Anche tra persone di
una cosiddetta “certa cultura”, sembra regnare una quasi totale ignoranza su cosa debba
intendersi per “Noachismo”. Si va da una generica informazione circa Noè e la
costruzione dell’arca per sfuggire al diluvio universale – talora in una
rappresentazione mitopoietica per trastullare i fanciulli – sino ad una
identificazione di ebraismo e noachismo, considerato quest’ultimo alla stregua
di una religione giudaica minore. Equivoco generato da un qualunquismo diffuso
ad arte, ma talora alimentato inconsapevolmente anche da fonti che,
nell’intento di distinguere la legge mosaica da quella noachide, finiscono per suscitare
l’idea di una supremazia ebraica, ancorché gravata di maggiori responsabilità:
al popolo eletto è stata data la Torah con i suoi 613 precetti, a tutti gli
altri popoli una legge di soli 7 precetti.
La mia impressione è che la distinzione,
operata quasi sempre nella massima buona fede, abbia contribuito non poco alla
scarsa diffusione del noachismo. Tant’è che anche tra i più consapevoli, ma pur
sempre inclini al pregiudizio, e persino all’interno di un certo laicismo, s’è
andata affermando l’idea che la legge noachide altro non sia che una
costruzione del Talmud, un’invenzione rabbinica per affermare o riaffermare il
primato di Israele. Il Talmud (insegnamento) è
una raccolta enciclopedica della tradizione ebraica, compilata durante un
periodo di circa ottocento anni, dal 300 a .C. al 55 d.C., in Palestina e in
Babilonia. Si compone di norme morali (Halakhah) e di materiale
narrativo di genere vario (Haggadah).
In realtà, i 7 precetti noachidi, come vedremo
più avanti, sono tutti contenuti nella Bibbia, pur non ispirandosi ad alcuna
religione ma unicamente pretendendo alla fondazione di un’etica universale basata sul diritto di natura e sui principi di civile convivenza. La legge noachide nulla ha a che vedere con la legge ebraica, per il
semplice motivo che la sua formulazione precede Mosé, la rivelazione del monte
Sinai e la nascita del popolo di Israele con Abramo, Isacco e Giacobbe. E,
benché di questi 7 precetti soltanto uno inviti ad agire e i restanti 6 si
limitino a vietare, appare chiaramente come dal loro insieme si riveli la fonte
dei diritti universali che l’umanità, anche a costo di sangue e di sacrifici,
ha progressivamente conquistato nel corso del suo lungo cammino.
Quando il Signore – narra la Bibbia – vide la
malvagità dell’uomo, si pentì di averlo creato e decise di distruggerlo insieme
a tutti gli altri esseri che popolavano la terra. Ma Noè, uomo giusto e integro
per il suo tempo, “trovò grazia ai suoi occhi” [Genesi 6,8]. Allora il Signore
invitò Noè a costruirsi, per scampare al diluvio, un’arca di legno di gofer,
parola la cui radice, in ebraico, è la stessa della parola gofrit
che significa zolfo. Arca in ebraico è Tebah, formata da una Taw [400], una Beth [2] e una He [5], vale
dunque 407, per ghematria lo stesso numero di Or Qadmon che significa “Luce primordiale”. Il termine ghematria è una metatesi della parola
greca grammatèia e si fonda sul valore numerico attribuito ad ogni
lettera dell’alfabeto. Il valore numerico dato dai cabbalisti a una singola
parola o a un’intera proposizione comporta perciò la possibilità di stabilire
analogie (sodot o ‘segreti numerologici’) cariche di significato tra
parole o intere frasi dello stesso valore numerico.
Perché il Signore scelse l’acqua e non, per
esempio, il fuoco per distruggere l’umanità indegna? Una risposta è contenuta
nel trattato Noah [Noè] dello Zohar o ‘Libro dello
Splendore’, un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica che
si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati. Il
Tetragramma è il nome del Signore nella manifestazione ed è formato da quattro
lettere dell’alfabeto ebraico: una Yud iniziale
e una Wav, separati da una prima He e da una seconda He finale. Quando sulla terra ogni ordine fu sovvertito, le lettere
maschili, Yud e Wav, si ritirarono dalla realtà manifesta e lasciarono le
lettere femminili, le due He, da
sole: la conseguenza fu che le acque superiori e le acque inferiori, che Adonai
aveva separato nei giorni della creazione, si riunissero e distruggessero il
mondo.
Noè ospiterà nell’arca, oltre ai figli e alla
moglie, il maschio e la femmina di ogni specie animale. Egli uscirà
con i suoi dall’arca dopo circa 12 mesi, una volta che il corvo si sia
accertato del calo delle acque e la colomba abbia recato nel becco la prova
della nuova viridescenza della terra.
Il Manoscritto di Graham [1726] – cosiddetto dal
maestro venerabile di una loggia londinese che lo redasse e che testimonia dell’interesse della
prima Massoneria storica per il noachismo – ci dice che nell’arca era contenuto un segreto, ma che i
figli di Noè non lo trovarono. Tutto l’episodio biblico di Noè, del resto,
parla il linguaggio ermetico o segreto. A cominciare dall’arca che troppo ricorda l’atanòr,
per continuare con i primi animali che Noè fece uscire dall’arca: il corvo,
seguito dalla colomba, secondo la massima scolpita sulla romana porta ermetica
di Piazza Vittorio, sotto il simbolo di Saturno: Quando in tua domo nigri
corvi parturient albas columbas tunc vocaberis sapiens, cioè:
‘Quando nella tua casa negri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai
chiamato saggio’. E ancora: col ramoscello d’ulivo simbolo della prima viridescenza,
poi con l’arcobaleno che, nella varietà dei suoi colori è l’annuncio
della bontà dell’Opera e perciò dell’alleanza divina e della
rettificazione; per finire con la vigna di Noè e il suo vino.
Il racconto biblico
prosegue prima con la descrizione dell’arcobaleno o ‘arco dell’alleanza’ tra il Signore
e Noè, poi con la maledizione di Noè contro suo figlio Cam e i discendenti
cananiti, forse proprio per aver scoperto il segreto. Il senso occulto
dell'ubriachezza di Noé è appunto da ricercare nel tentativo di entrare nello
stesso stato di coscienza di Adamo, ma ancora una volta la bevanda della
conoscenza si rivela troppo forte per i limiti umani. Tutto il segreto di
Noè, del resto, sembra riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo
di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e
si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di
Canaan, vide la sua nudità.
La tesi di
Graham, del resto, trova conferma anche in Zohar (I, 36a) dove è detto
che nel giardino di Eden, Eva avrebbe pigiato grappoli d'uva per darli poi ad
Adamo, e poco dopo (I,73a) che Noé si sarebbe ubriacato di quel vino non per
ripetere il peccato di Adamo ma per desiderio di conoscenza, cioè "per investigare sul peccato che era
stato del primo uomo; non quindi per aderire ad esso ma per averne conoscenza e
restaurare il mondo. Ma non vi riuscì. Pigiò i grappoli per esaminare quella
vite ma quando giunse a quel punto si ubriacò e si scoperse..."
In altri termini, pur non volendolo, Noè
commette lo stesso errore di Adamo e per questo è punito con tutta la sua
discendenza, cioè l’umanità intera. Ma il Signore ha promesso che questa volta non
ci sarà più un diluvio a distruggere la terra [Gen.9,11].
Noè si scrive in ebraico
con la lettera Nun [valore numerico 50], seguita da una .Heth [valore 8]. In
totale, dunque, Noè vale 58, e per ghematria ha lo stesso valore della frase
“Cuore del Tetragramma”. Al numero del Tetragramma che è 26 bisogna infatti
aggiungere 32 che è il valore di Lev, cuore [Lamed=30, Beth=2]. Il numero 58 è
anche il numero di Nogah, il pianeta Venere, che si scrive con la Nun iniziale,
la Ghimel [valore 3] e la He [valore 5] cioè: 50+3+5 = 58.
Sdegnato dal comportamento
di tutti gli esseri viventi, il Signore è combattuto tra la volontà di
distruggere per sempre uomini e animali e il desiderio di tentare ancora con
loro, e sceglie Noè, uomo giusto, e lo fa simbolo della speranza che ripone in
una umanità nuova che sarà formata dai “B’nai
Noach”, o figli di Noè [Ecco perché Noè è detto
“Cuore del Tetragramma”], e affida a lui e ai suoi discendenti il compito di
popolare la terra [Gen.9,1]. La ghematria del pianeta Venere sta qui a
rappresentare simbolicamente l’eros cosmico.
Nel rifondare il piano della creazione, Adonai
rivede le primitive decisioni e stabilisce una nuova alleanza. Consente, per
esempio, agli esseri umani di cibarsi della carne degli animali [Gen. 9, 3],
ciò che era stato proibito ad Adamo, quando gli aveva imposto di nutrirsi
soltanto di erba verde [Gen.1, 29-30]. Il mutato parere, che peraltro lascia
inalterati alcuni dei comandamenti già rivolti ad Adamo, origina dalla
consapevolezza che ormai “l’inclinazione del cuore dell’uomo è malvagia sin
dalla sua adolescenza” [Gen.8,21], da quando, cioè, dopo la caduta di Adamo ed
Eva, gli esseri umani indossano la veste
di pelle [Gen.3,21].
Ma Adonai impone almeno di non
cibarsi di un animale vivo, dopo averlo smembrato [Gen. 9,4] e
questo divieto costituisce una delle sette leggi noachide. E subito dopo il
Signore comanda a Noè e ai suoi discendenti, cioè all’intera umanità, di non spargere
il sangue dell’uomo, di non uccidere [Gen. 9, 5-6] e
questa è un’altra delle leggi noachide.
[SEGUE]
sergio magaldi
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