Bersani ha incontrato i rappresentanti del
M5S. Lo ha fatto con dignità e semplicità. Il discorso per convincere i
capogruppo grillini di Senato e Camera non ha evidenziato, come del resto era
scontato, “proposte indecenti” per riceverne in cambio la fiducia ad un suo
sempre più problematico governo, ma l’argomentare è sembrato nel complesso
pensoso, pacato e senza anatemi. Forse un po’ ingenuo e antiquato nel
riproporre il “doppio binario”, l’uno rivolto al M5S, per il governo, l’altro
al PDL per le riforme costituzionali, o nel ribadire la scarsa volontà di
privare i partiti del finanziamento pubblico -
questione vitale per mantenere i tanti funzionari del suo partito –
allorché Bersani s’è detto disposto a “rivedere il finanziamento della
politica”, aggiungendo vagamente minaccioso che contestualmente occorrerebbe
occuparsi delle regole che disciplinano la vita democratica di un partito, con
chiara allusione al M5S.
Insomma niente di nuovo sotto il sole,
neppure la proposta di discutere insieme per l’intera giornata, prima di
recarsi al Quirinale, i 28 punti di riforma lanciati da entrambi [gli 8 del PD
e i 20 del M5S]. Una sorta di gioco delle tre carte, con l’ipotesi di tre
governi diversi: quello di Bersani, il governissimo e il governo del M5S. Semmai
l’implicito riconoscimento da parte di Bersani che almeno due dei suoi
vaghissimi 8 punti sono mero “flatus vocis”: il finanziamento della politica di
cui si diceva sopra, che sia pure in forma diversa deve restare, con l’alibi ottocentesco che altrimenti
la politica la fanno i ricchi, e nessuna restituzione o soppressione dell’IMU
sulla prima casa degli italiani, ma solo una riforma alla Prodi che, non a
caso, resta per il PD l’inquilino più gradito per il Quirinale. Comunque sia,
almeno un discorso consapevole quello di Bersani e non come quello di Luigi
Zanda, ieri sera a Ballarò. Già, perché l’ineffabile capogruppo del PD al
Senato ha affermato che tutti i partiti dovrebbero essere lieti, senza nulla
chiedere in cambio, di appoggiare “il governo delle meraviglie” che si accinge
a fare il PD e che, se non lo fanno, è
perché mancano del senso di responsabilità. Un discorso senza capo né
coda, non si capisce se più ingenuo o
più arrogante.
Dal canto suo, il M5S ha ribadito, per bocca della Lombardi e di
Crimi, quanto già si sapeva: nessuna fiducia ad un governo formato da PD o PDL,
ma disponibilità a votarne le singole misure se saranno convincenti. Nessuna
probabilità che si verifichi quanto è accaduto per l’elezione di Grasso alla
presidenza del Senato: allora la decisione all’interno dei gruppi parlamentari,
di continuare a votare scheda bianca, fu maggioritaria, questa volta la scelta
di non votare la fiducia al governo è stata presa all’unanimità.
Poco o nulla si ricava dunque dall’incontro. Eppure, riflettendo
con maggiore attenzione si nota in generale un clima più disteso tra le parti,
probabilmente dovuto alla diretta streaming. Si nota altresì come il M5S
non solo risponda alle domande dei giornalisti in diretta, ma elabori,
motivandola, una sua proposta per uscire dalla crisi: giocando per così dire
alla Bersani, il movimento ribadisce la proposta già fatta a Napolitano di
formare in proprio un governo che in Parlamento abbia la fiducia
degli altri partiti. E la motivazione è semplice: PD e PDL per vent’anni hanno
promesso riforme senza realizzarne neppure una, non sono dunque credibili. Si
dia pertanto al Movimento Cinque Stelle l’opportunità di realizzarle e se oggi
la volontà del cambiamento è reale, in uno o in tutti e due quei partiti, lo si
veda alla prova dei fatti. Ragionamento ineccepibile, sul quale Napolitano e il
PD dovrebbero riflettere. Proposta impresentabile, forse, ed è per questo che
il M5S la fa. I grillini sanno benissimo, che quando Bersani assicura che non
farà mai un governo col PDL, sta parlando a titolo personale e non a nome di
tutto il partito. Hanno ragione di pensare che una soluzione “dalle larghe
intese” prima o poi sarà trovata. Le manovre sono già in atto dietro le quinte.
E se nel futuro il PDL dovesse ritirare la fiducia, a certe condizioni e in
base ai provvedimenti già votati o da votare, il M5S potrebbe decidere di
rientrare nel “grande gioco”.
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