Quando
i creditori internazionali del nostro Paese d’accordo tra loro, richiederanno
simultaneamente dai mercati la restituzione del credito pubblico italiano, dove
reperirà il governo i capitali che non possiede?
di Alberto Zei
Ancora nel caos decisionale sull’accettazione o
meno, del contributo europeo di ripresa, ossia del MES. Le decisioni conclusive
del sì o del no stanno attualmente dividendo gli ottimisti del “momento
fuggente” dai profeti delle conseguenze
negative di fronte all’inevitabile sindacato di controllo della Banca europea
sulla destinazione di uso e sulla garanzia di restituzione del prestito.
Il reale pericolo di una recrudescenza del coronavirus non dovrà
però, sorprenderci in una condizione di
inadempienza circa la restituzione dei crediti ricevuti. Né d’altra parte,
sarebbe logico fasciarsi la testa prima di romperla. E allora il rimedio? “Ubi malum, ibi remedium” dicevano a
Roma. Vediamo prima come stanno attualmente le cose.
C’era una volta
L’Italia fa continuamente fronte alle risorse
finanziarie che non possiede, attingendo mediante apposite aste soprattutto dall’estero, il capitale per pagare gli interessi del debito pubblico. Dal
momento però che le modalità della aggiudicazione d’asta sono castiganti per
gli interessi a cui si è volontariamente sottoposta, il primo rimedio è quello
di interrompere la spirale perversa del dispositivo che incrementa con questi
stessi interessi, il debito complessivo.
C’era una volta un film che si intitolava: “ Attenti a quei due “;
titolo questo che a prescindere dalle idee politiche di ciascuno, richiama la
disinvolta gestione dei due partiti attualmente al governo, troppo diversi per
riuscire insieme ad operare in modo non contraddittorio.
Il danno che si profila all’orizzonte dell’Italia non è di carattere ideologico ma di reale
pesante natura finanziaria. Tenuto conto però, che lo Stato siamo tutti noi, il
capitale di cui il governo intende disporre soprattutto per impieghi senza
ritorno, riguarderà alla fine le disponibilità economiche degli italiani.
La sfida del governo
Il progressivo indebitamento pubblico verso l’estero
che in specie in questo periodo viene accumulato dal governo quasi in senso di
sfida verso chi la pensa al contrario, senza
farci soverchie illusioni, dovrà essere
restituito con i relativi interessi.
Dunque, messa da parte la pericolosa speranza di
fare affidamento su elargizioni europee a fondo perduto, nella realtà dei fatti
il Governo continuerà a ricorrere
a pericolosi prestiti internazionali che aumenteranno sempre più anche
la mole degli interessi da corrispondere periodicamente.
In queste condizioni la faticosa economia di valuta
che i cittadini italiani per loro indole di risparmiatori hanno affidato alle
casse delle banche, rischia sempre più di essere impegnata e impiegata per
situazioni che, come la Grecia insegna,
potrebbero all’improvviso esplodere a fronte di una simultanea richiesta di
restituzione da parte dei creditori esteri.
Il tempo critico
Il problema della potenziale insolvenza si
verificherà quando alcuni Stati
acquirenti presenteranno congiuntamente sul mercato i titoli italiani,
facendo aumentare in modo critico il famigerato spread, così come è avvenuto
allorquando Francia e Germania nel 2015, decisero di mettere in serissima crisi
il governo italiano imponendogli di fatto, come poi avvenne, una diversa guida
politica.
Si potrebbe continuare senza necessità di alcuna
immaginazione ad elencare le possibili conseguenze per il nostro Paese se
continuerà a indebitarsi ulteriormente per pagare i debiti esteri, vantando poi
paradossalmente di aver saputo superare le resistenze dell’Europa, mentre il
passivo nazionale sta avviandosi allegramente al superamento dei 2500
miliardi di euro.
Allo stato delle cose il debito pubblico è arrivato
alle stelle e sempre più sarà difficile liberarsene se il sistema di
indebitamento rimarrà il medesimo.
Ma qual è il sistema? Quello di ricorrere alle
sovvenzioni internazionali attraverso un metodo aberrante.
Le aste internazionali
Entrando nel merito dell’indebitamento, vediamo
come questo avviene.
Lo Stato non potendo onorare la restituzione ai
creditori di quanto loro è dovuto,
chiede ulteriori prestiti agli istituti finanziari, soprattutto esteri mediante
aste per pagare almeno gli utili finora maturati.
Si tratta di circa 65 miliardi di euro di soli interessi che l’Italia corrisponde
ogni anno ai creditori. Consideriamo però che quasi la metà di questa cifra è
destinata all’estero. Vediamo ora come avviene la distribuzione dei titoli in
asta che, come detto, vengono offerti soprattutto per onorare il versamento
degli interessi alle varie scadenze.
Supponiamo di vendere una certa quantità di titoli
per una quindicina di miliardi. Anziché offrire agli acquirenti la base degli
interessi che saranno corrisposti, accade il contrario. Infatti, è l’Italia che
chiede
ai creditori di fissare loro questo valore per i vari lotti in cui
viene suddivisa la cifra complessiva.
Supponiamo ora che il primo lotto di qualche
miliardo di euro venga aggiudicato al tasso dell’1,5% e il secondo al 2,5% e
così via fino all’ultimo acquistato al tasso del 4%.
L’Italia non paga a ognuno il suo, ma a tutti il valore di asta dell’ultimo
che è anche il più alto, incrementando a vantaggio anche degli acquirenti già
soddisfatti, il debito pubblico nazionale.
La doppia speculazione
Trattando la questione dal punto di vista teorico, per
venirne fuori viene ipotizzato da più parti che la prima cosa da considerare
sarebbe quella di impedire questa sorta di doppia speculazione di coloro che
si avvantaggiano ulteriormente per merito altrui.
La seconda sarebbe quella di rivolgersi agli stessi
italiani che non amano investimenti rischiosi e che si fanno erodere dalle
banche i propri risparmi a fronte di rendimenti inesistenti o addirittura
negativi. Pertanto, in linea con questa tradizionale propensione al
risparmio, come avveniva nel passato con i
CTT e soprattutto con i BOT, sarebbero gli stessi italiani per il
mantenimento del valore dei risparmi a sottoscrivere anche per un
interesse minimo quelle stesse offerte di decine di miliardi che come detto prima, incrementano il baratro del
nostro indebitamento, oltre alla potenzialità dirompente della simultanea
richiesta di restituzione da parte dei
creditori internazionali.
Il valore critico
Almeno in quota parte, i titoli
che comportano a favore dei creditori esteri ogni anno 30 miliardi di euro di interessi e
che sottraggono valuta dalle disponibilità del nostro Paese, rimarrebbero in ambito nazionale.
Le ragioni per le quali chi potrebbe non interviene
per bloccare questa politica dell’indebitamento ad oltranza, ognuno può
immaginarle secondo i propri convincimenti.
Una cosa però è certa e che tutti noi dobbiamo convenire
che quando l’indebitamento avrà raggiunto il valore critico, la contemporanea
emissione sul mercato dei titoli acquistati dai nostri creditori internazionali
metterà lo Stato in una posizione di insolvenza. In questo caso l’unica
possibilità per il governo del momento che rimarrà con il cerino acceso in
mano, sarà quello di attingere dai risparmi bancari dei cittadini
ciò che serve, così come fece il governo Amato nell’81, oppure
dichiarare il fallimento dello Stato con conseguenze ancora peggiori. Certo
però che per quanto riguarda la tutela
dei risparmi degli italiani, talvolta di una intera vita, la strada
così mantenuta dal governo è
proprio quella sbagliata.
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