domenica 23 febbraio 2020

MAZAL TOV, parte VII (L'astrologia e gli autori, 2)



SEGUE DA:

MAZAL TOV, parte I   (L’astrologia nella Torah)

MAZAL TOV, parte II  (L’astrologia nella Bibbia)

MAZAL TOV, parte III (L’astrologia nella Bibbia,2)

MAZAL TOV, parte IV  (L’astrologia nel Talmud)

MAZAL TOV, parte V   (L’astrologia nel Talmud, 2)

MAZAL TOV, parte VI  (L’astrologia e gli autori)



Tra Mashallah e Abraham bar Hiyya, cronologicamente, si colloca Ibn Gabirol detto Avicebron (1020-1057), poeta e filosofo di Saragozza che nel poema Kether Malchuth (“La Corona del Regno”) esalta la bellezza degli astri senza entrare nel merito dei loro effetti benefici o malefici. Più o meno contemporaneo di Abraham bar Hiyya è invece Yehudah ben Samuel ha Lewi (1075-1141), castigliano, medico, teologo, filosofo e poeta. Scrisse in arabo il notissimo Il re dei Kùzari, tradotto in ebraico solo trent’anni più tardi. I Kùzari erano una popolazione situata nella regione compresa tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il re dei Kùzari si convertì all’ebraismo nell’ottavo secolo e a un suo discendente riuscì di diffondere la religione ebraica tra le classi aristocratiche. Nel libro, che si articola sottoforma di un dialogo tra un re dei Kùzari e un saggio, l’autore si occupa di astrologia soprattutto esponendo il contenuto del Sepher Yetzirah, di cui parlerò più avanti. Nel dialogo che segue si delinea con sufficiente chiarezza il punto di vista di Yehudah. Egli ritiene incomprensibile per l’uomo una reale e autonoma influenza di astri e pianeti:

Re dei Kùzari: Se è così, vedo che riconosci il dominio delle ore e dei luoghi come fanno gli astrologi.

Saggio: Forse neghiamo loro che le cose superne abbiano influenza sulle cose terrestri? Noi ammettiamo che la materia della generazione e della corruzione proceda dalle sfere; però le forme sono di colui che le governa, e che stabilì come strumenti per la conservazione di tutte le cose che Egli vuole che esistano senza che noi possiamo conoscere i loro particolari, mentre l’astrologo dice che le comprende, ma noi gli neghiamo ciò, e stimiamo che una creatura di carne e di sangue non le può comprendere; e se di questa scienza si trovasse qualcosa che fosse fondata nella scienza legale divina, l’ammetteremmo; e la nostra mente è soddisfatta per ciò che riguarda le cose della scienza degli astri delle parole dei nostri savi, perché crediamo che le abbiano ricevute per virtù divina, e che perciò sono vere; e se non è così, tutte le cose (che dicono gli astrologi) sono (soltanto) considerazioni, e le sorti (tratte dall’osservazione) del cielo sono meno ancora attendibili di quelle dei geomanti” [1].

In conclusione, Yehuda ha-Lewi sembra avere una certa riluttanza nei confronti dell’astrologia e sente come un privilegio il fatto che Israele non sia soggetta all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel).

Al contrario, Abraham ben meir Ibn Ezra (1092-1168), ritenuto il più noto astrologo ebreo e autore tra l’altro di una Enciclopedia astrologica, non considera una fortuna che Israele sia senza mazal (astro) e gli attribuisce invece il pianeta Saturno e il segno dell’Acquario [2], mentre la Palestina è per lui collegata a Marte per via dei sacrifici cruenti, il capro espiatorio, la circoncisione ecc…, tutte pratiche volte ad esorcizzare il sentimento della collera. Ezra è convinto che astri e pianeti non fanno altro che compiere la volontà divina e che, d’altra parte, la loro posizione nel cielo determini il destino materiale degli individui, non quello spirituale [3]. L’atteggiamento di Ezra mira, in definitiva, a conciliare l’astrologia con la Torah ed egli arriva addirittura a collegare i comandamenti divini (ad eccezione del primo: Io sono il Signore tuo Dio) alle orbite celesti.

Un atteggiamento anti-astrologico e talora anti-talmudico, per ciò che diversi trattati del Talmud considerano l’astrologia con una certa benevolenza, è invece quello di Maimonide [4]. Sull’astrologia, egli scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così scrive agli yemeniti: “ Noto che siete inclini a credere nell’Astrologia e all’influenza delle congiunzioni planetarie, passate e future, sugli eventi umani. Dovete scacciare tali idee dalla vostra testa (…) I veri saggi, che siano o no religiosi, rifiutano di credere nella verità di questa scienza. I suoi postulati possono essere respinti con vere prove e su base razionale…” [5].

Nell’Epistola ai rabbini di Provenza del 1194, Maimonide polemizza con l’astrologia oraria la cui pratica era diffusa nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e rispolvera l’idea che, in fondo, l’astrologia altro non sia che astolatria [6].


sergio magaldi

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[1] Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Boringhieri, Torino, 1991, p.209. Di seguito si fornisce qualche dato sul contenuto del libro: Divisione dell’opera (pp.10-12)- Il re (p. 19)- I Kuzari (nota 4 pp.8-9) - Critica della concezione aristotelica dell’eternità del mondo (pp.37-38-193-212-272) - La materia prima dei filosofi aristotelici (p.246-7)- Contro Epicuro e la casualità del mondo (p.250 e cfr. Salmo 104) - L’essere ebreo(p.63)- la lingua ebraica (p.111) - prescrizioni rituali (p.132) - I Caraiti (nota 1 p.9 e tutta la parte III) - Il nome di Dio: Elohim-Tetragramma-Adonai (pp. 193-195-197-214-215-216-217) – astrologia (p.209-218-235) - Il Sepher Yezirah (pp.223 e ss.)

[2] Cfr. J. Halbronn, cit. parte I, p. 214. Sulla figura e sull’opera di Ibn Ezra cfr. ibid., p. 163 e ss.

[3] Cfr. O.Pompeo Faracovi, cit. parte I, p.178, nota 20 compresa

[4] Mosè Maimonide (1135-1168) cordovese, medico e filosofo di grande fama. La sua maggiore opera è La Guida degli smarriti, terminata di scrivere in arabo nel 1190 e tradotta in ebraico nel 1204. La sua vasta opera è in realtà l’interpretazione della legge ebraica (Halakhah) e dei fondamentali concetti biblici secondo il metodo aristotelico, anche se egli non concorda con Aristotele circa l’esistenza ab aeterno del mondo. Nella maggior parte dei casi – dice Maimonide – non c’è contraddizione tra fede e ragione, in altri casi anche se la ragione non è in grado di provare alcune verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle tesi opposte. “Io credo –dice Maimonide- (GuidaI, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio consiste nello stabilire l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità coi procedimenti dei filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo. Ciò non perché io creda all’eternità del mondo o faccia a questo proposito qualche concessione; ma perché soltanto con questo metodo la dimostrazione diventa sicura e si ottiene certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è uno 3) che è incorporeo, senza che importi decidere nulla rispetto al mondo cioè se esso sia eterno o creato…” Più avanti, tuttavia (Guida II, 19), Maimonide nega la necessità dell’Essere e dunque l’eternità del mondo dicendo che il mondo avrebbe potuto essere diverso da quello che è e se, dunque, è quello che è, ciò è dovuto ad una libera scelta di Dio, una scelta creatrice:“Se al di sotto della sfera celeste vi è tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua saggezza egli ha effettuata la cosa”.

[5] Mosé Maimonide, Epistola allo Yemen, cit. in J. Halbronn cit. parte I, p.235. La traduzione dal francese è mia.

[6] Cfr. sull’Epistola ai rabbini di Provenza, J. Halbronn, cit. parte I, pp.237 e ss.


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