Da Carlo Magno [742-814] a Ottone il Grande
[912-973], da Ottone il Grande, re di Germania, a Massimiliano I d’Asburgo
[1459-1519], da Massimiliano I ad Angela Dorothea
Kasner Merkel [1954-?], Cancelliera tedesca da 12 anni,
c’è una continuità politica del continente europeo che più che guardare
all’Europa dei popoli, ad una Confederazione tra le nazioni europee o ad una
Federazione Europea o agli Stati Uniti d’Europa, sembra sempre più ispirarsi
alla tradizione del Sacro Romano impero
della nazione germanica, ufficialmente decaduto solo nel 1806 per volontà
del “Cesare progressivo”, come fu chiamato da Gramsci Napoleone Buonaparte o
Bonaparte, secondo il suo cognome francesizzato, [1769-1821] che poco aveva di
germanico, essendo nato in Corsica da genitori italiani.
Prima della metà del secolo scorso la
restaurazione del Sacro romano impero della nazione germanica fu già tentata da Adolf Hitler [1889-1945], ma il Führer lo fece in modo sgangherato ricorrendo alle armi,
con l’aiuto del capitalismo classico e col massacro di milioni di ebrei [che
secondo il Museo
dell'Olocausto di Washington non furono “soltanto” i sei milioni
uccisi nei campi di concentramento, ma complessivamente tra i 15 e i 20 milioni
se si considerano le oltre 42mila strutture create in tutta l’Europa per
sterminare gli ebrei]. Con la nascita della UE
[Unione Europea], la Germania ha di fatto restaurato nel continente europeo
quell’impero che Napoleone aveva abbattuto due secoli prima e lo ha fatto:
1)Riunificando il proprio Paese a spese della comunità europea. 2)Grazie
all’apporto del capitalismo finanziario. 3)Con l’appoggio della Francia, suo
principale Vassallo. 4)Togliendo la sovranità monetaria ai paesi dell’Unione.
5)Imponendo in tutta Europa il pareggio di bilancio e una politica di austerità
che rende i governi nazionali – a prescindere dalle forze politiche che ne
facciano parte – meri esecutori di un impero centralizzato e globalizzato la
cui anima è rappresentata dalla BCE [Banca Centrale Europea] con sede in
Germania, a Francoforte sul Meno. 6)Distruggendo le economie nazionali a
proprio vantaggio. 7)Strutturando il territorio europeo in tanti feudi con
stati vassalli, valvassori e valvassini, senza tuttavia lasciar sopravvivere quell’economia curtense che caratterizzò
positivamente l’alto Medioevo.
È più che mai comprensibile che in questo
feudalesimo di ritorno trovino spazio, all’interno degli stati nazionali
europei, spinte autonomistiche e indipendentistiche con l’obiettivo di
instaurare direttamente un rapporto con l’UE, vista ormai la manifesta
impotenza delle nazioni a decidere sulle scelte di politica economica e sociale
e che per converso si traduce in un maggiore “sfruttamento” delle risorse locali
a vantaggio di una nazione sempre più impoverita dalla necessità di far
quadrare i propri conti in ossequio alle ristrettezze imposte dall’impero
teutonico. D’altra parte – al di là di qualche fuga in avanti rappresentata da
movimenti e partiti politici che per motivi elettorali si spingono sino a
chiedere l’uscita dall’euro e/o dall’Europa – le autonomie consolidate, che per
antica vocazione hanno una qualche possibilità di coniugare il verbo
dell’indipendenza, si guardano bene dal dichiarare di voler prescindere dalla
moneta unica e dall’Europa. È il caso ultimo della Catalogna che, volendo
separarsi dalla Spagna, non ha mai smesso di innalzare nei giorni scorsi,
insieme alla bandiera con stella e strisce giallorosse, anche la bandiera blu
dell’Europa con il cerchio a 12 stelle. E questo è un punto di forza, ma anche
di debolezza delle aspirazioni indipendentistiche. Perché se da una parte tende
a rassicurare l’Europa e il Mercato, dall’altra non guadagna il favore di
quella parte, sempre più consistente, dell’opinione pubblica europea che non
vede, come per esempio, nella dichiarazione di indipendenza della Catalogna una
sfida a Eurogermania, ma semplicemente un anelito egoistico e di parte. Il
rovescio della medaglia è che, almeno in questa fase storica, l’UE tedesca con
stampella francese e corteo di servili vassalli europei non può permettersi di assecondare le aspirazioni
all’indipendentismo di regioni controllate dagli stati che dell’Unione
fanno parte, per almeno tre ordini di motivi:1)Non scontentare i propri fedeli
vassalli rischiando imprevedibili colpi di testa da parte loro. 2)Garantire il
più possibile, attraverso il controllo nazionale, la tenuta dell’intero
sistema. 3)Evitare assolutamente che dietro le aspirazioni indipendentistiche
di alcune regioni europee si nascondano e/o possano manifestarsi col tempo ben
altre intenzioni, quale soprattutto la messa in questione delle attuali
politiche economiche e sociali imposte a tutto il continente dall’impero europeo della nazione tedesca.
E tutto ciò con buona pace dei soliti
complottisti che hanno creduto di vedere, nei recenti avvenimenti catalani,
addirittura lo zampino dell’UE per mettere in crisi la Spagna, lanciata verso
una crescita del proprio prodotto nazionale lordo ben superiore a quella di
tutti gli altri paesi europei. Crescita che peraltro non ha ridotto la
disoccupazione [ben superiore a quella dell’Italia e di altri stati], né
implementato i bassi salari e le esigue pensioni [2500-3000 euro è l’ammontare
massimo delle pensioni più ricche elargite dal sistema pensionistico spagnolo],
né incrementato i consumi, né ridotto l’indebitamento con le istituzioni
internazionali e neppure risolto la crisi politica che si trascina da tre
elezioni politiche generali con un governo neofranchista che si regge
sull’astensione dei socialisti del PSOE e che spera con Rajoy in una prossima e
schiacciante vittoria elettorale per il pugno duro usato contro i catalani.
sergio magaldi
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