Riprendendo e
chiosando il post del 9 Agosto 2014, Matteo Renzi e l’equilibrio della bilancia, quelli di Democrazia Radical Popolare
osservavano tra l’altro:
Quando,
alla fine del suo brillante articolo, Sergio Magaldi scrive:
“Insomma, sarà soltanto dopo la definitiva
approvazione delle riforme politiche e la probabile vittoria elettorale del PD
che si potrà misurare compiutamente il talento di governo di Matteo Renzi e non
solo quello di stratega della politica, sin qui mostrato. Se anche allora,
l’Italia non trovasse la strada delle tante riforme economiche [che sono
tutte quelle indicate sopra, nei due piatti della bilancia e altre ancora],
allora gli avversari di Renzi avrebbero avuto ragione. Prima no.”,
davvero
egli si illude che la traiettoria di Renzi e la sua futura credibilità (con
consenso annesso) dipendano dall’attuazione o meno delle tante riforme
economiche sin qui indicate e tracciate nei due
piatti della bilancia e in altre ancora ad esse attigue e con esse
coerenti?
Non
lo sfiora il dubbio che, invece, anche qualora fosse approvato un mega-pacchetto
integrale di quel tipo di riforme economiche (accontentando le attuali
richieste sia di centrodestra che di centrosinistra, tutte insieme per non
scontentare nessuno) sinora indicate, il sistema economico italiano
continuerebbe imperterrito la sua rovinosa caduta libera?
Non
gli viene in mente che, qualora Renzi non cambi drasticamente paradigma
politico-economico (altro che maggiore flessibilità rispetto alle regole
capestro dell’attuale Eurozona matrigna, come un condannato a morte che chieda
di poter morire in modo più dolce e rilassato, con qualche dilazione temporale
in più e il fumo di qualche ultima sigaretta…) vigente, per l’Italia non potrà
esservi che un presente-futuro di declino economico recessivo e depressivo?
Perciò, tutte queste discussioni sugli 80
euro, sulle riforme costituzionali, sull’articolo 18, sul falso in
bilancio, sull’uso del cash, sul
Senato elettivo o non elettivo, sulle maggioranze certe, sulla governabilità,
sulla possibilità di concentrarsi nell’imminente futuro su alcune iniziative
economiche (sbagliate o all’acqua di rose, senza alcuna possibilità logica e
concreta di incidere sul rilancio del sistema-Paese),ci lasciano del tutto
indifferenti e annoiati.In una temperie come questa, ben altre dovrebbero
essere le urgenze del dibattito politico-mediatico: implementazione della
democraticità sostanziale delle Istituzioni UE, ripristino del primato della
politica sulla tecnocrazia e sui centri di potere economico-finanziario sia
semi-pubblico che privato; sospensione unilaterale/annullamento integrale del
Fiscal Compact, del Pareggio di Bilancio costituzionale e del Patto di
Stabilità che impediscono strutturalmente qualsiasi ripresa socio-economica;
rovesciamento dell’attuale paradigma neoliberista che guida i processi
decisionali euro-atlantici e globali, in favore di una ripresa dei salubri
landmarks keynesiani e rooseveltiani, e così via.
A
dar retta invece al dibattito attuale mainstream
- di cui anche Sergio Magaldi si dimostra partecipe, sebbene con maggiore
finezza e originalità osservativa di altri - ci viene in mente la situazione di
chi, mentre la propria Casa abbia una voragine nel soffitto, da cui arriva a catinelle
l’acqua piovana scatenata da un furibondo temporale, lasciando inopinatamente
di provvedere in qualche modo a tale problema, si preoccupi piuttosto di
riparare il lavandino del bidet, il quale sgocciola lievemente…
LE
CITTADINE E I CITTADINI DI DEMOCRAZIA RADICALPOPOLARE (www.democraziaradicalpopolare.it)
[ Articolo del 4-11 agosto 2014 ]
In me non c’è
l’illusione ma solo la speranza che Renzi, una volta approvate le riforme
costituzionali e la legge elettorale, sappia mostrare, dopo il suo talento
politico, anche quello di capo di
governo, se davvero ne ha. E questo avverrà se l’ex sindaco di Firenze, vinte
le elezioni per il proprio partito, sarà capace di portare a casa le tante riforme
economiche contro l’immobilismo, la corruzione e lo spreco con cui le lobby
politiche, burocratiche e finanziarie tengono in pugno questo infelice Paese.
Ciò non significa che al termine di questo processo l’Italia esca dalla
recessione né che il suo PIL parli finalmente di crescita produttiva, ma questa
è l’unica arma di cui può disporre un presidente del consiglio di uno stato a
sovranità limitata nel contesto di una Europa dominata dalla Germania e dalla
Finanza.
Credono davvero
quelli di DRP che Renzi sia in grado da solo di lanciare una sfida contro
Eurogermania che non comporti l’isolamento e la definitiva rovina del Paese?
Penso anch’io che un futuro per l’Europa ci sia solo con la resistenza alla politica tedesca di
rigore e di austerità, con la nascita di un organismo politico in cui il parlamento
non sia puramente ornamentale, com’è oggi, né il governo un’oligarchia in mano
alla Finanza Internazionale, né la Banca Centrale un comitato d’affari. Resta
da chiedersi come questo sia possibile, in una realtà dove prevale il Divide et Impera teutonico, come anche
dimostrano i fatti di questi giorni.
Eppure Renzi
ci ha provato e ha lanciato la sfida. Ha più o meno ottenuto che ai paesi
“virtuosi” sia consentito lo sforamento del 3% del rapporto debito-PIL e, per
far fronte allo strapotere tedesco e all’egemonia della finanza internazionale,
ha cercato di cementare un’alleanza con la Francia alla quale avrebbero dovuto
aderire anche Spagna e Portogallo… Tant’è che il 23 Agosto scorso, il ministro
dell’Economia di Hollande, Arnaud Montebourg [che rappresenta la sinistra socialista francese con circa il 17% dei consensi], sostenuto da altri ministri, aveva
dichiarato a Le Monde che l’Europa, per liberarsi dall’ “ossessione
tedesca per l’austerità”, deve seguire le impostazioni e il fare politico di
Matteo Renzi. La conseguenza di quelle dichiarazioni è stata la deposizione
immediata del governo da parte di Hollande e la sua sostituzione con un esecutivo
di provata fede collaborazionista con
Eurogermania, anche se guidato dallo stesso Manuel Valls che era a capo del
precedente gabinetto. Quasi nelle stesse ore, la Merkel ha concluso con Rajoy
un’intesa politica per un asse Madrid-Berlino che stronca sul nascere ogni e
qualsiasi possibile velleità di resistenza
anti-tedesca.
In
proposito, Antonio Polito osserva giustamente, nell’editoriale del Corriere della Sera del 26 Agosto, che “Parigi, chiunque sia al
governo, non guiderà mai un fronte di opposizione alla Germania. La Francia non
ha alcun interesse a diventare il capofila dei deboli. Sia perché la sua
missione politica è quella di stare nel cuore dell’Europa, sia perché i mercati
la premiano finché resta attaccata a Berlino, con tassi di interesse bassi
quando non addirittura negativi, nonostante deficit alti e crescita zero.
Perché mai Hollande dovrebbe dunque trasformare la sua retorica anti-austerità
in un vero e proprio scontro con la Merkel, come il ministro ribelle lo
invitava a fare?”
Da
questa lucida analisi, Polito trae la conclusione che sia bene “non farsi troppe illusioni
su presunti assi mediterranei tra Parigi e Roma per piegare Berlino” e
che “ogni Paese
deve contare sulla sua credibilità prima di ogni altra cosa”. Considerazioni
realistiche finché si vuole, queste di Polito, ma fatte all’insegna dell’accettazione
prona del divide et impera germanico,
perché se è vero che l’Italia deve riacquistare la propria credibilità politica
in Europa, attraverso autentiche riforme strutturali, è pur vero che qualsiasi
riforma da sola non sarà sufficiente a rilanciare la ripresa economica né
in Italia né altrove, se non verrà disegnata finalmente la carta dell’Europa
federata dei popoli e dismessa quella di Eurogermania e della élite finanziaria che oggi governa il
vecchio continente.
In questo senso, l’impegno di Renzi non è
stato e non è inutile. L’accantonamento a tempo di record del governo francese,
in favore di un esecutivo collaborazionista,
mostra che una linea di resistenza è ormai
tracciata. Resta da vedere per quanto tempo ancora francesi, italiani e
spagnoli sopporteranno senza reagire l’impoverimento crescente e la deportazione progressiva e forzata delle
ricchezze nazionali a vantaggio del capitale tedesco e internazionale.
sergio magaldi