Il MOVIMENTO ROOSEVELT [MR] lancia un’iniziativa lodevole in occasione del voto
del prossimo 4 Dicembre sul Referendum Costituzionale: ha creato un sito
apposito www.referendumsiono.it dove in sintesi rapida ma efficace sono elencate le conseguenze derivanti dal voto degli elettori [Sì o No] sull’intero
Referendum, con la possibilità per i cittadini di interagire, esprimendo il
proprio parere. Si badi bene, si tratta solo di conseguenze costituzionali, non politiche – sulle quali ultime ogni
cittadino è libero di farsi le idee che crede – e pertanto non soggette a
valutazioni soggettive. In più, si riportano le principali obiezioni degli uni
contro gli altri, senza tuttavia mai intervenire in merito. Un pregio non da
poco, questo, visto che ogni altra simile iniziativa si dilunga nel tentativo
di “tradurre” per intero il difficile e talora incomprensibile linguaggio dei
politici-costituzionalisti e/o prende decisamente posizione per l’uno o l’altro
“partito”. Il senso di questa operazione lanciata dal Movimento Roosevelt, al
di là del voto sicuramente differenziato dei suoi militanti, sta tutto nella
natura del movimento che, per bocca del suo Presidente, dichiara esplicitamente
che tra i suoi fini c’è innanzi tutto quello di informare i cittadini mediante
una sorta di pedagogia della politica
[vedi in proposito: https://www.youtube.com/watch?v=HrYgEwhiACY].
Ebbene,
il sito appositamente creato dal MR affronta la questione, passando al vaglio i
sei “Grandi temi della Riforma” e cioè:
1°
Il Bicameralismo perfetto o paritario [Punto già esaminato nel post: RIFORMA COSTITUZIONALE: 1° IL BICAMERALISMO PERFETTO. Clicca sul titolo per
leggere]
2°
Riforma del Senato [Punto già esaminato nel post: RIFORMA COSTITUZIONALE: 2° RIFORMA DEL SENATO. Clicca sul
titolo per leggere]
3° Elezione del Presidente della
Repubblica
4°
Abolizione del CNEL [Consiglio Nazionale Economia e Lavoro]
5°
Riforma del Titolo V della Costituzione, sulle competenze di Stato e Regioni
6°
Riforma sui Referendum abrogativi e leggi di iniziativa popolare.
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L’elettore sa che con un Sì approva l’intero “pacchetto”, mentre con un No lo respinge in blocco, lasciando inalterato l’attuale dettato
costituzionale sulla materia. I radicali avevano lanciato la proposta di
“spacchettare” i temi della Riforma, lasciando i cittadini liberi di esprimersi
su ciascuno di essi. Il Parlamento, tuttavia, non ha recepito la proposta, sia
da parte dei sostenitori del Sì che
da quella dei sostenitori del No.
L’eventuale “spacchettamento” avrebbe sicuramente impedito l’attuale disputa in
stile “Guelfi-Ghibellini”, ma le opposizioni avrebbero perso l’occasione di
costringere il governo Renzi a dimettersi nell’eventualità della vittoria del
No, mentre i partiti di governo, abbastanza sicuri di vincere sui punti 1° e
4°, avrebbero rischiato su tutti gli altri e in particolare sul Titolo V che,
insieme al superamento del bicameralismo perfetto, è il punto nevralgico
dell’intera proposta di riforma costituzionale. In più, occorre riconoscere che
appare abbastanza problematico, se non addirittura arduo, separare tra loro i
primi tre punti della riforma, essendo chiara la loro stretta interdipendenza.
Ho sin qui esaminato le implicazioni
riguardanti il 1° e il 2° punto della Riforma. Procedo ora con l’analisi di ciò
che è scritto nel sito citato a proposito del 3° punto: ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
SE VOTI Sì
Il Presidente della Repubblica verrà
eletto dal Parlamento in seduta comune, ma non vi parteciperanno più i delegati
delle Regioni (visto che i nuovi senatori saranno scelti dal territorio).
Nelle prime tre votazioni, serviranno
ancora i 2/3 degli aventi diritto (circa 500 elettori) per eleggere il
Presidente. Dalla quarta votazione fino al 6°scrutinio sono necessari i 3/5
degli aventi diritto al voto (circa 440 elettori); dal 7° in poi, la
maggioranza dei 3/5 dei votanti (cioè quelli che sono presenti e votano
effettivamente).
Il Presidente della Repubblica potrà,
sentito il suo Presidente, sciogliere la sola Camera dei Deputati (e non più il
Senato).
Durante l’assenza del Presidente
della Repubblica, a farne le veci sarà il Presidente della Camera.
SE VOTI No
Il Presidente della Repubblica è
eletto dal Parlamento in seduta comune (Camera e Senato). Alle’elezione
partecipano anche dei delegati regionali, in modo che sia assicurata la
presenza delle minoranze.
L’elezione del Presidente della
Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi
dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta
dei votanti (50% +1).
Il Presidente della Repubblica può,
sentiti i loro Presidenti, sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di
esse.
Durante l’assenza del Presidente
della Repubblica, a farne le veci è il Presidente del Senato.
Per i primi due punti della Riforma, sin qui
esaminati [clicca sui punti sopra sottolineati per leggere], le differenze di
prospettiva, tra i sostenitori del No
e quelli del Sì sono immediatamente
visibili: tra chi vuole continuare con due Rami del Parlamento dagli identici poteri, mantenendo inalterato
il numero dei senatori retribuiti [No]
e chi vuole differenziare i poteri di Camera e Senato, ponendo fine, dopo 70
anni al bicameralismo perfetto o paritario, ad un lungo, complesso e niente
affatto sicuro procedimento per l’approvazione delle leggi, nonché risparmiare
sulla retribuzione di 315 senatori, sostituiti da 100 senatori, non retribuiti
per questa specifica funzione ed eletti solo indirettamente dal popolo [Sì].
Diversamente si propone la questione circa
l’elezione del Presidente della Repubblica. Le ragioni del No e quelle del Sì a
prima vista sembrano risibili: con la Riforma, il Parlamento è convocato in
seduta comune, esattamente come avviene oggi. Tuttavia, in conseguenza dei
primi due punti [eliminazione del bicameralismo perfetto e riforma del Senato],
la composizione dell’elettorato, rispetto al presente, muta sia in qualità che
soprattutto in quantità. Infatti, con la Riforma, il numero dei senatori si
riduce di 215 unità [315 oggi, 100 con la Riforma], determinando un nuovo rapporto
tra senatori e deputati: attualmente “i grandi elettori” del Presidente della
Repubblica sono circa 1010, infatti ai 630 deputati si aggiungono circa 380
membri del Senato [calcolando oltre ai 315 senatori eletti, i 58 rappresentanti
delle regioni e i senatori a vita] con una percentuale di circa il 62,4% per la
Camera e del 37,96% per il Senato. Con la Riforma, il numero dei cosiddetti
grandi elettori si riduce a 735 [630 deputati e 105 senatori, calcolando anche
i senatori a vita] e le percentuali di rappresentanza tra Camera e Senato diventano
rispettivamente: 85,8% per la Camera e 14,2% per il Senato. Questo diminuito
numero di senatori, rispetto ai deputati, nel determinare l’elezione del
Presidente è l’argomento principe utilizzato dai promotori del No, in quanto si sostiene che ad
eleggere il Presidente sarebbero in realtà i deputati, mentre i senatori
avrebbero una funzione meramente decorativa. E, in apparenza, lo si sostiene
con qualche ragione. Se si approfondisce il discorso, tuttavia, si vede che,
anche se nelle prime tre votazioni occorrono all’incirca 674 grandi elettori per
determinare l’elezione - un numero di poco superiore rispetto ai 630 deputati aventi
diritto al voto - a partire dalla quarta votazione e nelle successive, il
numero dei deputati sufficiente ad eleggere il Presidente diminuisce a poco
meno di 510 elettori, cifra di gran lunga inferiore ai 630 dei deputati aventi
diritto al voto. Dunque, se si resta in questa logica, puramente teorica e
niente affatto politica, anche oggi si può tranquillamente affermare che
l’elezione del Presidente della Repubblica è determinata unicamente dai
deputati. Infatti, solo con Cossiga e con Ciampi [oltre che con Enrico De
Nicola, primo Presidente della Repubblica tra il gennaio e il maggio 1948,
eletto quasi per acclamazione con 405 voti su 435, dopo essere stato capo
provvisorio dello stato dal luglio del 1946] si ebbe l’elezione del Presidente
al primo scrutinio e perciò a maggioranza qualificata, con un numero che comprendeva
di necessità anche il voto dei senatori [752 voti su 1011 per eleggere Cossiga,
707 su 1007 per eleggere Ciampi], ma in tali casi fu decisivo non già il numero
dei senatori, bensì l’accordo tra i partiti trovato per via extraparlamentare e
determinato dalla contingenza politica e dalle logiche di spartizione del
potere.
C’è in più, forse in favore della Riforma, la
considerazione che i nuovi senatori non sarebbero come gli attuali, espressione
della stessa base sociopolitica che elegge i deputati. D’altra parte, cosa accadrebbe
con la Riforma? Certo, i deputati, ove si trovassero d’accordo [ipotesi
politicamente impossibile] potrebbero eleggere il Presidente sin dalla prima
votazione, occorrendo poco più di 490 voti su 735. Dal quarto e sino al sesto
scrutinio ne occorrerebbero circa 442 e solo dal settimo in poi sarebbero
sufficienti i 3/5 dei presenti in aula e non degli aventi diritto, con quel
rischio, tutto teorico, che in tal caso, la legge elettorale attualmente in
vigore per l’elezione dei deputati [italicum],
darebbe alla lista che abbia ottenuto il premio di maggioranza di 340 deputati lo strumento per eleggere
praticamente da sola il Presidente. Ipotesi pretestuosa e puramente di scuola,
perché presuppone che siano assenti dalla
votazione più di 100 grandi elettori dell’opposizione.
In conclusione si può dire che, ove la Riforma
fosse “spacchettata”, non vi sarebbe un gran vantaggio nel votare Sì piuttosto che No, perché poco o nulla si modificherebbe nella sostanza. Ma se il
4 Dicembre si andrà a votare per l’intero pacchetto, non c’è dubbio che votare Sì sarebbe la diretta conseguenza
dell’aver considerato favorevolmente i due precedenti punti della Riforma,
mentre votare No significherebbe
esattamente il contrario.
sergio
magaldi
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