare la funzionalità dell’associazione ai reati di frode sportiva costituenti il suo scopo, può essere attribuita una dirompente importanza al fatto che […] in nessuna delle conversazioni telefoniche intercettate Bergamo abbia detto a un arbitro in modo esplicito o meno esplicito ‘vai, arbitra in questo modo, fai vincere questa determinata squadra’, e ciò, pur essendo state, sia l’utenza cellulare che quella fissa al domicilio, sottoposte a intercettazione per un tempo rilevante […] Si tratta, invero, di regola di elementare cautela nella previsione della possibilità di essere intercettati, possibilità la cui consapevolezza è espressa nel contemporaneo uso delle schede straniere […]”

 Più in generale, si vedano le convinzioni [p.84] cui, da ultimo, sembra pervenuto il Tribunale sull’intera vicenda:

  “È convincimento del tribunale che sono sufficienti le parole pronunziate nelle conversazioni intercettate, quali trascritte al dibattimento, nel cumulo con il contatto telefonico ammantato di clandestinità, rappresentato dall’uso vicendevole delle schede straniere, per integrare gli estremi del reato, poiché, trattandosi di reato di tentativo [il grassetto è mio, come quello che segue immediatamente], questo non necessita della conferma, che il dibattimento in verità non ha dato, del procurato effetto di alterazione del risultato del campionato di calcio 2004-2005 a beneficio di questo o di quel contendente […]”

 È vero peraltro che dalle intercettazioni riportate nelle motivazioni delle sentenza emerge un quadro inquietante. Come, per esempio, le discussioni interminabili di Moggi con Biscardi per “influenzare il trattamento” da riservare agli arbitri. In quel periodo, infatti, il “Processo del Lunedì” aveva una speciale rubrica per “premiare o penalizzare” gli arbitri, attraverso una speciale classifica a punti, a seconda del comportamento tenuto in campo. E Moggi si lamenta spesso al telefono con l’ideatore e conduttore del “Processo” per non aver sempre sottratto punti ai direttori di gara “colpevoli” a suo giudizio di aver sfavorito la Juventus. Tuttavia, il lettore ignaro potrebbe chiedersi se questo possa ipotizzare un reato o non piuttosto un gioco tra due adulti rimasti fanciulli.

 Più interessanti, senza dubbio, sono le intercettazioni in cui si discute sulla composizione delle terne arbitrali: lo speciale e complesso meccanismo attraverso cui in quegli anni si sceglieva l’arbitro di una partita di calcio del campionato italiano, sorteggiandolo da una terna formulata dai designatori, Bergamo e Pairetto. Ebbene, è ferma convinzione dei giudici che il sorteggio non sia stato truccato:

 “Che il sorteggio non sia stato truccato[p.90], così come hanno sostenuto le difese, è emerso in maniera sufficientemente chiara al dibattimento.

 Incomprensibilmente il pubblico ministero si è ostinato a domandare ai testi di sfere che si aprivano, di sfere scolorite, e di altri particolari della condizione delle sfere, se il meccanismo del sorteggio, per la partecipazione ad esso di giornalista e notaio, era tale da porre i due designatori, Bergamo e Pairetto, nell’impossibilità di realizzare la frode.”

 Come pure, nelle intercettazioni che hanno per tema la formazione delle griglie non appaiono particolari pressioni, semmai un auspicio che alcuni nomi di arbitri non vi compaiano e soprattutto emerge la volontà di conoscere in anticipo la loro composizione. “Segreti di pulcinella”, in un certo senso, perché la stessa formazione delle griglie era condizionata per norma da diversi fattori che potevano far intuire anticipatamente i nomi dei componenti [pp.96-97].

 Resta il fatto, certamente discutibile e malsano, che i dirigenti sportivi, tutti e non solo Moggi, potessero parlare tranquillamente con arbitri e designatori arbitrali, prima e dopo la disputa delle partite. E l’impressione che se ne trae è che questo fosse un costume antico, nato forse col calcio stesso. Ciò è tanto più “riprovevole” per la Corporazione del Calcio, dove agli arbitri è vietato di parlare pubblicamente dello svolgimento e dell’esito di una gara. È la solita storia: dove tutto è vietato, tutto di fatto è “permesso” .

 E come non vedere nel meccanismo stesso della designazione degli arbitri, quello di allora, e quello di oggi [dove è persino scomparsa la griglia e l’arbitro viene designato direttamente], un possibile motivo di generale malessere, confusione e fraintendimento? Tornare al sorteggio secco e senza griglie per designare gli arbitri [come accadde in un vecchio campionato vinto da una società “ povera” come il Verona], nonché servirsi dell’ausilio della tecnologia [moviola ecc…] è cosa che aiuterebbe molto a semplificare le cose e a renderle più trasparenti. La questione vera è domandarsi perché non si proceda in questa direzione, nell’abbattere un tabù che, per quanto attiene all’uso della tecnologia, non è solo italiano, ma europeo e mondiale. Ci saranno certamente ragioni che il popolo degli amanti del calcio non deve sapere.

 Un reato emerge di sicuro dalle intercettazioni prodotte nel dispositivo della sentenza: la povertà lessicale e culturale degli intercettati, la loro ferma volontà di apparire i più bravi e i più furbi. Ma questo già lo sapevamo, dopo aver ascoltato le tante intercettazioni di politici e affini, in passato divulgate dai media.

sergio magaldi



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