Auspicavo un “quarto” gesto
significativo di Napolitano [vedi post
del 21 Marzo 2013: Napolitano e la regia nella commedia dell’arte], un
governo del Presidente formato di personalità eccellenti [ma eccellenti
davvero] della cultura e dell’economia
e affidato ad un leader scelto tra una rosa di nomi offerta dal
M5S e che potesse essere condiviso dal PD e da SEL. Vista l’impraticabilità di
un governo Bersani, vista l’impossibilità oggettiva di un monocolore M5S, visto
il rifiuto del PD - nel timore di vedere il proprio elettorato assottigliarsi
ulteriormente - di un un governo di “larghe intese” con il PDL.
Forse ha
ragione Travaglio nel criticare i grillini per non aver presentato a Napolitano
“la rosa” in questione, che pure sembra fosse stata elaborata dal movimento
nella nottata antecedente il secondo incontro della delegazione M5S con il capo
dello stato. A quel che se ne sa, Napolitano non ha fatto richieste in tal
senso, resta tuttavia l’osservazione di Travaglio che il M5S “la rosa” avrebbe dovuto presentarla
ugualmente, per l’eventuale vantaggio politico che ne sarebbe derivato per il
movimento di fronte ad un probabile rifiuto da parte del PD e ad un altrettanto
probabile atteggiamento problematico di SEL.
In tale situazione, Napolitano avrebbe dovuto ugualmente
sperimentare “un governo del Presidente”, mandandolo al Senato in cerca di
fortuna? Come avrebbe potuto, dopo aver rifiutato a Bersani analoga
sperimentazione? Un fatto è certo e un altro è molto probabile, anche se poco
significativo. Il fatto certo è che Napolitano preferisca, e direi non a torto
e nonostante tutto, per la tranquillità dei mercati e per non aggiungere
ulteriori complicazioni ad una situazione di per sé caotica, lasciare in carica
per l’ordinaria amministrazione Monti e il suo governo, in luogo di sostituirlo
con altri presidenti del consiglio incaricati e dimissionari. E su questo punto
credo abbia ragione Grillo rispetto al capogruppo del suo movimento al Senato
che ha espresso qualche tardiva perplessità in merito. Il fatto probabile, ma
poco significativo, è che Napolitano, prediliga personalmente, per far fronte
alla contingenza politica, più un governo di “larghe intese” che le “incaute”
aperture di Bersani e del PD in altre
direzioni. Lo dice la sua storia di militante politico, lo ribadisce la scelta
dei cosiddetti facilitatori che la
stampa ha subito ribattezzato con il nome di “saggi”.
Ciò premesso, a parte l’ “incidente” di non aver indicato tra i
“facilitatori” un paio di donne, una per ciascuna delle due commissioni, non in
base alle “quote rosa”, ma semplicemente in virtù del riconoscimento di una
competenza femminile anche in materia di riforme costituzionali e di politica
economica, che senso ha il malumore trasversale di stampa e professionisti
della politica nei confronti della scelta di Napolitano? Cos’altro avrebbe potuto fare in
simili circostanze? Dimettersi? E con quale risultato, se non quello di
aggiungere alla mancanza di un presidente del consiglio legittimato dalle
Camere, alla mancanza di un capo della polizia, anche quella del capo dello
stato? Per anticipare l’elezione del proprio successore al Quirinale – è stato
detto – cioè per arrivare prima possibile allo scioglimento delle Camere e a
nuove elezioni, volute soprattutto e paradossalmente dal centro-destra [direi
giustamente dal suo punto di vista] e dalla sinistra del PD [direi
incautamente sotto ogni punto di vista]. Con quale coraggio una stampa - in gran parte asservita
ai partiti dai quali continua ad essere finanziata grazie al denaro dei
cittadini - e una classe politica così impresentabile e rissosa può permettersi
la critica di una scelta del Presidente, che non è certo risolutiva della
crisi, ma che almeno induce a riflettere?
Altrettanto evidenti, d’altra parte, sono “le ragioni” di Grillo e
di Casaleggio, nell’essersi rifiutati di presentare al capo dello stato una
rosa di nomi per la presidenza del consiglio. A loro giudizio, anche un governo
di personalità cosiddette eccellenti della cultura e dell’economia, poco o
nulla potrebbe fare nella totale confusione in cui naviga oggi la partitocrazia italiana, dopo vent’anni
[soltanto?!]di ruberie e di inettitudine a danno dei cittadini, con le scarse
risorse rimaste nelle casse dello stato e in presenza dell’impero
eurogermanico che controlla rigorosamente le province europee. Il post
di questa mattina sul blog di Beppe Grillo è abbastanza eloquente in proposito.
Rivolgendosi all’ipotetico elettore di M5S, scontento che il movimento
impedisca la governabilità del Paese, si elencano 19 motivi in base ai
quali [ma ne basta uno solo, si sottolinea nelle conclusioni] autoescludersi
per l’avvenire come potenziali elettori del M5S. Intendiamoci, i motivi in
elenco contengono tutti, di converso e implicitamente, ragioni forti e, a mio
giudizio per lo più giuste, di un’esigenza di cambiamento nel Paese di cui il
M5S si fa promotore. Resta il dubbio, pur apprezzando la fermezza intellettuale
degli ideologi del movimento, con quali mezzi si voglia realizzare l’obiettivo.
Non certo con il voto. È impensabile credere - e infatti è lecito pensare, anche in
virtù di questo post, che per primi non lo credano proprio Grillo
e Casaleggio - che gli 8 milioni di
voti del M5S siano tutti “duri e puri” e che invece non vi sia stata, come
sempre avviene in una competizione elettorale, una pluralità di motivazioni,
anche o soprattutto di natura psicologica e sociale ad orientare il consenso elettorale
verso “Cinque Stelle”.
Gli ideologi del movimento sanno benissimo, che il M5S non
raggiungerà mai quel 51% di voti che gli servirebbe per governare in solitudine
e per questo rischiano di buon grado anche quel 25% di cui dispongono ora. Già,
perché prima o poi si tornerà a votare, e i sondaggi [per quanto ne abbiamo già
apprezzato l’inaffidabilità, ma il motivo è anche dipeso dal fatto che molti
elettori di M5S e di PDL, nella precedente tornata elettorale hanno occultato
la loro reale intenzione di voto] parlano già di un PDL in testa con un paio di
punti su un PD stazionario, mentre il M5S sarebbe addirittura in calo del 6%.
Insomma, mentre si ha sempre più la sensazione che a vincere le prossime
elezioni sarà ancora una volta Berlusconi, agitando il fantasma
dell’inconcludenza del centro-sinistra e della sua sostanziale incapacità di
dare un governo al Paese, mentre la sinistra del PD s’illude di vincere
recuperando voti da un M5S
elettoralmente ridimensionato [recupero che ci sarà ma che sarà minore
di quello a vantaggio del centro-destra], il movimento di Grillo e Casaleggio
non ha preoccupazioni elettorali, non fa calcoli di sorta, perché ha piena
coscienza della massima gattopardesca del far finta di cambiare perché tutto
resti come prima. D’ora in avanti, ma in fondo è stato sempre così sin
dall’inizio - spiacenti per quelli che non lo abbiano ancora capito - il discorso
del movimento sarà teso, più che a “raccattare” voti, a illuminare la
coscienza degli italiani. Se un “incidente di percorso” ha fatto
provvisoriamente del M5S il primo partito politico in Italia, c’è sempre tempo
per fare un passo indietro, purché l’illuminazione prosegua
incessantemente, e quando gli italiani saranno tutti illuminati, allora il
sistema crollerà da solo. Visione forse escatologica della politica,
ma sicuramente di più ampio respiro di altre, basate esclusivamente
sull’accaparramento di voti e di denaro. Pazienza se a godere del nuovo
scenario saranno i nostri nipoti o i pronipoti o i pronipoti dei pronipoti. A
differenza dei partiti politici e dei tanti “padri puttanieri” che hanno
divorato i propri figli, il movimento avrà lavorato per la posterità. Il mio è
un discorso senza ironia, al massimo mi può dar fastidio l’apparente impotenza
del presente [che non è tale, se ogni giorno almeno una nuova coscienza s’illumina],
ma credo anch’io che, se non si lavora per la rivoluzione delle coscienze, non
si costruisca nulla di solido per il futuro.
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