Dopo
le vittorie con una Sampdoria incompleta nella prima di Campionato e con la
Dinamo Kiev al debutto in Champions, la vittoria a tavolino contro il Napoli e
i tre pareggi con Roma, Crotone ( squadra che dopo 5 giornate vanta soltanto il
punto ottenuto contro la Juve) e Verona, arriva anche la prima sconfitta di
Pirlo, “il predestinato”, contro un Barcellona oggettivamente in crisi alla
vigilia (un solo punto nelle ultime tre giornate del campionato spagnolo) e apparso
rivitalizzato ieri notte proprio dal confronto con la Juventus.
La squadra bianconera ha offerto di fronte al non-pubblico di casa l’ennesima prova scialba e deludente, appena mitigata dalle buone prove del solito Cuadrado e di un Morata in eccellente stato di forma che va a segno tre volte ma tutte in fuorigioco, anche se sull’ultimo dei tre goal, che avrebbe consentito ai bianconeri il momentaneo pareggio, ci sarebbe molto da ridire. Naturalmente, non tutte le responsabilità sono da attribuire a Pirlo, una fetta consistente spetta sicuramente al mercato degli ultimi anni. Con un centrocampo a parametro zero con in più un Bentancur in fase involutiva e gli acquisti di Arthur, che non giocava da mesi e pagato dieci milioni di euro oltre alla cessione di Pjanic proprio al Barcellona e di un Mckennie molto simile ad un giocatore di rugby. Con una difesa che utilizza Cuadrado, esterno alto, in pianta stabile come terzino, Danilo, esterno basso, come centrale e, talora, Frabotta, under 23, come esterno basso al posto dell’infortunato Alex Sandro, senza avere altre alternative (dopo le partenze, peraltro non rimpiante, di De Sciglio e Rugani), se non quelle di De Ligt ancora convalescente e del grande Chiellini, ormai quasi sempre infortunato. Con gli acquisti dei fiorentini Bernardeschi e Chiesa costati oltre cento milioni di euro e, di contro, la cessione di Kean, un campione in erba cresciuto nelle giovanili della Juve, utilizzato dalla nazionale italiana e che ieri sera con due goal ha portato il Paris Saint Germain alla vittoria esterna di Champions, dopo averne segnati altrettanti nella partita di Campionato contro il Digione.
Bernardeschi - sempre fischiato quando a Torino c’era ancora un pubblico - ha la responsabilità del pareggio del Verona e del rigore che ha portato al secondo goal del Barcellona, mentre Chiesa, dal canto suo, si limita a qualche dribbling vincente, seguito regolarmente dalla perdita della palla e fa rimpiangere persino il fumoso Douglas Costa, ceduto in prestito gratuito al Bayern Monaco dal quale la Juve l’aveva comprato un paio di anni prima per oltre quaranta milioni. Se, a tutto ciò, si aggiunge l’accresciuto debito della Società (non solo colpa del covid-19) e la disinvoltura con cui si continuano a pagare due allenatori, Allegri e Sarri, entrambi esonerati dopo aver vinto lo scudetto, si comprende meglio come la crisi dei bianconeri non dipenda solo da Pirlo. E, del resto, chi ha scelto Pirlo, ritenendo ingenuamente di poter imitare il Real Madrid quando scelse Zidane? Non tenendo conto che il francese aveva già fatto la sua esperienza, anche se breve, da allenatore, mentre Pirlo ha iniziato da zero, e ancora che Zidane fu chiamato ad allenare una squadra forte e dagli equilibri consolidati, mentre all’ex campione bianconero (prima ancora rossonero) è stato affidato un “cantiere aperto”, una “squadra in costruzione e priva di esperienza (?!)”, come lo stesso Pirlo non si stanca di ripetere per giustificare la propria totale inesperienza e l’attuale grigiore bianconero.
Del resto, è un fatto che il nuovo allenatore juventino - con i suoi tanti esperimenti che si sostanziano nell’idea di schierare tutti insieme i giocatori considerati sulla carta i più forti, senza distinzione dei ruoli e senza tener conto dei necessari equilibri - stia cercando di applicare il verbo contenuto nella sua recente Tesi di Coverciano per il Master Uefa Pro. Scrive nell’introduzione: «L’idea fondante del mio calcio è basata sulla volontà di un calcio propositivo, di possesso e di attacco […] un calcio totale e collettivo, con 11 giocatori attivi in fase offensiva e difensiva. Manipolando spazi e tempi, abbiamo l’ambizione di comandare il gioco in ambedue le fasi. Il ‘gioco’ deve essere il filo conduttore della mia squadra […] un gioco basato sul collettivo ma che sia in grado di esaltare le individualità più forti».
Parole in sé condivisibili da parte di ogni allenatore e che si commentano da sole per la loro vacuità ed efficacia retorica ma che, prima di essere pronunciate, dovrebbero confrontarsi oltre che con la modestia e con l’esperienza, anche con la realtà del campo e dei giocatori a disposizione. Eppure, si ha come l’impressione che con i ritorni in squadra di De Ligt, Alex Sandro, Ronaldo e in più l’acquisto a gennaio di un buon terzino e di un centrocampista di rango e di esperienza (forse quel Jorginho che tanto piaceva a Sarri, forse un altro più capace di assomigliare proprio al Pirlo calciatore), la Juventus potrebbe ancora rimettere in piedi la propria stagione che al momento attuale pare già compromessa sia in Campionato che in Champions. Sempre che non si abbia la voglia e la forza di dire ai tifosi che la squadra sta vivendo un anno di transizione (verso dove?), con l’unico obiettivo di raggiungere almeno il quarto posto del Campionato, utile per partecipare alla Champions del prossimo anno. Obiettivo peraltro non facile a giudicare dal gioco e dai risultati di oggi e in virtù della concorrenza di diverse altre squadre, come Inter, Milan, Napoli, Atalanta, Lazio, Roma e persino Sassuolo.