Lucy, regia e sceneggiatura di Luc Besson, Francia-USA, 2014, 90 minuti |
In Lei [Her],
l’ottimo film di Spike Jonze, vincitore dell’Oscar per la migliore
sceneggiatura e candidato ad altri 4 Oscar, Scarlett Johansson presta la sua
voce a Samantha, la donna virtuale,
il sistema informativo operativo informatico OS.1 [vedi il post del 5 Aprile
2014: Lei…la donna che non ti aspetti
e clicca sopra per leggere]. In Lucy,
l’ultimo film del regista francese Luc Besson, l’attrice svedese presta il
corpo [notevole] e l’anima a
una donna di carne e sangue ma altrettanto virtuale.
Perché Lucy è il nome dato all’australopiteco femmina rinvenuto il 30 Novembre
1974 ad Afar [Etiopia]. Il fossile fu chiamato così in omaggio alla canzone dei
Beatles, Lucy in the sky with diamonds
[Lucy nel cielo coi diamanti] che la squadra dell’antropologo Donald Johanson
stava ascoltando durante gli scavi.
Lucy, austrolopithecus afarensis |
La Lucy del film di
Besson, nella stupenda interpretazione di Scarlett Johansson, starebbe a
rappresentare l’ultimo anello di quella catena, quando l’essere umano avrà
appreso ad utilizzare il 100% del proprio cervello, finendo col rendersi simile
a Dio.
L’idea che
l’individuo medio faccia uso solo del 10% delle capacità cerebrali è una
credenza ancora oggi molto diffusa. Si baserebbe sulle teorie formulate dagli
psicologi dell’Università di Harvard alla fine dell’Ottocento e, pare,
condivise anche da Albert Einstein, per non parlare di L.Ron Hubbard, fondatore
di Scientology [1954] e teorico di Dianetics,
la scienza moderna della salute mentale.
C’è inoltre da osservare
che le tecniche di brain imaging hanno
permesso di cogliere l’evoluzione del cervello umano nel corso dei millenni, pur nella conservazione della traccia delle origini, tanto che nell’individuo contemporaneo si può parlare
dell’esistenza, per così dire, di tre cervelli che non agiscono in
maniera sinergica e che addirittura confliggono tra loro: il cervello rettile, più antico e sede
degli istinti primari, il cervello
intermedio o emotivo, comune a tutti i mammiferi e il cervello corticale o pensante, di
acquisizione relativamente recente. Sotto questo profilo, dunque, non si può
escludere l’evoluzione successiva del cervello umano.
La teoria che i mass media hanno contribuito a diffondere, circa le possibilità inesplorate
e dunque non ancora utilizzate del cervello umano, trova però la sua pietra
d’inciampo nelle neuroscienze e in particolare nelle argomentazioni di Barry
Beyerstein [1947-2007]. Prima fra tutte, quella che il cervello è un apparato
"enormemente dispendioso" per il nostro corpo, perché necessita in
abbondanza di ossigeno e di nutrimento, arrivando ad assorbire circa il 20% del
nostro fabbisogno energetico. L’essere umano ha perciò tutto l’interesse a
risparmiare energia, cosa che gli sarebbe impossibile se dovesse provvedere a
“mantenere” un cervello molto più sviluppato.
Non a caso, Luc Besson attribuisce a Lucy, via
via che la ragazza apprende ad utilizzare percentuali maggiori del proprio
cervello, capacità psicocinetiche e percezioni extrasensoriali sempre più
sviluppate, ma al costo di crisi crescenti e grande dispendio di energia,
finché, giunta ad utilizzare il 100% delle potenzialità celebrali, Lucy non
potrà più “trattenersi” nella condizione umana e risolverà una volta per tutte
la domanda cara alla tradizione iniziatica e non solo: “Da dove veniamo? Chi
siamo? Dove andiamo?”
Paul Gauguin, "Da dove veniamo?Chi siamo?Dove andiamo?", olio su tela, 141x376, 1897, Museum of Fine Arts, Boston |
Se il soggetto del
film è senza dubbio intrigante – avvalendosi, oltre che di una grande e bella
Scarlett Johansson, anche di un altro raffinato interprete
come Morgan Freeman, nella parte dello scienziato che sostiene la teoria delle
capacità intellettuali dell’essere umano non sfruttate al massimo delle
potenzialità – resta qualche perplessità in merito ai generi utilizzati per la
narrazione, che peraltro è condotta con il ritmo incalzante proprio dell’arte
cinematografica. L’espediente per raccontare è il commercio di droga, la
violenza, il sangue che scorre in abbondanza e soprattutto il fumetto che
occupa quasi senza soluzione di continuità le ultime sequenze del film. C’erano
altri strumenti per rappresentare la stessa questione? Probabilmente sì, ma Luc
Besson ha preferito battere le strade consuete, quelle più note e forse più gradite al grosso pubblico. Nondimeno, Lucy
è un film da vedere.
sergio magaldi
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