Julia Navarro, Dime quién soy, Octava edicion DEBOLS!LLO, Barcelona, enero 2015, pp.1096 |
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cinque anni fa con gran successo di pubblico, il romanzo di Julia Navarro, Dime quién soy, appare quest’anno per l’ottava
edizione DEBOLS!LLO. Ben 1096 pagine per una storia
che conquistò non soltanto i lettori spagnoli, ma quelli di tutto il mondo.
Anche le edizioni italiane, pubblicate da Mondadori nel 2011, prima nella
collana Omnibus, poi negli Oscar [Dimmi
chi sono] hanno fatto ottimi incassi.
L’espediente narrativo consiste nell’incarico
che il giovane Guillermo – che si accontenta di scrivere, scarsamente
retribuito, per un giornale online, vuoi per il rifiuto di sottomettersi alla
logica partitica, vuoi per la crisi economica che si è abbattuta in Europa
[2009-2010] e che ancora è sotto gli occhi di tutti – riceve dalla zia Marta.
Si tratta di investigare sulla figura della bisnonna, nonna della zia e di sua
madre, su cui la famiglia ha sempre taciuto, considerando scandaloso per gli
equilibri familiari, persino pronunciare il suo nome. La zia pagherà le spese
della ricerca, e in più gli offrirà un discreta somma per i pochi mesi che
durerà l’indagine. Al termine, Guillermo s’impegna a scrivere la storia della
bisnonna che la zia ha intenzione di regalare a tutti i membri della famiglia per
il prossimo Natale.
Il primo impatto del giovane ricercatore sarà
scoprire che nel barrio di Salamanca,
la zona ricca di Madrid, abitano ancora dei Garayoa, che presto si riveleranno
come la famiglia stessa della bisnonna. Da quel momento, Guillermo ricostruirà
passo dopo passo la vita movimentata di Amelia, viaggiando per la Spagna, poi
per l’ Europa intera e persino in Argentina, in Israele e negli Stati Uniti,
sulle orme di chi la conobbe di persona o comunque ne sentì parlare. La zia Marta,
ricca ma poco disponibile ad affrontare le spese di un’indagine costosa e che
rischia di andare per le lunghe, si farà ben presto da parte rinunciando a
finanziare ulteriormente il progetto da lei stessa concepito. Sul punto di
lasciare, ormai a malincuore, perché la figura della bisnonna gli si rivela
sempre più intrigante, Guillermo accetterà l’offerta della famiglia Garayoa che
si offre di sostituire la zia Marta nel finanziare la ricerca.
Chi fu in realtà questa donna di cui la
famiglia di Guillermo possiede, oltre il tabù che la riguarda, solo una foto
ingiallita che la ritrae bella, giovanissima e sorridente, vestita da sposa e
con un ramo di fiori in mano? Di ottima famiglia borghese, di origine basca per
parte di padre e catalana per parte di madre, Amelia nasce a Madrid nel 1917. Di
lei Guillermo ricostruisce l’adolescenza grazie all’esistenza di un diario e ne
coglie tutta la determinazione giovanile, grazie ai racconti di Edurne, la sua
vecchia “tata”: il precoce matrimonio, sconsigliato dai genitori per la giovane
età, la nascita del figlio a soli diciotto anni, la conoscenza di Lola,
militante socialista, l’ingresso nella sua vita di Pierre, il giovane comunista, franco-russo, di cui si
innamorerà sino a fuggire con lui, abbandonando il marito e Javier, il
figlioletto di quattro mesi, che poi risulta essere il nonno di Guillermo.
Già in questa scelta di abbandonare il tetto
coniugale, con la motivazione di voler lottare per l’affermazione degli ideali
comunisti, c’è in nuce tutta la figura della futura Amelia. Una donna sensibile
e generosa ma al tempo stesso egoista, facilmente influenzabile soprattutto in
questa fase della sua esistenza, e che non conosce “gli ostacoli” della ragione.
Una creatura all’apparenza dolce e delicata, ma in realtà forte e implacabile
nel perseguire uno scopo, quale che esso sia, senza preoccuparsi della
conseguenza delle proprie azioni, salvo a pentirsene più tardi quando è
impossibile tornare indietro. Sarà così ogni volta: il matrimonio, di cui si
pentirà quasi subito, la fuga con l’amante e l’adesione agli ideali comunisti,
quando si accorgerà che Pierre, agente sovietico con la copertura di libraio,
si è servito di lei e che il comunismo di Stalin è solo l’altra faccia del
terrore con cui la Germania di Hitler minaccia la pace del mondo. Inutile sarà
a quel punto pentirsi e cercare la via del ritorno: il marito tradito non le
permetterà più di accostarsi a suo figlio, “ciò che ha di più caro al mondo”, continuerà
a ripetere Amelia, senza tuttavia lottare – come pure saprà fare in seguito
anche in situazioni disperate e a rischio della vita – perché il suo diritto di
madre sia riconosciuto dalla legge. Una lotta impossibile, sembra giustificarla
l’autrice. La Spagna repubblicana e libertaria, caduta nelle mani dei fascisti del
generalissimo Françisco Franco, si è ormai trasformata in una dittatura dove
classismo e maschilismo la fanno da padroni. Neppure un giudice avrebbe
stigmatizzato il comportamento di Santiago, il marito di Amelia, vendicativo al
punto di utilizzare il figlio da lei concepito per punirla, neanche a un
giudice sarebbe venuto in mente di indagare sul comportamento di quest’uomo
prima e durante il matrimonio, su un’abitudine
che aveva già prima del fidanzamento: scomparire anche per più di una settimana
per viaggi di affari e senza avvertire nessuno. L’atteggiamento più egoista e
crudele che si possa immaginare nei confronti delle persone amate. Il dialogo
tra la madre di Amelia e quella di Santiago [pp.76-77] è molto eloquente in
proposito:
“La madre de Santiago informò a la madre de
Amelia que su hijo no estaba, que no había acudido a almorzar ni había
telefoneado, y no sabía si aparecería a la hora de la cena. A doña Teresa le
sorprendío que la madre de Santiago no se mostrara alarmada, pero ésta le
explicó que su hijo tenia por costumbre desaparecer sin decir adónde iba.
– No es que vaya a
ningún lugar que no deba, todo lo contrario, siempre es por trabajo; ya sabe
que mi marido le ha encargado que se haga cargo de las compras para la empresa,
y es Santiago quien viaja a Francia, Alemania, Barcelona … en fin, donde tenga
que ir. Santiago siempre se va sin decirnos nada; al principio me asustaba,
pero ahora sé que no le pasa nada – explicaba doña Blanca
–
Pero usted se
dará cuenta de que se va porque saldrá de casa con maleta – respondío un tanto
escandalizata doña Teresa.
–
Es que mi hijo
nunca lleva maleta.
–
¿Pero como? Esos viajes tan largos… de tantos días… – exclamó doña
Teresa.
– Santiago dice
que él lleva el equipaje en la cartera.
–
¿ Cómo dice?
–
Sí, que él se
sube al tren y cuando llega a su destino compra lo que necesita; siempre lo ha
hecho así. Ya le digo que al principio me preocupaba, e incluso su padre le
reconvenía, pero nos hemos acostumbrado.Tranquilice a Amelia, Santiago llegará
a tiempo para la boda.¡Está tan enamorado!”.
[“La
madre di Santiago informò la madre di Amelia che suo figlio non c’era, che non
c’era stato per pranzo né aveva telefonato, e che non sapeva se sarebbe apparso
per l’ora di cena. Donna Teresa fu sorpresa che la madre di Santiago non fosse
preoccupata, però questa le spiegò che suo figlio aveva per abitudine di
sparire senza dire dove andasse.
–
Non che
vada in qualche luogo dove non debba andare, al contrario, è sempre per lavoro;
lei già sa che mio marito lo ha incaricato di fare acquisti per la nostra
impresa, ed è Santiago che viaggia in Francia, Germania, a Barcellona… insomma
dove deve andare. Santiago sempre va via senza dirci nulla; all’inizio mi
angustiavo, però ora so che non gli succede nulla – spiegava donna Blanca.
–
Però lei
si renderà conto che è partito, perché uscirà di casa con la valigia – rispose
un po’ scandalizzata donna Teresa.
–
È che
mio figlio non porta con sé una valigia.
–
Com’è
possibile? Questi viaggi tanto lunghi… di tanti giorni – esclamò donna Teresa.
–
Santiago
dice che ha il suo bagaglio nel portafoglio.
–
Come
dice?
–
Sì, che
egli sale sul treno e quando arriva a destinazione compra ciò di cui ha
bisogno; ha fatto sempre così. Già le ho detto che al principio mi preoccupavo
e suo padre con me, però ormai ci siamo abituati.Tranquillizzi Amelia,
Santiago giungerà in tempo per le nozze. È tanto innamorato!” [trad. mia].
Insomma, i diritti di madre di una donna
infedele non sarebbero stati riconosciuti e nella Spagna clerico-fascista di
Franco quasi sicuramente Amelia sarebbe finita in carcere per adulterio.
Comunque
sia, il ritratto di Amelia non è quello della foto ingiallita di famiglia, di sposa
e di madre borghese destinata a invecchiare negli agi e nella serenità.
Innocente per non aver tradito il proprio ruolo, colpevole per l’indifferenza
e/o l’estraneità di fronte ai drammatici avvenimenti del XX secolo. Amelia è in realtà una metafora della
libertà. Lei è sempre lì dove c’è bisogno di lottare contro l’oppressore e
ovunque l’uomo si trovi in catene per motivi ideologici o razziali. Sempre
disposta a rischiare la vita pur di salvare il prossimo ingiustamente
soggiogato da un potere demoniaco e finché non trionfi la giustizia che è
l’altra faccia della libertà. Amelia non è una intellettuale, non ha mai letto
Shakespeare e il suo impegno non è il frutto di complesse teorie, ma è l’azione spontanea del combattente che
utilizza ogni mezzo pur di raggiungere il proprio fine. Questa lotta ha però un
prezzo, perché la libertà non può essere conquistata senza pagarne il
corrispettivo in termini di sentimenti negati, di sacrificio e di sangue. E
quando il suo compito sarà terminato, eccola scomparire tra la folla facendo
perdere le proprie tracce.
La chiave del libro, e in fondo la sua
bellezza, è proprio nel racconto di Amelia come metafora della libertà. Ma non
è questo a determinare il successo di una narrazione che ha tutte le
caratteristiche per essere definita una sorta di romanzo popolare.
Paradossalmente, credo che a decretare la fortuna del libro siano stati
piuttosto gli elementi che sotto il profilo stilistico e strutturale lo rendono
più debole: la prosa eccessivamente semplice e giornalistica ma più facilmente
accessibile al vasto pubblico, la dimensione tutta esteriore in cui i
personaggi raccontano se stessi, con poche riflessioni di carattere
intimistico, le fortunate coincidenze per le quali i fatti narrati s’incastrano
gli uni con gli altri, la prodigiosa longevità di molti testimoni, l’incredibile
puntualizzazione di dettagli riportati da chi non poteva essere presente ai
fatti, e soprattutto l’aver proposto la narrazione quasi sempre in forma
diretta, come se le vicende riguardassero il presente e non un lontano passato.
Inoltre, un finale prevedibile ma largamente auspicabile da parte dei lettori. Al
netto di tali qualità accattivanti, ma non propriamente ortodosse, il romanzo
ormai a cinque anni dalla sua prima apparizione, si lascia leggere con
interesse e senza mai annoiare, nonostante le sue mille pagine.
sergio
magaldi