Qabbalah significa Tradizione,
rappresentando per così dire il crogiolo di ogni studio e commento della Torah e più in generale di ogni forma
del pensiero ebraico. [2]
Non escludendo né la dottrina rabbinica né il Talmud, soprattutto lì dove si tratta di speculazioni cosmogoniche
sull’opera della Creazione o Ma’asè
Bereshit e di meditazioni a sfondo mistico sull’opera del Carro o Ma’asè Merkavah delle visioni di
Ezechiele. [3]
La Torah
scritta si compone dei libri del Pentateuco
(Genesi o Bereshit, Esodo, Levitico,
Numeri e Deuteronomio). Insieme, le due lettere formano la parola Lev
cuore, a indicare che la
vera conoscenza della Torah è
una conoscenza del cuore e non dell’intelletto, il che, naturalmente, non
significa che la Torah non debba
essere studiata, come invece raccomanda espressamente la tradizione
ebraico-cabbalistica. Lev cuore ha valore numerico 32 come i
trentadue sentieri dell’Albero della vita [in proposito, si veda il post L’albero
della vita, cliccando sopra per leggere].
Il Talmud
(‘insegnamento’) è una raccolta enciclopedica della tradizione ebraica,
compilata durante un periodo di circa ottocento anni, dal 300 a . C. al 55 d.C., in
Palestina e in Babilonia. Si compone di norme morali (Halakhah) e di materiale narrativo di genere vario (Haggadah).
In tale prospettiva, non ha senso contrapporre
la Qabbalah alla filosofia giudaica,
come più di un autore ha fatto. Perché, semmai, la contrapposizione è tra
filosofia ebraica e filosofia greca. La Qabbalah, non è la Mistica contrapposta alla Filosofia,
è bensì la complessità del pensiero ebraico che si alimenta della tradizione,
così come, per certi versi, la Massoneria è la complessità del pensiero
simbolico che, analogamente, si alimenta della tradizione.
D’altra parte, sarebbe altrettanto errato
assimilare la Qabbalah al modello delle filosofie occidentali. Se per filosofia
s’intente un Sistema teorico e
concettualmente concluso, allora la Qabbalah non è una filosofia. Così, per
esempio, l’universo o albero delle dieci sephiroth non è il mondo platonico delle idee e il suo
manifestarsi da En Soph ‘Infinito’
non ha le caratteristiche proprie dell’emanatismo neoplatonico. Le sephiroth si collocano sull’Albero della
vita [4]
e sono luci, numeri primordiali o forme pure. Sono dieci quante le dita delle nostre mani e tramite loro, secondo un
ben definito progetto architettonico, si manifesta tutta la realtà.
Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’,
facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento
tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico Safor che
significa contare e che delle
sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure
forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad
ogni sephirah è attribuito un nome.
Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether
corona, 6 Tiphereth bellezza e armonia, 9 Yesod fondamento o
generazione, 10 Malchuth regno o
terra. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah sapienza, 4 ‘Hesed grazia 7 Netzach
vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah intelligenza, 5
Gheburah forza e rigore, 8 Hod
splendore.
Nella Qabbalah, inoltre, decisivo è il ruolo
della tradizione orale, trasmessa bocca-orecchio, e di particolare rilevanza è lo studio, non limitato alla sola Torah, come erroneamente si crede.
Altrettanto importanti sono le complesse tecniche di apprendimento e di
meditazione e quella parte costituita di operatività che può condurre, ma non
necessariamente conduce, a Teurgia e Magia.
La Teurgia[5] ebraica si distingue dalla Magia, pure praticata in ambiente
giudaico, perché il suo quadro di riferimento è la religione biblica e il
rispetto di un rituale predeterminato, inoltre la Teurgia, a differenza della
Magia, non opera a vantaggio personale ma per il bene del cosmo e dell’umanità.
Mopsik individua cinque forme di azione teurgica negli scritti dei primi
cabbalisti: 1) (azione) instauratrice
(esempio: Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46 ecc…) 2) restauratrice (Genesi 8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici)
4) amplificatrice(“Benedetto il suo
nome…”, la formula sembra in grado aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva
(attrazione della Shekinah, esempio: Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..). Un certo intento teurgico è anche
presente nella tradizione rabbinica, infatti, oltre a coloro che ritengono
impossibile per l’uomo aumentare la potenza divina, ci sono anche coloro che
ammettono che un comportamento umano conforme alla Legge, lo studio della Torah ecc.. siano in grado di accrescere
la presenza di Dio nel mondo.
Infine, se si guarda alla Qabbalah storica,
quella cioè che si diffonde in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra
le fiorenti comunità ebraiche, ci si accorge che la Qabbalah ha anche questo di
peculiare rispetto alla Filosofia occidentale: non si afferma nell’opinione
pubblica per l’azione di alcuni ‘maitre à
penser’, ma si struttura piuttosto in comunità di studio e centri di
ricerca in cui entrano solo i più degni.
Se non ci sono i maitre a penser, le cui idee si diffondono rapidamente, creando
‘correnti di pensiero’ o suscitando ‘mode’ più o meno durature, nelle scuole di
Qabbalah insegnano tuttavia maestri dotati di grande carisma. Uno di questi fu
Isacco il Cieco, vissuto tra la seconda metà del 1100 e la prima metà del 1200,
e primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in
Provenza e in Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle
comunità ebraiche. Fu detto il Chassid
(il pietoso) o il Cieco (paradossalmente,
perché ‘possedeva luce’ in eccesso), il Parush
o il sagghì-nahòr (quello che oggi
diremmo un illuminato) e fu uno tra i
maggiori peruschim. I perushim
provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e
astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e
preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi.
Huqe
ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in
questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al
maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di
apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il
dibattito tra i discepoli.
La lettera di Isacco il Cieco (1160-1235) ai
rabbini di Girona ( per il testo integrale cfr. G.G.Scholem, Le Origini della Kabbalà, cit.,
pp.488-489) attesta del carattere esoterico della scuole da lui ispirate. Egli
si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, di luce e di tenebra,
delle Sephiroth dell’Albero della
vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di
Deveqùth (communio), della catena
degli esseri, di simpatia universale. Assai prima della Qabbalah luriana,
sembra abbia parlato di trasmigrazione
delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe
33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre
volte in un uomo:ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa
brilli nella luce della vita’. Isacco anticipò inoltre il tema dei cicli
cosmici o shemittoth del Sepher Temunah (con riferimento anche
alla trasmigrazione animale) e il tema della luce del Sepher Iyyùn (luce e
tenebre scaturiscono dall’Oscurità primordiale, cfr. Luz, Trimestrale di studi
tradizionali, Har Tzion, n.1, Primavera 1999, pp.3-12). Tra le sue opere: un
commento del Sepher Yetzirah, circa
70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e
qualcuno gli attribuì anche il Sepher
Bahir. Sotto la spinta di Isacco il cieco, nel 1230 sorge il gruppo
cabbalistico di Girona: la Chaburah
qedoshah o Associazione Sacra, vero e proprio punto di riferimento per la
diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.
Origine e finalità della
Massoneria
Si sorride spesso di quegli autori che fanno
risalire ad Adamo l’origine stessa della Massoneria, quasi che il primo
uomo fosse ricevuto massone dal
Padreterno e all’Oriente del Paradiso…[6].
Pure, l’assunto è contenuto nelle antiche costituzioni: è già presente nel Poema Regius della fine del Trecento ed
è ampiamente riportato, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di
Cooke, un codice di comportamento ad uso
delle Logge della cosiddetta Massoneria operativa
[7].
Da allora, il racconto biblico della discendenza di Adamo – con Jubal fondatore
della Geometria e della Massoneria muratoria, con Tubalcain fondatore di tutte
le arti del metallo, con Jabal artefice di due colonne incise coi principi delle
7 Arti liberali (Geometria, Aritmetica, Musica, Astronomia, Grammatica,
Retorica e Dialettica) e ritrovate intatte dopo il Diluvio universale da Ermete
Trismegisto e da Pitagora – entrò stabilmente come preambolo in tutti gli
Statuti dell’Ordine Muratorio sino alle Costituzioni di Anderson della
Massoneria ‘speculativa’, fondata a
Londra il 24 Giugno 1717.
La convinzione dell’origine adamitica della
massoneria, comune sia ai massoni ‘operativi’ che ‘speculativi’, se per un
verso è comprensibile per chi ha a cuore, per così dire, la nobilitazione
dell’Ordine, per altro verso mi induce a riflettere che l’unanime desiderio
degli antichi massoni di riconnettere le proprie radici alla tradizione
ebraico-cabbalistica si sostanzia non solo di narrazioni mitiche, pure
essenziali, ma – come vedremo – di rituali, di simboli, di parole cosiddette
sacre e di passo, perdute e ritrovate.
A tale proposito,
mi sembra interessante osservare che, anche lì dove sono prevalenti altre
tradizioni, non viene mai meno l’idea che la fonte originaria della Libera
Muratoria sia da ricercarsi nella tradizione ebraico-cabbalistica
Il
principe di Sansevero e la Massoneria
Nella Lettera
Segretissima che Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, invia al barone
Tschudy [8]
si apprende che il dibattito nelle Logge napoletane della metà del ‘700 verte soprattutto sulla tradizione templare,
rosacrociana ed ermetica, ma che fondamento di ogni ulteriore scienza e
costruzione massonica sono, pur sempre, l’ebraismo e la Qabbalah. Nella Lettera, volendo offrire la chiave
universale di ogni successiva speculazione, il Sansevero traccia nell’ordine un
punto, un cubo e le seguenti lettere dell’alfabeto ebraico: una Alef
nera, una Alef bianca, una Bet nera, una Resh nera,
una Alef nera, una Bet bianca, una Resh bianca e una Alef bianca. La Alef e la parola barà, (tracciata, peraltro, dal
Sansevero ignorando la scrittura ebraica che procede da destra a sinistra), che
significa creò, stanno qui a
rappresentare, col punto e col cubo, col bianco e col nero: il momento iniziale
della creazione o Bereshit (Genesi
1:1), il primo apparire della luce, lo I e h ì
O r, il
‘Che la luce sia’ di Genesi 1:3, e ancora: l’unità e la molteplicità della
manifestazione. Insomma, per dirla con Raimondo de Sangro, l’Alef bianco del principio presuppone l’Alef nero che
dimora in En Soph ‘Infinito’.
En Soph ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro.
In realtà, l’Apeìron del filosofo
ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos
originario della materia, la mescolanza primigenia di tutte le cose. L’En Soph dei cabbalisti ebrei, invece,
non è privativo di qualità ma di luogo e indica l’impossibilità di cogliere
l’origine e il fine e ha solo la funzione di far desistere il pensiero dalla
pretesa prometeica di voler essere ovunque e tutto risolvere in se stesso. E’
scritto in Zohar (1:21a): ‘En Soph, infinito: in lui non c’è alcuna apertura, ogni
interrogativo è vano, come ogni idea per le possibilità del pensiero’.
Quando, nelle prime scuole medievali di
Qabbalah si nomina En Soph è più che
altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito. Si osservi che En Soph si scrive in ebraico con le lettere Alef-Yud-Nun-Samek-Waw-Pe
e che il suo valore ghematrico è 207
come Raz segreto e Or luce.
L’analogia di Alef - En Soph è già contenuta
nel Sefer ha Bahir o Libro fulgido, cioè nel primo testo di
Qabbalah medievale. Testo fondamentale della Qabbalah, il Sefer ha Bahir appare in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente
dalla Germania o direttamente dall’Oriente. Le sue fonti riconducono al Sepher
Yetzirah, alle opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo, al
misticismo della Merkavà e in particolare al libro, andato perduto, ma
ripetutamente citato soprattutto da autori caraiti, il Razà Rabbà o Il Grande
Mistero, composto tra il V secolo e il secolo VIII.
Il
contenuto magico e angelologico del Bahir
è attestato da tutti e sarebbe parte di quella Gnosi ebraica che – a giudizio
dello Scholem (cfr., Le Grandi Correnti
della Mistica Ebraica, trad., ital., ‘Il Saggiatore’, Mondadori, Milano,
1965 e editr.,‘il melangolo’ Genova, 1990) – deriverebbe dall’antico
Gnosticismo. Analizzando il libro, tuttavia, si può osservare come il giudizio
dello Scholem possa essere addirittura rovesciato e portare alla conclusione di
una derivazione dello Gnosticismo dalla tradizione ebraica o piuttosto dalle
‘sette ebree’ (Esseni, Samaritani, Elkesaiti ecc…) che si distaccarono
dall’ebraismo con violente polemiche.
“… la alef – dice il Bahir – determina l’esistenza di tutte le lettere, a somiglianza
del cervello. Come per la alef, alla
cui menzione apri la bocca, così avviene per il pensiero, quando pensi a ciò
che non ha fine né limite. Dalla alef
escono tutte le lettere. Non vedi forse che essa è posta al loro inizio?…”[9]
L’analogia di Alef e di En Soph è tanto evidente che il
Genesi o Bereshit inizia con la
seconda lettera dell’alfabeto ebraico: la
Bet una lettera aperta
solo da un lato a significare che unicamente gli eventi accaduti dopo il Bereshit o Principio sono accessibili all’indagine umana.
La stessa duplice
colorazione, prima nera, poi bianca, che il principe di Sansevero fa delle
lettere della parola barà ‘creò’, sta
a indicare un’essenza originaria, immutabile e oscura, imperscrutabile, e una
manifestazione per noi conoscibile. Analogamente, in Zohar[10]
è detto che una fiamma troppo oscura per essere vista, zampilla dall’Infinito:
si tratta di En Soph Or, luce infinita
che non si lascia vedere. Ma, su questa infinita pagina oscura e velata come
notte profonda, un minuscolo punto di
luce si inscrive improvviso [11].
Del resto, la stessa esperienza quotidiana
ci mostra che ogni nascita proviene dal buio e così è anche per l’iniziato
della Massoneria che entra nel buio del tempio per ricevere la luce, luce che
gli è concessa dalla Loggia che pure è immersa nell’oscurità o meglio che
‘brilla’ di una luce troppo oscura per essere vista…
Quel punto di luce,
adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio disse” del Genesi ed è anche il primo istante della creazione. Facendosi altro da sé, l’Infinito si determina ad
essere il finito illimitato. Ma il puntino da cui lo yud è tracciato è per noi
invisibile. Dice lo Zohar: ‘Così,
l’Infinito penetra la sua stessa aria e scopre un punto, lo yud’[12]
e ancora: “La luce che il Signore – benedetto il Suo Nome – aveva creato (…) fu
subito nascosta, perché gli impuri non potessero gioirne (…) Ella fu riservata
per i giusti (…) Ma sino al giorno stabilito (il giorno del ‘mondo a venire’) rimarrà nascosta,
custodita in segreto.”[13]
Da che riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? Come vedere per intero la
lettera yud? La risposta è nel
successivo versetto del Genesi: “Dio
vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.”[14]
La separazione consentì all’uomo, per l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo istante della
creazione, di vedere finalmente la luce attraverso
le cose. Ciò che significa vedere la luce
nel contrasto con le tenebre.[15]
E questo è esattamente ciò che il massone vede riprodotto
sul pavimento a mosaico della propria Officina:
“Tenebre e Luce – scrive Jules Boucher – sono intrecciate sul
Pavimento a Mosaico; esse sono tessute insieme, se consideriamo le file delle
piastrelle; ma i tratti virtuali che le separano formano un cammino rettilineo,
avente il bianco e il nero ora a destra ora a sinistra. Queste linee
rappresentano il cammino dell’iniziato, il quale senza rigettare la morale
comune sa elevarsi al di sopra di essa (…) Le linee divisorie non appaiono agli
occhi dei profani: essi non vedono che le lastre bianche e nere e (…) passano
alternativamente dal bianco al nero e dal nero al bianco (…) L’iniziato, al
contrario, segue la ‘via esoterica’, la ‘via stretta’, ‘più sottile del filo
del rasoio’ e passa tra il bianco e il nero, che non ostacolano il suo
cammino…” [16]
Naturalmente,
l’oscurità del quaternario, simboleggiata nella Loggia massonica dalle
piastrelle nere del pavimento, non ha nulla a che vedere con l’Oscurità
originaria,[17]
perché, come sostengono i testi della Qabbalah,
l’oscurità ‘di quaggiù’ è solo apparente e l’oscurità ‘di lassù’ non è altro
che l’infinita luce che si svela in un punto e subito si nasconde per
manifestarsi nel contrasto. La separazione della luce dalle tenebre è dunque
solo apparente come è detto in Zohar:
“Elohim separò la luce dalle tenebre (Genesi
1:4). Ora non bisogna credere che si tratti di una vera separazione. Infatti il
giorno scaturì dal fianco destro della luce, la notte da quello sinistro.
Entrambi nacquero insieme e poi furono separati…” [18]
A fronte di ciò,
tuttavia, non va dimenticato che la polarità, sebbene apparente, non può essere
eliminata. Non la elimina, né chi segue solo la via delle ‘piastrelle bianche’
né chi segue solo la via delle ‘piastrelle nere’, perché, in entrambi i casi,
insorgerebbero presto forze antagoniste e controiniziatiche,
quando non bastassero da sole, per chi cammina solo sulle piastrelle nere, le
comuni leggi civili e penali. Neppure elimina la dualità lo Zadik, il giusto della tradizione
ebraico-cabbalistica. Perché è vero, come dice lo Zohar, che la luce originaria
fu riservata per lui, ma gli fu riservata, com’è scritto, per il ‘mondo a venire’…
Il Principe di Sansevero s’incaricò anche di
tradurre, ad uso delle Logge napoletane, Il
Discorso cronologico dell’Ordine dei Liberi Muratori, documento diffuso
all’epoca delle Costituzioni di Anderson, ma che, in realtà, risale al XV
Secolo e alla Massoneria ‘operativa’. Ebbene, nel Catechismo di Compagno si legge, tra l’altro, questo dialogo:
“ Domanda:
Vi sono dei Genji nel Tempio?
Risposta:
Tre, cioè Salomone re d’Israele, Iram re di Tiro, Iram Abif Grand’Architetto.
Domanda: Chi sono gli emblemi della
Sapienza, Forza e Beltà ?
Risposta:
Salomone è l’Emblema della Sapienza, Iram re di Tiro delle Forza, attese le
Somministranze fatte a Salomone per la Costruzione del Tempio ed Iram Abif
della Bellezza.” [19]
Le tre luci della Loggia massonica si
identificano, dunque, con le figure bibliche di Salomone e dei due Hiram, e il
Tempio di Salomone, i cui punti cardinali
coincidono con quelli della Loggia massonica, si può a buon diritto considerare
come l’emblema stesso della Massoneria, per ciò che la sua costruzione è
destinata a non avere mai termine e ben rappresenta lo slancio ideale e gli
ostacoli materiali che i massoni incontrano e ai quali cercano di far fronte
con l’equilibrio interiore e il mutuo soccorso.
La costruzione del Tempio
Che c’è di unico e
peculiare nella leggenda massonica di Hiram che si ispira alla fonte biblica e
alla tradizione ebraico-cabbalistica? La
costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i
massoni e per la quale ognuno sa di dover portare la propria pietra sgrossata.
Un ideale cammino di perfezionamento, dunque,
e una pratica di vita necessaria all’acquisizione di innumerevoli virtù, come
il silenzio, il segreto, l’obbedienza, la fedeltà, il coraggio, la carità, la
santità, la giustizia. Virtù tutte senza le quali il Tempio non può essere costruito. Benché il massone debba sempre
conservare la necessaria umiltà, che lo fa consapevole che il Tempio non può essere terminato, senza
la quale umiltà egli cadrebbe nel dogma delle Chiese o peggio ancora finirebbe
come quel tale – citato da Kafka – che si stupiva della facilità con cui
seguiva la via dell’eternità solo perché la stava percorrendo in discesa. [20]
Com’è noto, la
leggenda di Hiram si collega strettamente alla costruzione del Tempio di
Salomone. Il Compagno della Loggia azzurra sente parlare di Hiram allorché è
elevato al grado di maestro. Egli apprende dal ‘Venerabile’ Maestro della sua
Loggia che Hiram è il grande architetto prescelto dal re Salomone per la
costruzione del Tempio
Hiram aveva
diviso gli operai in tre categorie: apprendisti, compagni e maestri dando a
ciascuna categoria precise parole di
passo per farsi riconoscere e riscuotere il salario dovuto. Un giorno, tre
compagni invidiosi, ritenendo di meritare il salario di maestro, chiedono
minacciosi a Hiram la parola segreta.
Il grande architetto, naturalmente, si oppone gridando ai tre compagni parole
che dovremmo meditare a lungo e in ogni circostanza: ‘Non così io l’ho ricevuta! Non così si deve chiederla!’. E sul
punto di morire, per le violenze inferte, egli così ammonisce i compagni:
‘Lavora, persevera, impara. Solo così avrai
diritto alla maggior ricompensa!’.
Il massone che è sul punto di ricevere la
maestria è condotto alla scoperta della tomba di Hiram presso un albero di
acacia e attraverso una drammatizzazione, che è il cuore stesso della cerimonia
iniziatica, prende coscienza dell’eterno ciclo della morte e della rinascita.
Dove si trova nella
Bibbia la vicenda del tradimento degli operai e dell’assassinio di Hiram?
Nell’episodio dei tre levìti Core, Dathan e Abiron. In quale contesto
s’inserisce la loro ribellione? E’ il momento del passaggio degli ebrei nel
deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Ed è anche il periodo di un’abitazione, sia
pure mobile e rudimentale, elevata al Signore, prima della costruzione del
Tempio di Salomone, com’è detto nel II
Libro di Samuele, 7, 6-7:
“Io non ho abitato
in una casa dal giorno in cui condussi i figli d’Israele fuori dalla terra
d’Egitto e fino a questo giorno, ma ho camminato in un tabernacolo e in una
tenda. In tutti i luoghi per i quali sono passato con tutti i figli di Israele,
ho forse io detto ad alcuna delle tribù a cui ho ordinato di pascere il mio popolo:
perché non mi avete fabbricato una casa
di cedro?”
E infatti il legno di questa primordiale ‘casa di Dio’ non
è di cedro ma di acacia (dal greco
a-kakìa, cioè puro e senza macchia, il simbolo per eccellenza della
Massoneria, rappresentato dal ramoscello della pianta) come è attestato
nel Libro dell’Esodo. Dio aveva detto
a Mosè, (Esodo, 25,8): “Ed
essi mi costruiranno un Santuario e Io risiederò in mezzo a loro”. Dio
aveva poi indicato nei dettagli i criteri e il materiale per la costruzione. Così,
il Tempio mobile degli ebrei sarà fatto con assi di legno di acacia collocati
in posizione eretta (Es.,26,15), l’Arca sarà di legno d’acacia,
ricoperto d’oro puro sia all’interno che all’esterno (Es.,25,10-11), di acacia
sarà la tavola dei pani (Es., 25,23) come pure l’altare del Tempio (Es., 27,1), quello per l’olocausto (Es.,
38,1) e quello per bruciare l’incenso
e i profumi (Es., 30,1). Di legno d’acacia saranno le quattro
colonne della ‘tenda dell’incontro’ (Es.,
26, 31-32) e così via continuando.
L’episodio della
ribellione di Core, Dathan e Abiron è contenuto nella Torah e si sostanzia delle parole che Mosè rivolge ai ribelli:
“ Non vi basta il
fatto che il Signore, il Dio d’Israele, ha scelto voi fra tutti gli altri
israeliti? Vi concede di avvicinarvi a Lui, per prestare servizio nella sua
Abitazione e per celebrare il culto in nome di tutta la comunità d’Israele. Il
Signore ha permesso a te, Core, e a tutti i fratelli levìti di avvicinarvi a
lui e voi ora pretendete anche il sacerdozio? ”.[21]
Analogamente, i tre operai della leggenda
massonica che, pure, hanno il privilegio di lavorare alla costruzione del
Tempio, pretendono la maestria senza averne diritto e la loro avidità e
superbia li spinge al delitto.
Che significa ‘Hiram’?
Hiram rappresenta lo ‘spirito
dell’uomo’. E, in effetti, il nome è composto dalla radice ebraica ‘Chi’, formata dalle lettere Chet e Yud che significa vita, vitale ecc… e da una seconda radice: Ram, formata da una Resh
e una Mem (lettera che in finale di parola ‘si chiude’ ) e che indica particolari
stati di elevazione. “Vita elevata”, dunque è il significato letterale di
Hiram, e ciò è per noi comprensibile perché sappiamo che ciò che è elevato
appartiene di necessità allo spirito.
Quanto alla leggenda, diversi autori hanno tentato di
ricostruirne la sua prima apparizione nella tradizione massonica. In proposito,
c’è chi ricorda la citazione che del nome di Hiram fa Il Manoscritto di Cooke, circa alla metà del Quattrocento e
nell’ambito della Massoneria ‘operativa’ del XV secolo, senza peraltro alludere
alla sua uccisione ma solo per ricordare che Hiram, ‘il figlio di Tiro era il capo’ degli 80.000 muratori al servizio di
Salomone per la Costruzione del Tempio, iniziato da re David. [22]
E, nella tradizione orale, vi sarebbero testimonianze dell’introduzione, nel
rituale del terzo grado della Gran Loggia di Londra, della figura di un
‘maestro costruttore’ e della sua morte e rinascita iniziatica. [23]
Siamo nel 1725 e bisogna attendere sino al 1733 perché la leggenda di Hiram
compaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e altri cinque anni
perché venga inserita nella ristampa delle Costituzioni inglesi del 1723.
Tuttavia, la leggenda di Hiram, nelle sue diverse versioni, sarebbe di fatto già
presente nella Massoneria ‘operativa’ dell’Europa medievale e in particolare
negli archivi dei vari Compagnonnages francesi. Tutti i testi, nel collegarsi
al racconto biblico della costruzione del Tempio di Salomone, fanno poi
riferimento a vicende che si differenziano poco le une dalle altre, concordi
tutte, comunque, nel sottolineare che la morte di Hiram, frutto dell’invidia,
dell’avidità e della violenza di alcuni operai, ebbe come effetto di ritardare
i lavori di costruzione del Tempio.
Nella Bibbia, Hiram è citato nel I Libro delle Cronache (14:1) e nel II libro di Samuele (5:11) solo per dire che era re di Tiro. Se ne
parla poi soprattutto nel I Libro dei Re,
allorché Salomone informa Hiram re di Tiro di voler costruire un tempio –
secondo gli accordi che suo padre David aveva preso direttamente con Dio – e
perciò gli chiede operai fenici per tagliare gli alberi e legname di cedro
necessario alla costruzione del tempio. Hiram acconsente di buon grado allo
scambio commerciale e concede, oltre ai cedri e agli operai, oro in abbondanza
e pietre preziose in cambio di 6000 tonnellate di grano, 8000 litri di olio
purissimo ogni anno e 20 villaggi della Galilea. D’ora in poi Fenici ed Ebrei
lavoreranno insieme, cominciando con lo squadrare le pietre necessarie alla
fondazione del Tempio.
L’altro Hiram del racconto biblico è sempre di Tiro, ma è
un artigiano, figlio di una vedova,
non un architetto. Egli è sommamente esperto nella lavorazione del bronzo:
vasche, carrelli, gli oggetti bronzei all’interno del tempio e ogni tipo di
arredo e soprattutto le due colonne erette nel portico del Tempio: Jachin e
Boaz [altro chiaro simbolismo
massonico]. Di questi stessi fatti si parla anche nei Libri delle Cronache.
Non sarà inutile
soffermarci su qualcuno dei versetti più significativi del racconto biblico. A
cominciare da quando Salomone si rivolge ad Hiram re di Tiro:
“…Ora ho intenzione di costruire un tempio
consacrato al Signore, mio Dio…” (I
Re, 5:19) e Hiram osserva: “Sia
lodato il Signore che ha dato a David un figlio tanto saggio per governare il
numeroso popolo di Israele” (5:21). Poco dopo è detto dell’alleanza che da
allora intercorse tra Hiram e Salomone: “Come
aveva promesso, il Signore diede grande saggezza a Salomone. Così Salomone mantenne
sempre buoni rapporti con Hiram: i due fecero anche un’alleanza” (5:26)
Le Tre luci massoniche e
l’Albero delle sephiroth
A guardar bene,
l’alleanza di cui si parla nella Bibbia tra i due Hiram e Salomone non è altro
che l’alleanza tra Saggezza, Forza e Bellezza di cui troviamo testimonianza nel Catechismo di Compagno,
prima citato. Nella sua sapienza, infatti, Salomone percepì l’idea di costruire
il Tempio e gli Hiram gli dettero la forza per costruirlo, e la bellezza per
arredarlo, inviando strumenti, oro, pietre preziose ed operai rigorosamente
disciplinati e solidali tra loro. Questa, però, è anche l’alleanza che nella
Qabbalah si esprime tra le sephiroth ‘Hokmah
Sapienza, Gheburah Forza e rigore e Tiphereth,
bellezza e armonia.
In un successivo versetto della Bibbia (I Libro dei Re, 6:1) si precisa che i
lavori di costruzione del Tempio ebbero inizio allorché erano trascorsi 400
anni dall’uscita degli Ebrei dall’Egitto.
Per chi conosca
appena la tradizione cabalistica ‘uscire
dall’Egitto’ e ‘400’ hanno un
preciso significato. Uscire dall’Egitto significa abbandonare la via ‘consueta
e profana’ per intraprendere un cammino iniziatico. Quanto al 400, lo sappiamo
corrispondere al valore numerico dell’ultima lettera dell’alfabeto ebraico: la Taw.
Settima lettera
doppia e ultima delle 22 lettere dell' alfabeto ebraico, la Taw è collocata tra le sephiroth Malchut e Yesod sul trentaduesimo e ultimo
sentiero [24]
dell’Albero della vita, detto anche sentiero di Saturno.
Dio pose questo
sigillo, la lettera Taw, sulla fronte di Caino a testimoniare la caduta e
insieme la possibilità della risalita. Il suo valore numerico, il 400,
simboleggia tutto ciò che di bene e di male c'è nel quaternario. Il simbolo si
spiega con l’essere, questa, l’ultima delle lettere con cui Dio creò il mondo.
Ad Esau che gli
viene incontro con 400 mercenari che rappresentano le forze del male, Giacobbe
dice: Yesh Li Kol “Ho tutto”, frase il cui valore numerico è
ancora 400, ad indicare che Giacobbe, detto Israele,
dispone di tutto ciò di cui ha bisogno per risalire.
Per lasciare
l'Egitto occorrono agli Ebrei 400 anni e soprattutto occorre la Techinnah
che si scrive con la Taw iniziale e che significa amicizia e clemenza. Per
qualcuno, la forma della lettera è l' ideogramma di due braccia che stanno
aprendosi ad accogliere un amico. Nel Midrash noto come Alfabeto di Rabbi Aqiva si rivela la duplice natura della lettera
Taw allorché è detto di non leggerla come Taw
bensì come Taev desiderio. Desiderio di ogni bene terreno ma
anche desiderio dello spirito di risalire in alto.
Questa è la verità della Taw ed Emet-verità si scrive Alef Mem Taw. In
questa parola, E m (e) t, lettera mediana tra la Alef iniziale e la Taw finale è
la Mem, simbolo di ogni singolo aspetto
della manifestazione divina. Ove si dimentichi che il Tutto della
manifestazione, rappresentato dalla Taw, si collega all' Uno che è nella Alef, Emet si muta in Met, scritta con le lettere Mem-Taw, che significa morte. Senza la
Alef o principio creativo, la realtà non è altro che vuota forma, apparenza,
illusione e morte.
Ce n’è dunque
abbastanza per dimostrare che l’edificazione del Tempio, alla quale si
accingono insieme i due Hiram e Salomone, non è soltanto un monumento elevato a
gloria del Signore o Grande Architetto dell’Universo. E’ in realtà un tracciato
da compiere, una via da seguire. E’ su questa via che gli Hiram e Salomone si
trovano insieme.
Il richiamo della
tradizione cabbalistica ci consente ancora qualche piccola scoperta:
Hiram non solo rappresenta lo spirito, per i significati delle due radici ebraiche ‘Hi e Ram. Formato dalle lettere Chet-Yud-Resh-Mem (40+200+10+8=258),
Hiram è la ghematria di Arazim
Aleph-Resh-Zain-Yud-Mem (40+10+7+200+1=258)
che significa CEDRI. Ricordando che nella tradizione ebraica ogni lettera è numero e ogni numero è
lettera, Hiram e Arazim hanno perciò lo stesso valore numerico (258) e
dunque si corrispondono.
E ancora: Zahav, oro in ebraico, ha valore numerico 14
(2+5+7) come Yad mano (4+10=14) e come David (la promessa del Tempio)
(4+6+4=14).
Ciò significa che
senza i cedri del Libano, senza gli operai e senza l’oro, in una parola senza Hiram
nessuna mano avrebbe innalzato il
tempio suggellando il patto che il Signore aveva concluso con David, padre di Salomone (I Re, 9, 1-10).
Cosa rappresenta
il cedro nella tradizione
biblico-ebraica? Innanzi tutto il soffitto del Tempio era fatto di travi e assi
di cedro, i pavimenti di legno di cedro, l’altare di cedro rivestito d’oro, le
colonne tutte di cedro come pure i soffitti della Sala del Giudizio (I Re). Nel II libro di Samuele, 7,7 è Dio stesso a chiamare ‘Casa di cedro’ il Tempio che gli deve
essere costruito.
Il cedro,
inoltre, è nella Bibbia di volta in volta simbolo di FORZA (Isaia, 9,9: ‘…Le fragili travi di fico sono state abbattute ma noi useremo
robuste travi di cedro…’) di BELLEZZA (Salmo
92,13-14: ‘… Bello come un cedro del
Libano piantato nel cortile del Tempio’; Cantico
dei cantici 5,15: ‘… Egli ha
l’aspetto delle montagne del Libano, è magnifico come gli alberi di cedro’) di
SAPIENZA (Siracide 24,13 ‘… Elogio della sapienza’: ‘sono cresciuta ( io, la sapienza) come un
cedro del Libano’). Inoltre, nella tradizione ebraica il cedro è simbolo di Dio
nella sua veste di gloria, è simbolo di Abramo, del Sinedrio, dell’intero
popolo ebraico e del cuore dell’uomo.
Infine, il frutto
del cedro (etrog) è detto il frutto
di un albero di bell’aspetto: Perì ’Etz
Hadar:
“Prenderete il
primo giorno di Sukkoth un frutto di bell’aspetto, rami di palme e rami
dell’albero di mirto e rami di salice e vi rallegrerete davanti al Signore
vostro Dio” (Levitico, 33:40).
Si prende il Lulav (mazzo composto di 1 ramo di
palma, 2 di salice, 3 di mirto) con la destra, il cedro con la sinistra, li si
agita ai 4 punti cardinali, in alto e in basso, dopo aver detto la relativa
benedizione.
Così si compie la mitzwah del Lulav durante la festa di Sukkoth o festa delle Capanne. [25]
Altri riferimenti
biblici ad Hiram si trovano nel I Libro
dei Re, dove egli è un valente artigiano figlio di una vedova della tribù di Neftali, dunque un discendente
di Giacobbe e di Bila, la schiava che Rachele concesse al marito per avere
discendenza.
Nel II libro delle
Cronache, è invece citato l’artigiano che Hiram re di Tiro invia a
Salomone. Questa volta però lo si chiama
Hiram-Abi, lo si dice esperto di
costruzioni e figlio di un’ebrea della tribù di Dan (2:12-13). [26]
Inoltre, l’intero
settimo capitolo del I Libro dei Re è
dedicato alla descrizione di tutto l’arredo per l’abbellimento del Tempio che
l’artigiano Hiram costruì.
Ed ecco, dunque -
come ho già detto - dopo la Sapienza e la Forza, la terza luce
che illumina il Tempio massonico: la Bellezza, la cui sephirah corrispondente è Tiphereth, vero e proprio cuore
dell’Albero della vita, espressione dell’armonia in cui si manifesta
l’equilibrio di ogni energia.
Così intese le due
figure dell’Hiram biblico, non stupisce certo che entrino a far parte della
leggenda massonica inserita nelle Costituzioni, fuse insieme nell’unica figura
di Hiram grande architetto di Salomone. Su questa linea interpretativa concorda
uno studioso come il Vaillant, anche se poi egli finisce per ricondurre tutto,
simbologia massonica e leggende del popolo ebraico, ad una comune matrice
egizia. Scrive in proposito: “La tradizione massonica che si ricava dai rituali
adottati da tutti i riti al terzo grado è ebraica (…) Nel secondo libro dei Paralipomeni, il re di Tiro fa dire a
Salomone che ‘Hiram è un uomo intelligente, abilissimo; che ha servito suo
padre, che sa lavorare l’oro, l’argento, il bronzo, il ferro, le pietre, il
legno e perfino la porpora, il giacinto, il fine lino e lo scarlatto; egli sa ancora incidere tutte le immagini e
inventare quello che occorre per ogni lavoro’ Ecco, senza dubbio, ciò che
gli è valsa la denominazione di architetto
nelle tradizioni ebraiche e tra i Liberi Muratori, malgrado le asserzioni
rispettabilissime che non vogliono vedere in lui che un fonditore di metalli.” [27]
Il
simbolismo dei luoghi e degli strumenti
Col riferimento ad Hiram e al Tempio di
Salomone non si esaurisce certo la presenza, per così dire, della tradizione
ebraico-cabbalistica nella Libera Muratoria.
Appena entrati in
Officina ci troviamo di fronte tre pilastri, da non confondere con le due
colonne, Jakin e Boaz, situate nel portico, all’ingresso del Tempio. I tre
pilastri ben possono corrispondere a quelli dell’Albero della vita in analogia
con le tre sephiroth che li
rappresentano: Gheburah-Forza sul
pilastro di sinistra (la Colonna di Settentrione del Tempio massonico), Tiphereth-Bellezza su quello di centro
(dove, nel punto più alto, siede il Maestro venerabile) e ‘Hochmah-Sapienza su quello di destra (la Colonna del
Meridione).
Sui tre
pilastri trovano posto i dignitari di Loggia almeno in numero di dieci e che, d’après Jules Boucher, [28]
la maggior parte degli studiosi, considera in analogia con le dieci sephiroth dell’Albero della Vita. Di
diverso avviso sembra essere il Grande Oriente d’Italia. Nei Quaderni di Simbologia Muratoria, a cura
di Ivan Mosca, si individuano infatti 21 funzioni tra dignitari e ufficiali di
Loggia, tra loro anche cumulabili e riconducibili a 12, esprimendo con ciò
l’analogia coi segni zodiacali piuttosto che con l’Albero delle sephiroth.
Per quanto sia
lecito esprimere qualche riserva sull’analogia tra le sephiroth e i dignitari
di Loggia, sarei propenso a collocare nella colonna centrale il Venerabile (Kether), il Maestro delle Cerimonie (Tiphereth), il 1°Sorvegliante (Yesod) e il Copritore interno (Malkuth), nella colonna di destra il
Segretario (‘Hochmah ), l’Ospitaliere
(‘Hesed), il 2°Sorvegliante (Netzach) e nella colonna di sinistra
l’Oratore (Binah), il Tesoriere (Gheburah) e l’Esperto (Hod).
Anche la marcia
di apprendista, compagno e maestro in Officina, per alcuni, si ispira
all’Albero delle sephiroth: coi primi tre passi di apprendista, il massone si
sposta successivamente da Malkuth a Yesod e da Yesod a Tiphereth. Con un passo
a sinistra, da compagno, egli raggiunge ora Gheburah e con un passo a destra
‘Hesed. Il maestro appoggiandosi sulle sephiroth Binah e ‘Hochmah giunge infine
a Kether, la Corona.[29]
Al centro dell’Officina incontriamo il ‘Quadro di
Loggia’ che, pur nella diversità dei gradi e delle rappresentazioni simboliche,
fa riferimento di nuovo al Tempio di Salomone, alle due Colonne poste davanti
al Tempio e alla leggenda di Hiram.
Quanto alla
denominazione di ‘Camera di Mezzo’, dove lavorano i maestri, è facile vederne
il collegamento con la Bibbia, I Libro
dei Re VI:5-8 ‘Si costruì un edificio a tre piani che circondava il Tempio
da tre lati… l’ingresso al piano più basso dell’edificio intorno al Tempio si
trovava sul lato destro, c’erano delle scale interne che portavano al piano di mezzo’. [30]
Avvicinandoci
all’ara, nei tre gradi di apprendista, compagno e maestro, notiamo subito che,
nella figura, la squadra è simile alla lettera ebraica Resh. In entrambe, poi, si manifesta la duplicità: la squadra
massonica è formata dalla livella (orizzontale) e dal filo a piombo (verticale)
a sottolineare la necessità di equilibrare due elementi contrastanti e tuttavia
positivi se armonizzati tra loro. La Resh
ebraica è una delle sette lettere doppie. Nella versione del Sepher Yetzirah, elaborata dal Rabbi
Eliahu, Gaòn de Vilna (GRA), la più seguita dai cabbalisti, la Resh indica l’alternativa tra pace e guerra e, bene utilizzata, consente di ottenere un grado elevato di
crescita spirituale e la pacificazione
di ogni contesa.
Inoltre, la
squadra intrecciata al compasso, nel grado di compagno, ricorda, nella forma e
nel significato il Sigillo o Esagramma di Salomone. Gli strumenti intrecciati
significano che il compagno massone ha raggiunto l’equilibrio tra materia e
spirito. Il Sigillo di Salomone, dal canto suo, ricorda che, senza equilibrio
tra forze cosmiche antagoniste, nessuna manifestazione è possibile. E ancora:
sotto squadra e compasso c’è il Libro con cui la l’Officina apre i lavori.
Esclusivamente libri dell’Antico
Testamento nelle Logge anglosassoni, il Vangelo
di San Giovanni nelle altre. [31]
Così, diverse Grandi Logge statunitensi aprono i lavori col libro di Amos, nei versetti 7 e 8 del capitolo
VII:
“Il Signore mi fece
avere ancora un’altra visione: stava vicino a un muro, alto e diritto, e teneva
in mano un filo a piombo. Il Signore
mi chiese:
‘Amos che cosa
vedi?’
‘Un filo a
piombo’, risposi
‘Ho misurato con esso il mio popolo – disse
il Signore – e non posso più perdonarlo…’
Accanto al
Libro, sull’ara, troviamo la Menorah
o candelabro a sette bracci: ‘Mi farai – dice il Signore a Mosé (Esodo, 25:31-40) – un candelabro d’oro
puro fatto tutto d’un pezzo: il piedistallo e il fusto, i suoi calici, i suoi
bocciòli e i suoi fiori formeranno un solo corpo con esso. Sei rami usciranno
dai suoi lati, tre rami del candelabro da una parte e altri tre dall’altra…’
La Menorah è citata in numerosi passi
biblici: in Esodo 37:17-24 per dire che Betzalel, l’artista designato da Dio in
persona, ha costruito il candelabro esattamente come l’aveva progettato il
Signore. Sempre in Esodo, 30:27 per
raccomandare che il candelabro, insieme ad altri oggetti del Tabernacolo, sia
unto con olio sacro. Ancora in Esodo
il candelabro è citato tre volte: quando il lavoro è ultimato e portato a Mosé
(39:37), allorché il Signore ne ordina a Mosé la collocazione nell’Abitazione o
‘Tenda dell’incontro’ a lui consacrata(40:4) e Mosé esegue (40:24). In Levitico
(24:3) per precisare a chi è concesso accenderlo. In Numeri è citato due volte: (3:31) per ribadire che l’accensione del
candelabro è riservata ai leviti e (8:24) per la raccomandazione del Signore a
Mosé che le sette lampade illuminino la parte anteriore del candelabro. Nel Libro
di Daniele, il candelabro è
citato(5:5) per ricordare il banchetto del re Baldassar, figlio di
Nabucodonosor, durante il quale, apparve una mano di fronte al candelabro e
scrisse parole che solo Daniele riuscì a interpretare. Nel I
Libro dei Re (7:49) e nel II Libro
delle Cronache (4:7) per predisporre 10 candelabri all’interno del Tempio: 5 a destra e 5 a sinistra del
santuario. Ancora nel II Libro delle Cronache (13:11) si
ricorda che l’accensione delle lampade è un obbligo verso il Signore. Nel I Libro dei Maccabei (4:49-50) il
candelabro è utilizzato per la riconsacrazione del Tempio, mentre in Siracide (26:17) ha la funzione di
metafora poetica: la lampada che brilla sul candelabro è paragonata a un bel
volto di donna sopra un corpo grazioso.
Infine, in Zaccaria (4:1-12),
il candelabro fa parte della quinta
visione del profeta:
“L’angelo incaricato di parlarmi venne a
scuotermi come si fa con uno che dorme.
Mi domandò: ‘che cosa vedi?’ Io risposi:
‘vedo un candelabro d’oro, con in cima un recipiente per l’olio. Il candelabro
a sette lucerne e sette beccucci per dare olio a ogni lucerna.
Vicino al recipiente ci sono due ulivi, uno a
destra e l’altro a sinistra.’
E domandai all’angelo: ‘che significa tutto
questo, mio signore?’
Allora l’angelo mi spiegò: ‘Le sette lucerne
rappresentano gli occhi del Signore che osservano tutta la terra…”
Sembra interessante osservare che Betzalel, il nome dell’artista prescelto
dal Signore per la costruzione della Menorah
e di parte del Tabernacolo, ha valore numerico 153 (leggendo le lettere da destra a sinistra: 2+90+30+1+30 = 153),
ossia il triangolo di 17. “Il 17 –
osserva Nadav Eliahu – è un numero importantissimo in Cabalà poiché è il numero che indica il bene (Tov). Non a caso è la Ghematria di due dei 72 Nomi di Dio, il 1° e
il 49°. Anche questi numeri non sono casuali, in quanto si riferiscono alle Cinquanta Porte dell’Intelligenza, le
più importanti delle quali sono la prima dall’alto e la quarantanovesima dal
basso. Ed ecco che 17 è anche il valore di EGOZ (noce), un frutto molto esoterico,
studiando il quale il re Salomone derivò delle importanti considerazioni sulla
struttura degli universi paralleli (vedi
il Cantico dei Cantici, al versetto ‘Sono
sceso al giardino delle noci’) ” .
Il 17,
inoltre, è anche il valore di Hagadah
e osserva ancora Nadav Eliahu: “ Il nome HAGADAH (leggenda) si riferisce a
tutta quella parte della tradizione orale dell’Ebraismo che contiene racconti e
descrizioni basate soprattutto sul funzionamento tipico dell’emisfero cerebrale
destro. Il valore 17 allude all’intrinseca bontà di questa parte, a volte
ingiustamente trascurata o minimizzata dagli ebrei razionalisti.”[32]
Nella Qabbalah medievale, i sette bracci della Menorah
sono associati alle sette sephiroth inferiori: da ‘Hesed a Malkuth. Nel Sepher Temunah o Libro della figura, [33]
‘il candelabro puro d’un sol pezzo
lavorato a martello’ è identificato con Binah,
la sephirah dell’intelligenza, e i sette bracci, con le sette sephiroth
inferiori che da lei provengono. Mentre i 49 tra calici e boccioli che sono
tutto un pezzo col candelabro, come è scritto in Esodo, formano le 49 porte
dell’intelligenza cioè della sephirah Binah
che ne è la Cinquantesima e che
neppure a Mosé, come è detto nel Talmud,
fu dato oltrepassare [34]
Nel Pardes Rimmonim o Giardino dei
Melograni, il cabbalista Moshé Cordovero fa corrispondere ai sei bracci della Menorah le sephirot comprese tra la
quarta (‘Hesed ‘Grazia’) e la nona (Yesod ‘Fondamento’) mentre l’asse
centrale del candelabro è rappresentato dalla Alef, prima lettera dell’alfabeto ebraico e da Kether ‘Corona’, la sephirah
più alta. Alla base del candelabro c’è poi la sephirah più bassa: Malkuth Terra o Regno. [35]
“La Menorah accesa in Camera di Mezzo –
osserva Ivan Mosca – può, meglio di ogni altro simbolo e solo come supporto
aiutarci a raggiungere ‘lo scopo per il quale noi Massoni ci riuniamo’. [36]
Sotto questo
rispetto è dunque della massima importanza apprendere a far ruotare i tre
bracci snodabili della Menorah e “Questa modalità – osserva ancora Ivan Mosca –
sarà utile anche a noi Massoni per stabilire le corrette analogie con i nostri
lavori, le iniziazioni, i passaggi di Grado, i ‘pagamenti’ agli operai per
mandarli ‘via’ contenti e soddisfatti. Ma se ci limitasse a seguire nel nostro
meraviglioso candelabro le sole fasi della Luna senza il loro significato
esoterico, verremmo meno alla nostra ricerca. Porremo dunque sulle 7 lampade le
lettere che compongono il Tetragramma che, nel Delta sacro, è sospeso sul capo
del Maestro Venerabile.” [37]
E, in effetti, le
lettere del Tetragramma si trovano spesso iscritte nel Delta massonico: è il
nome impronunciabile di Dio e le quattro lettere ebraiche che lo formano: uno Yud, una Heh ripetuta due volte e una Wav
andrebbero studiate sia nella forma grafica che nel loro significato. I tre
angoli del Delta rappresentano ancora Sapienza, Bellezza e Forza, virtù che,
attraverso il Maestro venerabile, devono poter illuminare la Loggia. E il
Maestro Venerabile ha in mano la Spada fiammeggiante per trasmettere il fuoco all’adepto
che egli – come recita il rituale di iniziazione – dichiara di voler c r e a
r e massone. Ed è proprio pensando
all’atto creativo che molti studiosi hanno parlato di corrispondenze con le
prime tre sephiroth dell’Albero della vita, allorché il Maestro venerabile pone
la spada sulla testa e poi sulle spalle del neofita. [38]
Gioverà ancora
osservare che sia le tre parole di passo sia le tre ‘parole sacre’ dei tre
gradi della Massoneria azzurra sono prese dalla tradizione ebraica e che le
lettere delle ‘parole sacre’ di apprendista e compagno sono ricavate, mediante
permutazione, dalle lettere che formano i nomi ebraici delle due Colonne poste
davanti al Tempio di Salomone.
Va infine
ricordato che, nel simbolismo massonico, la ‘parola sacra’ è solo un
sostitutivo della parola andata ‘perduta’ con l’assassinio di Hiram e che si
dice ‘ritrovata’. Analogamente, nella tradizione ebraico-cabbalistica, la
perdita della vera pronuncia del nome di Dio ha diversi sostitutivi, nessuno
dei quali tuttavia è l’originale. [39]
Una
delle indagini principali delle prime
scuole di Qabbalah storica, riguardò proprio la ‘parola perduta’, il ‘vero
nome’ di Dio:
“Il giorno in cui YHWH Elohim fece il cielo e
la terra ( Genesi 2:4) il nome non
era intero, finché l’uomo non fu creato a immagine di Dio e il Sigillo non fu
completo”. [40]
A questa
speculazione si collega quella sul male, introdotto con la frattura del Nome,
che torna ad essere incompleto com’era prima della creazione dell’uomo. Ma la
causa non è – come si potrebbe pensare – il peccato di Adamo. [41]
Il riferimento è bensì in Esodo,17:7: “…Vedremo se il
Signore è con noi o no ”. Si allude a quando, dopo l’uscita del popolo
ebraico dall’Egitto, venne Amalek, capo degli Amaleciti, beduini del sud di
Canaan. Allora “la mano di Amalek si levò sopra il trono di Y(a)h ” e Isacco il
Cieco descrive così la lotta di Mosé contro l’Arcangelo di Amalek:
“Mosé.
dovette ricorrere all’elevazione delle mani per lottare contro l’Arcangelo e
respingere le sue mani dalla sephirah Ghevourah ”. [42]
Aron e Chur sostengono le mani di Mosé e Israele può vincere, ma il male si è
generato. Il Nome non potrà più essere pronunciato e inevitabili conseguenze
saranno la distruzione del Tempio, l’esilio e il ritrarsi delle sephiroth superiori ‘in Alto’.
Nel collegare la ‘parola perduta’ del vero
Nome di Dio alla rottura dell’equilibrio delle sephiroth dell’Albero della
vita, piuttosto che al peccato di Adamo, nel divieto di indagare su En Soph Dio o Infinito, la Qabbalah
storica denota, nei fatti, una sostanziale laicità. Del resto, Isacco il cieco
soleva affermare che la ‘diversità
ebraica’ consisteva nella pratica di una filosofia esoterica basata
sullo studio e sulla conoscenza piuttosto che su una religione unicamente
ispirata alla fede e al sentimento. Questo stesso principio sembra seguire la
Massoneria, nell’utilizzare il simbolismo tratto dalla Qabbalah degli ebrei.
sergio magaldi
[1]Il post riprende e unifica il
contenuto di tre precedenti interventi apparsi sul blog: Qabbalah e simbolismo massonico parte prima - seconda e terza
[2] Cfr. G. Scholem, Le Origini della Kabbalà, Bologna, 1990
pp.12 e ss.
[3] Sulla visione del Trono di Dio,
cfr Ezechiele, 1:1-28.
[4] Cfr., sull’Albero della vita nel
pensiero ebraico-cabbalistico, G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi,
Torino, 1999, soprattutto le pp. 53-58.
[5] Sull’intera questione della
teurgia nella Qabbalah, cfr. C.Mopsik, Les
Grands Textes de la Cabale, Verdier,1993, pp.18-71.
[6] Cfr. U.G.Porciatti, Simbologia massonica. Massoneria azzurra,
Atanor, Roma,1992, p.14
[7] Cfr. Il manoscritto dii Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica, Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.
[8] Sul barone Tschudy, figura di grande prestigio della Massoneria
europea della seconda metà del XVIII secolo, sulla condanna e sulla scomunica
della Massoneria in questo stesso periodo, ad opera rispettivamente del re
Carlo di Borbone del Regno delle due Sicilie e del papa Benedetto XIV, cfr.
C.Miccinelli, E Dio creò l’uomo e la
Massoneria, E.C.I.G., Genova, 1985, pp. 25 e ss.
[9] Cfr. Sefer ha-Bahir, prg 70
(48) in Mistica ebraica, a cura di G. Busi ed E. Loventhal, Einaudi 1995,
Ediz. CDE spa, Milano, 1996, pp. 168-169.
[10] Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo
completo di letteratura cabbalistica e
si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Sugli argomenti, la data di
composizione, l’autore: cfr. G.G. Scholem, La
Cabala, trad.it., Roma 1989, pp.215-244 e G.Busi, La Qabbalah, Laterza, Bari, 1998, pp. 70-75. Per un maggiore
approfondimento cfr. i capitoli V e VI di Le
grandi correnti della mistica ebraica, cit., di G.G. Scholem. L’edizione
dello Zohar più nota è quella della
versione francese a cura di C. Mopsik pubblicata dalla casa editrice Verdier.
[11] cfr. Le Zohar, cit., Berescith I, 16 b, pp. 99-100.
[12] Cfr.
Le Zohar, cit. 16 b, p.100.
[13]
Cfr. Le Zohar, cit., Berescith
II, 31 b-32 a ,
p.179.
[14] cfr. Genesi 1:4
[15] ‘Questa luce scaturì dal cuore
dell’Oscurità (…) dalla luce nascosta prese forma una segreta via d’accesso
grazie all’oscurità del mondo di quaggiù e la luce poté manifestarsi.’ Cfr. Le Zohar, cit., 32 a , p.179.
[16] cfr. J. Boucher, La Simbologia Massonica, Atanor, Roma,
1997, 5.a Rist., trad.it., Editions Dervy, Parigi, 1948, pp.151-152.
[17] cfr. le Zohar, cit., 32a, p.180
[18] cfr. Le Zohar, cit.,Berescith II, 30 b, t.I, p.175.
[19] citato in C. Miccinelli, Op.cit, p.293
[20] Cfr. F. Kafka, Trentottesima Considerazione, in Confessioni e immagini, trad.it.,
Mondadori, Milano 1960, p.62
[21] Cfr. Numeri, 16, 9-10
[22] Cfr. Il Manoscritto di Cooke, in Op.cit.,
p.171
[23] Cit. a proposito di un lavoro di
A. Reghini, in E. Bonvicini, I Gradi della massoneria di Rito Scozzese
Antico ed Accettato, Bastogi, Foggia, 1996, p.17
[24] Cfr. Sepher Yezirah o Libro
della formazione, la cui data di
composizione secondo gli studiosi oscilla tra il II e il VI secolo d.C., nel
libro (analizzato da G.G. Scholem in Le
Origini della Kabbalah, cit., pp.32-44 e in La Cabala, cit., pp. 14, 30-61, 70-72, 96, 101 e ss.) è detto,
all’inizio, che Dio formò il mondo con ‘32 misteriosi sentieri di saggezza’. I 32
Sentieri dell’Albero della Vita collegano tra loro le 10 Sephiroth e sono 32 in tutto perché, alle 10
Sephiroth, si aggiungono le 22 lettere dell’alfabeto ebraico.
[25] Il 15 del mese ebraico di Tishrì (settembre-ottobre) ricorre la
festa di Sukkoth in memoria delle
capanne costruite dagli ebrei nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Nella Torah è conosciuta anche col nome di Chag Ha-Asif o festa del raccolto,
perché con lei terminava la stagione del raccolto. E’ una festa di gioia e di
allegria, come comanda la Torah. Dura
sette giorni, durante i quali l’ebreo è chiamato a vivere nella Sukkah (capanna), costruita all’aria
aperta ad imitazione di quella che gli antenati edificarono nel deserto.
[26] Proprio in riferimento al II Libro delle Cronache ( 2:12 ) che
dice Hiram ‘esperto di costruzioni’,
sarebbe potuta nascere la leggenda massonica di Hiram, maestro architetto (cfr.
in proposito C. Jacq, La Massoneria.
Storia e iniziazione, Mursia, Milano, 1998, pp. 240 e ss.)
[27] Cfr. A.Vaillant, I tre gradi della Libera Muratoria,
Bastogi, Foggia, 1994, rist. anast., Milano, 1959, pp.163 e 169. Sulla
questione della ‘matrice egizia’ comune sia alla Massoneria che alla tradizione
ebraica, cfr. Ibid., l’intero cap. V,
pp.163-186.
[28]
Cfr., J. Boucher, Op.cit., pp.98-106.
[29]
Ibid., p. 331. Il Boucher,
tuttavia, nel passo che il compagno fa a destra vede l’incontro con la
cosiddetta sephirah nascosta Da’at Conoscenza,
piuttosto che con la sephirah ‘Hesed Grazia.
Egli scrive (Ibid.): ‘Il Compagno,
con un passo a sinistra, raggiunge Geburah
la Forza e, un passo a destra, lo conduce alla ‘Scienza’ tra Chochmah e Binah.’.
[30]
Ibid. p. 280 e ss.
[31]
Ibid., pp.120 e ss.
[32] cfr. Nadav Eliahu, Misparei Ha-Sod. I numeri del segreto, Milano, 1990, pp. 29-30.
[33] Il testo del Sepher ha-Temunah tradotto in italiano (con una breve introduzione
circa la data presunta di composizione e il relativo contenuto), si trova in Mistica Ebraica. Testi della tradizione
segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo a cura di G. Busi ed E.
Loewenthal, Einaudi, Torino, 1995, pp.243-346
[34]
Cfr. Talmud, bRo’sh ha-shanah 21
b, bNedarim 38a.
[35] Cfr. G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, cit., pp.
219-221.
[36] Cfr. Luz, Trimestrale di Studi Tradizionali, Har Tzion, n.3, Autunno 1999, pp.17-18.
[37] Ibid.,
p.16
[38]
Cfr. J. Boucher, Op.,cit., pp. 58-60
[39] Cfr. Giuseppe Abramo, La Cabalà e la Massoneria, pp.17-25 in Gradus,n.22, 1989, p. 22.
[41] Ibid.,p.83
[42] Ibid., p.85