Certo, il 2-1
ha dato nuove speranze ai rossoneri, ma prendere altri
tre goal nello spazio di poco più di un quarto d’ora si spiega solo con un
blackout. Non si tratta però di un blackout “inspiegabile” come ha detto Sarri,
ma di un crollo spiegabilissimo, frutto di errori individuali e di tutto il
collettivo: il pari nasce dal “salto”, uno dopo l’altro, dei quattro difensori,
il 3-2 è una papera del portiere che prende goal sul proprio palo e il 4-2 è la
conseguenza di un enorme errore di Alex Sandro che rinvia corto su un
avversario appostato ai limiti dell’area juventina: un tocco appena per Rebic che
da pochi metri batte a rete,
praticamente un calcio di rigore in movimento. Se tre delle reti della
sconfitta hanno nome e cognome (l’arbitro, nonché portiere e terzino sinistro
della Juve), assumendo le sembianze di errori individuali, è la squadra nel suo
complesso, prima di tutto con il suo centrocampo, a crollare permettendo la
rimonta del Milan.
Del resto, anche le reti juventine erano nate da imprese
individuali: Rabiot che percorre tutto il campo driblando gli avversari e batte
a rete, Ronaldo che pescato da un lancio sulla trequarti rossonera, infila con
la consueta maestria la porta di Donnarumma. Il fatto non è nuovo: la Juve va
in goal per le giocate individuali dei suoi tanti campioni, non come
conseguenza del suo gioco lento e manovrato, per lo più sterile. Sarebbe
tuttavia sbagliato attribuire a Sarri la colpa di non essere riuscito a dare ai
bianconeri il gioco scintillante che aveva saputo dare al Napoli. A Torino ha
trovato una squadra già strutturata, da cinque anni educata al credo calcistico
di Allegri, credo vincente ma per nulla spettacolare. In circa sette mesi
(considerando la pausa del coronavirus), forse nessuno avrebbe potuto fare di
più e se non altro egli è riuscito a spostare in avanti il baricentro della
Juve e soprattutto a riconvertire Dybala in un vero attaccante, dopo che per
anni l’asso argentino è stato sacrificato in un ruolo non suo. Restano alcuni
errori: uno su tutti quello di pretendere da Cuadrato di portare la croce:
costringendolo a correre in su e in giù per tutto il campo per difendere e
contemporaneamente rilanciare la manovra offensiva. Forse perché, nonostante la
cosiddetta ampia rosa, nel ruolo di esterno basso (a destra come a sinistra),
la Juve non ha alternative affidabili. E resta l’errore di Martedì notte.
Giunti a mezz’ora dal termine della settima partita (le due di Coppa Italia e
le cinque di Campionato), tutte e sette giocate nello spazio di 20 giorni più o
meno con gli stessi giocatori, stai vincendo per 2-0, hai quasi lo scudetto in
tasca e non fai ancora i cambi necessari a far rifiatare la squadra e a dare
nuovo slancio e freschezza per portare a termine la partita? In più, senza
tener conto dei molti cambi degli avversari, con giovani forse ancora poco
conosciuti ma veloci come il vento? I cambi ci saranno ma solo troppo tardi e anche
sbagliati. Così, dopo le assenze per infortunio, il rientro affrettato in campo
di Alex Sandro sancirà la sconfitta definitiva. Così, dovendo cercare il goal,
tenere in campo Bernardeschi e fare uscire Higuain che, oltretutto, per
rientrare in forma ha bisogno di giocare. Insomma, la Juve di martedì notte è
crollata fisicamente, ancorché gli errori individuali ne abbiano causato la
sconfitta. Altro che blackout inspiegabile! Adesso, molto del nono scudetto
consecutivo della Juve dipende dalla sfida di domani sera contro l’Atalanta,
sin qui sempre vincente dalla ripresa del Campionato. Non sarà facile.
sergio magaldi
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