Mentre il governo
delle larghe insolvenze del neodemocristiano Letta cerca attraverso le
dismissioni pubbliche di racimolare qualche spicciolo [che, al solito, sarà tolto
dalla tasca degli italiani e non da qualche taglio sugli sprechi] per
compiacere i padroni tedeschi e i loro mandanti, per evitare le dimissioni di
Saccomanni, l’uomo di fiducia di Draghi e del Quirinale, e per sopravvivere a
se stesso, evitando, ma solo per qualche mese, di ripristinare l’ IMU sulla
prima casa e di aumentare l’IVA, l’Italia dell’imprenditoria e dei banchieri,
dei manager pubblici e privati, non è da meno di quella dei politici.
Sul fronte
dell’acciaio, c’è poi il sacrosanto decreto della Magistratura che ha portato
al commissariamento dell’Ilva di Taranto, per inquinamento ambientale, e che ha
determinato – per mancanza di liquidità, sostiene la proprietà – la successiva
chiusura di 10 [o 13, come scrive qualcuno] stabilimenti dello stesso Gruppo. Il
governo sembrerebbe accingersi su pressione dei sindacati e di 1400 lavoratori
licenziati, a risolvere da par suo la delicata questione di Riva Acciaio, con un decreto, non si sa
bene quanto legittimo [vedi il post Terzo Potere ], che servirà a commissariare dopo l’Ilva, anche gli stabilimenti
del nord.
In questo quadro e
con questa classe dirigente c’è ancora qualcuno disposto a sostenere che i mali
dell’Italia dipendano tutti dalla Merkel e dalla Germania e che si
risolverebbero d’incanto con la nascita dell’Europa politica, l’emissione degli
eurobond, la moneta sovrana e l’aumento del debito pubblico? Certo, ai tedeschi
conviene lasciare l’Italia e il sud europeo nel rigore, nella recessione e
nella decrescita economica, ma l’idea che la rinascita italiana si leghi
all’avvento dell’Europa politica non è forse un’utopia che fa il paio con la
predica del rigore che, via Berlino, Francoforte, Bruxelles e i poteri forti
che ne ispirano la politica, promette il risanamento economico e lo sviluppo?
Si dice giustamente
che senza che si aprano i cordoni della borsa, senza lo sforamento del 3% del
rapporto PIL - debito pubblico, non c’è possibilità di crescita per il nostro
Paese, avviato ormai, come certifica un rapporto compilato in questi giorni a
Bruxelles, ad una progressiva deindustrializzazione e alla cronica stagnazione
economica. Non si dice invece cosa farebbero i governi italiani con più denaro
a disposizione, non importa come reperito - se per l’avvento dell’Europa
politica e tutto il resto, o semplicemente in virtù del consenso tedesco a
sforare il famoso 3% -. Non si dice, perché s’intuisce bene dove i soldi così
disponibili andrebbero a finire. Manca infatti un qualsiasi piano produttivo di
rilancio dell’economia da parte di questo vergognoso ceto politico e
imprenditoriale e, se ci fosse, non sarebbe credibile, modellato sugli esempi
del passato, con una burocrazia e un’amministrazione ferma nel tempo, un
sistema giustizia per il quale l’Europa ha aperto un procedimento di infrazione
che potrebbe terminare con pesanti sanzioni economiche, un Paese le cui
infrastrutture non si rinnovano da quarant’anni e in cui le organizzazioni
malavitose la fanno da padrone.
I tedeschi sanno
benissimo tutto questo e se ne fanno un alibi per pretendere il rigore dall’Italia,
forse più che dagli altri paesi europei [la Francia ha già superato il 4% del
rapporto PIL - debito pubblico, la Spagna il 6%]. D’altronde, storicamente, La
Germania ha sempre avuto un debole per l’Italia ed è ben contenta di poterla
avere finalmente in una sorta di amministrazione fiduciaria. Intanto il clima
nel nostro Paese è sempre più quello del “prendi e scappa”, con i politici intenti
ad arraffare quanto più è possibile, mantenendo scorte di difesa personale che
per numero sono ormai dei veri e propri piccoli eserciti; con il 10% di
cittadini che detiene gran parte della ricchezza privata; con i capitali che
fuggono all’estero mentre sul territorio nazionale è aperto il mercato per la
svendita a tutti gli stranieri di buona volontà di ciò che ancora resta del Belpaese.
Questa analisi
sembra improntata al pessimismo, e invece è appena una traccia superficiale
della crisi profonda e irreversibile che attanaglia la penisola. Cosa resta da
fare alla maggioranza degli italiani? Intanto cacciare per via democratica, con
l’arma del voto, questa nefasta e corrotta classe politica, assieme alla corte
dei falsi manager e banchieri di carta con cui per anni ha diviso la torta, poi
sperare… Sperare che si affermi una nuova classe politica e imprenditoriale.
Per il momento,
tuttavia, ci si può solo consolare con il privilegio di avere nella città
eterna, ben due papi che, per la prima volta nella Storia, discutono con
illustri [si fa per dire…] privati, a mezzo stampa, di ateismo, fede e
massimi sistemi.
sergio
magaldi