Oltre a Non
uccidere e a Non cibarsi di
un animale vivo, dei quali si è già accennato, gli altri quattro
precetti noachidi, cosiddetti negativi, perché impongono all’umanità cosa non
fare, hanno come i primi due una evidente radice biblica: Non avere rapporti sessuali
illeciti discende dalle lettere del Tetragramma – rappresentative
dell’origine maschile e femminile di ogni realtà manifesta – e dalla
conseguente sacralità del matrimonio tra l’uomo e la donna affermata in Genesi,
2,22-24, allorché nell’ultimo versetto è detto:”Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre [con chiaro
riferimento al divieto di accoppiamento all’interno della famiglia, cioè al divieto di
incesto] e si unirà alla sua donna e i
due diverranno una sola carne”. La sacralità dell’unione non comporta
tuttavia l’indissolubilità del matrimonio. Osserva giustamente in proposito
Elia Benamozegh [1823-1900] – l’ebreo livornese che molto contribuì alla
diffusione del Noachismo – : “Che l’uomo non debba separare
quel che il Signore ha unito, è indubbio, ma la questione è di sapere che cosa
il Signore ha unito o […] quel che l’uomo può veramente considerare come la sua
metà. Se egli la incontrasse sempre e
immancabilmente nell’unione coniugale, si dovrebbe dire che sciogliere questa
equivarrebbe andare contro la Volontà divina, ma poiché non è necessariamente
così, e poiché le coppie non sono sempre bene assortite, si può sostenere che è
invece per unire ciò che il Signore ha unito che talvolta è indispensabile
ricorrere a questa separazione” [E.
Benamozegh, Israele e l’Umanità,
trad.it., M.C. Morselli, Marietti, Genova, 1990, p.230. L’opera nell’originale
francese fu pubblicata postuma, nel 1914, da Aimé Pallière, allievo di
Benamozegh. La prima edizione italiana apparve solo 75 anni più tardi].
Esemplificativa a questo
riguardo è la vicenda biblica di David e Betsabea, ripresa e analizzata dal
cabbalista spagnolo Joseph ben Abraham Gikatilla [1248-1325] in Il segreto del matrimonio di David e
Betsabea.
La sacralità dell’unione
tra il maschio e la femmina comporta altresì che questo precetto noachide
comprenda anche l’obbligo di preservare l’integrità fisica del maschio [sia
umano che animale], evitandone la castrazione, come del resto quella della
femmina, condannando la pratica di ogni forma di infibulazione.
Non
commettere furti, un’altra delle sette leggi noachide, ha la sua
fonte nei versetti 16 e 17 del Genesi, allorché il Signore concede ad Adamo di
nutrirsi di tutti gli alberi del giardino, ma gli vieta di accostarsi ai frutti
dell’albero della conoscenza del bene e del male. Come ogni precetto noachide,
anche questo ha un’estensione che include altri divieti. Scrive in proposito
Benamozegh [op.cit.,p.235]:”Il furto propriamente detto non è tuttavia la sola
forma di appropriazione colpevole che sia interdetta al noachide. Va da sé che
ogni rapina o furto a mano armata non è che un’aggravante dello stesso crimine
[…]. Si renderebbero altresì colpevoli di furto il padrone che rifiutasse di
pagare al servitore il salario del suo lavoro, l’operaio che, durante le ore di
riposo nelle vigne, mangiasse l’uva del proprietario. Pure il commercio degli
schiavi è compreso nel divieto di furto. È superfluo notare quanto sia
ammirevole questa formale condanna della schiavitù, in una tale epoca e in tale
ambiente”. Vale la pena di specificare che l’ammirazione di Benamozegh,
relativa alla condanna della schiavitù, si riferisce al commento talmudico [Sanhedrin, 57b] del precetto noachide.
Non commettere idolatria è
la norma che più di ogni altra trova la sua fondazione nel racconto biblico,
perché si basa sui principi stessi del monoteismo e sui comandamenti del
Signore ad Adamo, Noè, e Mosè. Ad ogni buon conto, la prima
condanna esplicita dell’idolatria compare in Genesi 35,2, nell’esortazione che Giacobbe rivolge a tutti gli
uomini del suo seguito: «Togliete gli dei stranieri che sono in mezzo a
voi». Ma il tema ricorre in numerosi altri passi biblici: “Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù
ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare
dinanzi a tali cose e non servir loro […]” (Esodo
20, 4-6), “Ma il nostro Dio è nei cieli […] I loro idoli sono argento ed oro,
opera della mano dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno
occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno naso e non odorano, hanno
mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, la loro gola non rende alcun
suono […]” (Salmo 115,3-8). L’elenco
è ancora lungo, ma conviene soffermarsi su un aspetto del precetto, forse
troppo poco considerato. E lo faccio con le parole stesse di Benamozegh: “Ci
affrettiamo ad aggiungere tuttavia – egli scrive – che la religione noachide è
infinitamente più larga su questo punto rispetto all’ebraismo propriamente
detto. Mentre l’unità più esclusiva è rigorosamente imposta ad Israele, senza
alcuna possibile associazione di altri esseri divini, perlomeno
nell’adorazione, si ritiene invece che il gentile, purché non riconosca e non
adori che un solo Dio supremo, non commetta peccato se, nel suo culto, associa
al vero Dio altre divinità” [Op.cit., p.225]. Il rovescio della medaglia di
questo precetto e insieme di quello che segue rappresenta in nuce il principio
della tolleranza religiosa che in Occidente si affermerà sono nel XVII Secolo.
Con il comandamento di Non bestemmiare termina il discorso sui sei precetti negativi del noachide. È appena
superfluo sottolineare che questo divieto si collega al precedente, anche se il
Talmud ne fa derivare la fonte da un versetto del Levitico [24,15]:”Ogni uomo che maledirà il suo Dio, porterà la
pena del suo peccato”. Ciò significa che la legge noachide proibisce di
bestemmiare non soltanto i nomi di Adonai, ma anche quelli delle diverse
divinità del passato e del presente, nelle quali è dato comunque rintracciare
gli sparsi frammenti del divino.
Accanto ai precetti negativi,
l’unico precetto positivo imposto al noachide è quello di Costituire tribunali, ciò che rappresenta anche la logica conseguenza degli altri sei, ma è
anche e soprattutto la garanzia di distinguere la condanna morale da quella
giuridica, e di essere giudicati con giustizia ed equità in forza della
certezza del reato e non sulla base di semplici prove indiziarie o, peggio
ancora, per ragioni faziose e/o politiche. Un principio che a noi pare scontato
e che tuttavia scontato non è perché implica l’affermazione dei principi del
liberalismo e della democrazia che, com’è noto, trovarono una prima attuazione
solo in epoca moderna, con la Petition of Right che nel 1628 il Parlamento Inglese
invia al re Carlo I. Promossa da Sir Edward Coke, la Petizione contiene
quattro principi di cui il secondo, ribadendo un’affermazione già contenuta
nella Magna Charta, nota come “habeas corpus”, stabilisce che nessuno possa
essere imprigionato senza una prova certa. Com’è noto, occorrerà ancora
attendere le due rivoluzioni inglesi, l’illuminismo, la rivoluzione americana e
la rivoluzione francese perché nella Storia entri a pieno titolo il discorso
sui diritti umani e di questa azione riformatrice e rivoluzionaria saranno
protagonisti molti massoni illuminati. Si comprende così perché James Anderson,
nelle Costituzioni massoniche del 1738, sostenesse che il Noachismo aveva
contribuito al perfezionamento dei liberi muratori.
Nei sei precetti negativi
(divieti di bestemmia e idolatria, divieti di natura sessuale, divieti di
disporre della vita e della proprietà altrui, divieto di crudeltà nei confronti
degli animali) e nell’unico precetto positivo (istituzione dei tribunali di
giustizia), di cui si compone il biblico
patto noachide, si intravedono, dunque, i principi del moderno giusnaturalismo,
fondamento del liberalismo e della democrazia. Se si prescinde dal loro
riferimento mitopoietico e teologico, ci si accorge che i precetti noachidi
sono innanzi tutto norme di diritto naturale condivisibili per tutte le fedi
religiose, semplicemente perché non hanno in se stesse nulla di religioso e
persino quel riferirsi al divieto di bestemmia e di idolatria, lungi dal
rappresentare una qualche forma di “costrizione” teologica, esprimono piuttosto
il principio della tolleranza religiosa e l’invito alla ragione umana di non
abbassarsi ad adorare feticci.
Proprio come
i principi del diritto naturale, i sette precetti noachidi si caratterizzano,
per così dire, per la loro elasticità e quindi per la loro capacità di
evolversi e al tempo stesso restare immutabili, come già ricordava l’ebreo
Benamozegh al cattolico e discepolo Pallière. Così, per esempio, dal divieto di
uccidere discende il precetto positivo di salvare una, cento, mille vite, come
fecero coloro che, a buon diritto, nel
triste e funesto tempo dell’olocausto, furono detti giusti tra le nazioni.
sergio magaldi
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