In base a quali criteri si
può decidere se un servizio di interesse pubblico debba essere gestito dai
privati o dagli enti pubblici? Se il criterio fosse soltanto politico si
arriverebbe addirittura a teorizzare, come fanno alcuni, che le perdite di
gestione sono più che compatibili con la natura del servizio reso e che lo
Stato deve farsene garante. Se il criterio fosse soltanto economico, si
dovrebbe concludere che la maggior parte delle aziende pubbliche italiane, in
deficit di milioni di euro, dovrebbero essere privatizzate.
Resta la domanda di quale sia l’interesse del
privato nel gestire attività che non solo non danno profitto, ma che risultano
in grave perdita. La risposta che viene da una certa parte politica è molto
chiara: per rendere remunerativi gli investimenti, il privato razionalizzerà il
servizio, tagliando i rami secchi e licenziando il personale, con grave danno
non solo per l’occupazione ma anche per le utenze. Tanto per fare qualche
esempio si pensi a cosa avverrebbe se la distribuzione dell’acqua o la gestione
dei trasporti fosse affidata ai privati: le periferie comunali sarebbero
tagliate fuori dai rispettivi servizi con il crescente disagio degli strati
sociali più emarginati. Senza contare il pessimo esempio che viene da Telecom e
Alitalia e dalla tendenza dell’imprenditoria italiana a “spolpare” le aziende
d’interesse pubblico, dopo averle acquistate, salvo a rivenderne il guscio
vuoto allo Stato e agli enti pubblici, i quali dal canto loro saranno costretti
a ricomprare aziende più decotte di quando le avevano vendute. [Vedi il post: Il Belpaese dismesso]. Ve le immaginate le
città, i cui mezzi trasporto pubblico cessino di funzionare o dove l’acqua
smetta di essere erogata?
Il ragionamento non fa una piega, ma potrebbe trovare
la sua pietra d’inciampo nella realtà, sottoforma di impossibilità a reperire
nuove risorse per continuare a gestire in perdita, da parte delle aziende
municipalizzate, servizi di preminente interesse pubblico. È un po’ quello che
sta avvenendo in questi giorni in Italia, con il caso del trasporto pubblico
genovese in prima fila. Fassino, il sindaco di Torino, dichiara che non bisogna
temere che i privati abbiano interesse a danneggiare i cittadini e che
basterebbe accompagnare le privatizzazioni con clausole a salvaguardia dei
servizi e dell’occupazione. Dopo di che resterebbe da chiedersi perché i
privati dovrebbero accettare simili condizioni. Per investire sulla perdita?
Le considerazioni di cui sopra inducono ad
ulteriori analisi. Non è difficile distinguere tra enti pubblici che erogano
servizi di rilevante interesse pubblico ed enti che, pur svolgendo un servizio
pubblico, non risultano di vitale importanza per i cittadini, in grado di
usufruire dei medesimi servizi grazie all’offerta privata e magari con maggiore
risparmio. È chiaro che se i bilanci di tali aziende sono in attivo o almeno in
parità, non vanno toccati, ma se così non è [e purtroppo così non è per la
maggior parte] e hanno bisogno di continuo di essere foraggiati con denaro
pubblico, non si vede quali ragioni ostino alla loro privatizzazione. A meno
che tali aziende decotte, non rappresentino la chiave di volta del regime.
sergio magaldi
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