Primo, ma non vincitore delle
elezioni, per sua stessa ammissione, Bersani lancia la proposta per la
governabilità del Paese. Purtroppo, lo fa con la tracotanza che ricorda quella
dei vecchi capi democristiani. Nella sostanza, il leader della coalizione di
centro-sinistra dichiara di non voler fare né tavoli né accordi con le altre
forze politiche presenti in Parlamento, non con il PDL, escludendo
esplicitamente il cosiddetto governissimo, e neppure con il Movimento di Beppe
Grillo, al quale lancia però un monito e un velato appello, invitandolo alla
responsabilità e sollecitandolo con un programma essenziale dai titoli
generici che, per indeterminazione e assenza di contenuti, può essere condiviso
da chiunque. Dice in proposito e con tono seccato il presidente del consiglio in
pectore:
“Quindi per quello che ci toccherà, la nostra ispirazione non ci
porterà a proporre alleanze e diplomazie con questo o con quello. Noi
proporremo alcuni punti fondamentali di cambiamento e cioé un programma
essenziale da rivolgere al Parlamento su riforma delle istituzioni, riforma
della politica a partire dai costi e una nuova legge sui partiti, moralità
pubblica e privata, difesa dei ceti più esposti alla crisi.”
La strategia del PD è se non altro chiara e
strumentale e sembra accomunare i
dirigenti della vecchia nomenclatura di scuola PCI-DC: presentarsi in Senato,
avendo già intascato la fiducia alla Camera, con un governo monocolore, magari
ravvivato dei tanti ex-salvatori della patria o cosiddetti esperti, sempre
utili in circostanze simili, e con un programma-indice che, strizzando l’occhio
al Movimento 5 Stelle, sia condivisile, per la sua indeterminazione, anche ai
volonterosi di altre parti politiche. Se un tale governo non dovesse ottenere
la fiducia, la responsabilità ricadrebbe sugli altri e si andrebbe a nuove
elezioni con la certezza [l’ennesima!] che questa volta l’elettorato, anche in
virtù di un appello lanciato in prossimità della nuova tornata elettorale, punirebbe i partiti dell’ingovernabilità, dando finalmente alla coalizione di
centro-sinistra, con o senza l’appoggio di Monti, l’auspicata maggioranza.
Una strategia che tiene conto dell’impraticabilità di un governo PD-PD con la L [secondo la nota distinzione che Beppe Grillo fa tra centro-sinistra e centro-destra], anche solo per le cosiddete riforme istituzionali, per un’intesa dalla quale sarebbe escluso Monti, rigettato da Berlusconi e che, a sua volta, ha fatto sapere di non essere disponibile ad un accordo con il cavaliere. Un governo che sarebbe comunque un ponte teso verso nuove elezioni, nelle quali il Movimento 5 Stelle potrebbe addirittura vedere accrescere le proprie forze.
Eppure, c’è nel PD chi propone un vero e proprio patto di mezza o piena legislatura con il PDL. Per fare che? E senza neppure la mediazione di Monti? Si è già visto cosa ha portato in un anno e mezzo: lacrime, sangue, oltre dieci milioni di voti persi da entrambi i partiti e neppure una nuova legge elettorale!
Una strategia schizofrenica quella proposta da Bersani e dalla dirigenza del Partito Democratico. In toni arroganti, ci si limita a far sapere ai grillini che, per il loro bene e per il bene dei loro figli, dovrebbero dare la fiducia al nuovo governo [magari
in cambio della dolorosa concessione della presidenza della Camera, e con Massimo
D’Alema che, in un eccesso di ecumenismo, teso più che altro a dimostrare
l’intercambiabilità degli alleati, in stile vecchia DC, arriva addirittura ad
offrire a M5S e PDL la presidenza dei due rami del Parlamento] per una politica che non si sa ancora
bene in cosa consista, ancorché contenga le solite generiche e velleitarie
dichiarazioni di principio della vecchia politica e persino una perla che
tradisce un lapsus, con la moralità privata invocata in forza di
legge, che rievoca gli antichi scenari del Savonarola.
Si aspettava Bersani, una risposta diversa da
quella che Beppe Grillo gli ha dato?
Il leader del
Movimento5 Stelle, ricorda innanzi tutto le espressioni utilizzate sin qui da
Bersani nei confronti suoi e dei grillini:
“Fascisti
del web, venite qui a dirci zombie"
"Con Grillo finiamo come in Grecia"
"Lenin a Grillo gli fa un baffo"
"Sei un autocrate da strapazzo"
"Grillo porta gente fuori dalla democrazia"
"Grillo porta al disastro"
"Grillo vuol governare sulle macerie"
"Grillo prende in giro la gente"
"Nei 5 Stelle poca democrazia”
"Grillo fa promesse come Berlusconi"
"Grillo dice cose sconosciute a tutte le democrazie"
"Grillo? Può portarci fuori da Europa"
“Basta con l’uomo solo al comando, guardiamoci ad altezza occhi, la Rete
non basta"
"Se vince Grillo il Paese sarà nei guai"
"Siamo di gran lunga il primo partito e
questo vuol dire che siamo compresi. Perché a differenza di quello lì che urla,
noi ci guardiamo in faccia, noi facciamo le primarie, stiamo tra la gente"
"Indecente, maschilista come Berlusconi"
"Da Grillo populismo che può diventare
pericoloso"
Poi, Grillo, rispedendo
al mittente la “generosa” offerta di Bersani di rendersi disponibile ad
accettare il voto di fiducia dei grillini, precisa:
“M5S non darà alcun voto
di fiducia al Pd (nè ad altri). Voterà in aula le leggi che rispecchiano il suo
programma chiunque sia a proporle. Se Bersani vorrà proporre l'abolizione dei
contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio
(il M5S ha rinunciato ai 100 milioni di euro che gli spettano), se metterà in
calendario il reddito di cittadinanza lo voteremo con passione”.
Occorre altro.
Centro-sinistra e Movimento 5 Stelle hanno avuto quasi 19 milioni di voti sui
circa 34 milioni di voti espressi e il M5S è alla Camera il primo partito
italiano. In una democrazia autentica si aprirebbe tra queste forze un
confronto alla luce del sole per formare un governo. Se questo non avviene è
perché tra PD e M5S corre una distanza misurabile in anni luce o perché in
Italia non c’è vera democrazia. Gli italiani non hanno votato male, né tutte le
colpe si possono scaricare sul Porcellum. Con
il sistema proporzionale e senza il famigerato
premio di maggioranza che assegna circa 200 deputati [su un totale di 630] alla
coalizione che abbia ottenuto almeno un voto in più dei suoi avversari, la
situazione sarebbe anche peggiore, con la necessità di un’intesa tra partiti
non solo al Senato ma anche alla Camera. Se il PD vuole davvero evitare il
ritorno della grande coalizione che lo ha reso per oltre un anno
speculare al PDL e non vuole che il Paese vada di nuovo alle urne, ha l’obbligo
di ascoltare il Movimento 5 Stelle in luogo di lanciare l’Opa per il
governo. Invece, nessuna diplomazia e nessuna trattativa, ha sottolineato
Bersani con nervosismo e compiacimento, ma solo un prendere o lasciare che più
che la fermezza dei forti denuncia l’arroganza dei deboli.
Ciò premesso, anche per Beppe Grillo si pone
un problema effettivo. A prescindere dagli insulti, peraltro sempre ricambiati,
e dalle “proposte indecenti” di Bersani. I circa 170 parlamentari grillini
eletti con quasi 9 milioni di voti potrebbero non trovarsi mai nella condizione
di votare una legge che li appassiona, per il semplice motivo che senza la
fiducia al governo nessuna legge sarà mai proposta in aula. A tale proposito,
corre in rete la petizione di Viola [per sottoscriverla è sufficiente entrare
nel sito www.change.org], una giovane
elettrice del M5S, che ha già raccolto in un solo giorno più di centomila firme e che chiede a Beppe Grillo e a
tutti i parlamentari di M5S di “non perdere questa occasione storica”.
Gli fanno eco altri guppi, come “Elettori di Movimento 5 Stelle indignati” e
quello che fa riferimento a Jacopo Fo, figlio di Dario, con il lancio su
Facebook di “10 riforme subito: vogliamo l’accordo tra Italia Bene Comune e
Cinque Stelle”. Un programma neppure tanto rivoluzionario e che almeno per 8/10
potrebbe essere accettato dal PD, se si escludono, forse, il reddito di
cittadinanza e l’accesso gratuito alla rete, per i problemi di natura economica
e privatistica che in questo momento di crisi economica comporterebbero. Questi
tutti i punti per votare la fiducia al governo:
1. Una
nuova legge elettorale;
2. Una
legge contro la precarietà
e l’istituzione del reddito di
cittadinanza;
3. La riforma del Parlamento, l’eliminazione
dei loro privilegi [sic],
l’ineleggibilità dei condannati;
4. La
cancellazione dei rimborsi elettorali;
5. L’abolizione
della legge Gasparri e una norma sul
conflitto d’interessi;
6. Una
legge anticorruzione
che colpisca anche il voto di scambio; e l’istituzione di uno strumento di
controllo sulla ricchezza dei rappresentanti del popolo (il “politometro”);
7. Il
ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola;
8. L’istituzione
del referendum propositivo senza quorum;
9. L’accesso gratuito alla Rete;
10. La
non pignorabilità della prima casa.
Siano queste od altre
le proposte del M5S, appare comunque evidente, con il passare delle ore, la
necessità di non “sprecare l’occasione” che, come dicevo già nel post di
Martedì, si presenta non solo per il neonato, sotto il profilo istituzionale,
Movimento 5 Stelle, ma soprattutto per PD-SEL
e la memoria storica di molti dei suoi militanti.
Sarà difficile, perché dalla Germania,
ambasciatore il presidente Napolitano [encomiabile per non aver voluto
incontrare il leader socialdemocratico che ha offeso gli italiani], arrivano
venti contrari. Ora si teme il “caso Italia”, più che per lo spread che
riprende a salire, per “il movimento degli indignati” che, entrando al governo
in Italia, potrebbe “infettare” il “ventre molle” di quell’Europa che tenta
ancora di opporsi all’egemonia tedesca e al Potere Finanziario che se ne serve.
sergio magaldi