venerdì 10 ottobre 2014

LUCY ovvero:"Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?"

Lucy, regia e sceneggiatura di Luc Besson, Francia-USA, 2014, 90 minuti



 In Lei [Her], l’ottimo film di Spike Jonze, vincitore dell’Oscar per la migliore sceneggiatura e candidato ad altri 4 Oscar, Scarlett Johansson presta la sua voce a Samantha, la donna virtuale, il sistema informativo operativo informatico OS.1 [vedi il post del 5 Aprile 2014: Lei…la donna che non ti aspetti e clicca sopra per leggere]. In Lucy, l’ultimo film del regista francese Luc Besson, l’attrice svedese presta il corpo [notevole] e l’anima a una donna di carne e sangue ma altrettanto virtuale. Perché Lucy è il nome dato all’australopiteco femmina rinvenuto il 30 Novembre 1974 ad Afar [Etiopia]. Il fossile fu chiamato così in omaggio alla canzone dei Beatles, Lucy in the sky with diamonds [Lucy nel cielo coi diamanti] che la squadra dell’antropologo Donald Johanson stava ascoltando durante gli scavi.






  Lucy [nome in codice A.L.288-1, cioè Afar Locality, numero 288, primo fossile ominide] è una femmina di circa 25 anni, vissuta oltre tre milioni di anni fa,  alta tra il metro e dieci e il metro e venti, con un peso di 35-40 kg, già bipede, con un cranio ancora scimmiesco ma con una dentatura simile a quella umana. Primo anello della catena evolutiva che dalla scimmia porterebbe all’uomo, secondo alcuni, semplice variante dello scimpanzé, secondo altri.




Lucy, austrolopithecus afarensis




 La Lucy del film di Besson, nella stupenda interpretazione di Scarlett Johansson, starebbe a rappresentare l’ultimo anello di quella catena, quando l’essere umano avrà appreso ad utilizzare il 100% del proprio cervello, finendo col rendersi simile a Dio.






 L’idea che l’individuo medio faccia uso solo del 10% delle capacità cerebrali è una credenza ancora oggi molto diffusa. Si baserebbe sulle teorie formulate dagli psicologi dell’Università di Harvard alla fine dell’Ottocento e, pare, condivise anche da Albert Einstein, per non parlare di L.Ron Hubbard, fondatore di Scientology [1954] e teorico di Dianetics, la scienza moderna della salute mentale.

 C’è inoltre da osservare che le tecniche di brain imaging hanno permesso di cogliere l’evoluzione del cervello umano nel corso dei millenni, pur nella conservazione della traccia delle origini, tanto che nell’individuo contemporaneo si può parlare dell’esistenza, per così dire, di tre cervelli che non agiscono in maniera sinergica e che addirittura confliggono tra loro: il cervello rettile, più antico e sede degli istinti primari, il cervello intermedio o emotivo, comune a tutti i mammiferi e il cervello corticale o pensante, di acquisizione relativamente recente. Sotto questo profilo, dunque, non si può escludere l’evoluzione successiva del cervello umano.








 La teoria che i mass media hanno contribuito a diffondere, circa le possibilità inesplorate e dunque non ancora utilizzate del cervello umano, trova però la sua pietra d’inciampo nelle neuroscienze e in particolare nelle argomentazioni di Barry Beyerstein [1947-2007]. Prima fra tutte, quella che il cervello è un apparato "enormemente dispendioso" per il nostro corpo, perché necessita in abbondanza di ossigeno e di nutrimento, arrivando ad assorbire circa il 20% del nostro fabbisogno energetico. L’essere umano ha perciò tutto l’interesse a risparmiare energia, cosa che gli sarebbe impossibile se dovesse provvedere a “mantenere” un cervello molto più sviluppato.

 Non a caso, Luc Besson attribuisce a Lucy, via via che la ragazza apprende ad utilizzare percentuali maggiori del proprio cervello, capacità psicocinetiche e percezioni extrasensoriali sempre più sviluppate, ma al costo di crisi crescenti e grande dispendio di energia, finché, giunta ad utilizzare il 100% delle potenzialità celebrali, Lucy non potrà più “trattenersi” nella condizione umana e risolverà una volta per tutte la domanda cara alla tradizione iniziatica e non solo: “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”




Paul Gauguin, "Da dove veniamo?Chi siamo?Dove andiamo?", olio su tela, 141x376, 1897, Museum of Fine Arts, Boston



 Se il soggetto del film è senza dubbio intrigante – avvalendosi, oltre che di una grande e bella Scarlett Johansson, anche di un altro raffinato interprete come Morgan Freeman, nella parte dello scienziato che sostiene la teoria delle capacità intellettuali dell’essere umano non sfruttate al massimo delle potenzialità – resta qualche perplessità in merito ai generi utilizzati per la narrazione, che peraltro è condotta con il ritmo incalzante proprio dell’arte cinematografica. L’espediente per raccontare è il commercio di droga, la violenza, il sangue che scorre in abbondanza e soprattutto il fumetto che occupa quasi senza soluzione di continuità le ultime sequenze del film. C’erano altri strumenti per rappresentare la stessa questione? Probabilmente sì, ma Luc Besson ha preferito battere le strade consuete, quelle più note e forse più gradite al grosso pubblico. Nondimeno, Lucy è un film da vedere.

sergio magaldi

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