Charles Belfoure, Il nascondiglio segreto di Parigi, trad.it. Nello Giuliano, New Compton editori, Roma 2014, pp.371 |
Charles Belfoure,
architetto formatosi al Pratt Institute e alla Columbia University, si cimenta
per la prima volta con la narrativa dando vita alla figura di Lucien Bernard,
un giovane architetto nella Parigi occupata dai tedeschi durante la seconda
guerra mondiale. Ne nasce una storia non priva di ritmo e di suspense e dove l’atrocità della guerra
e della barbarie nazista mette alla luce la radicalità della natura umana, la
sua impossibilità a rifugiarsi nel limbo
dell’indifferenza nell’illusione di sottrarsi a ogni responsabilità.
Tipico esempio in
questo senso è Celeste, la moglie di Lucien: condanna nel marito il
collaborazionismo che lo induce a progettare fabbriche per i tedeschi, ma
ancora di più condannerà in lui la realizzazione di nascondigli segreti ad uso
degli ebrei cui i nazisti danno spietatamente la caccia. Tant’è che questo sarà
un ottimo motivo per lasciarlo. Per quanto si possa parlare di “goccia che fa
traboccare il vaso”, resta il fatto che non l’aveva fatto prima, né sapendosi
tradita dal marito, né più tardi apprendendo del suo collaborazionismo col
nemico.
“Suo padre, geologo di
formazione universitaria piuttosto famoso, credeva nella legge del più forte
alla pari di qualsiasi paesanotto ignorante. E quando si trattava delle
disgrazie altrui, la filosofia era ‘porca puttana, meglio a lui che a me’. Il
fu professor Jean-Baptiste Bernard non pareva rendersi conto che gli esseri umani, compresi tra questi sua
moglie e i figli, avevano sentimenti” [p.12].
Non che Lucien
avesse per i tedeschi una particolare predilezione. Li aveva combattuti in
guerra sino alla resa e condannava in loro la crudeltà di cui era stato
testimone e di cui solo per caso non era rimasto vittima. Inoltre, Lucien amava
la sua città e come ogni buon francese detestava l’occupazione nazista:
“Lucien adorava ogni edificio
di Parigi, la sua città natale, la città più bella del mondo. In gioventù
l’aveva percorsa in lungo e in largo, esplorandone i monumenti, i viali e le
strade, fino alle viuzze più sudice e i vicoli dei quartieri più poveri.
Riusciva a leggere la storia della città nelle mura di quei palazzi. Se quel
bastardo di un crucco avesse sbagliato mira, lui non avrebbe mai più rivisto
quegli splendidi edifici, non avrebbe più calpestato quei ciottoli, o inalato
il delizioso aroma del pane che cuoceva nelle boulangeries.”
[p.13]
Sarà l’incontro con
un ricco industriale cattolico, a cambiare il destino di Lucien e soprattutto
la sua coscienza. Comincerà a progettare rifugi per gli ebrei. Lo farà per i
soldi e per mostrare a se stesso quanto sia bravo a ricavare nascondigli dai
posti più impensabili. Presto, però, l’esigenza di salvare la vita degli altri
anche a costo della propria, diventerà per lui un imperativo categorico.
Il nascondiglio segreto di Parigi [titolo originale: The Paris architect, “L’architetto di
Parigi”] si legge volentieri, questo non significa che il romanzo [un’opera
prima] sia esente da difetti: innanzi tutto l’occhio che osserva Parigi
occupata sembra un po’ troppo americano e la narrazione ricorre a diversi
stereotipi: il cattolico che salva gli ebrei, l’amante di Lucien che gestisce una
casa di moda e naturalmente va a letto con i tedeschi, il nazista ottuso e più
spietato degli altri e quello geniale che sotto l’uniforme non ha perso l’umana
pietà e… così via. La stessa psicologia dei personaggi non va molto in
profondità, come in un edificio di cui è innanzi tutto importante osservare le
linee architettoniche, prima ancora di osservarne gli interni. Nel complesso,
tuttavia, si tratta di un’opera prima riuscita e che merita di essere letta.
sergio magaldi
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