Giovane scrittore
all’esordio, Ottavio Plini mostra una naturale propensione a maneggiare il
romanzo gotico, un genere letterario che conosce la sua fortuna in Inghilterra
verso la fine del XVIII secolo per poi diffondersi nel secolo successivo – solo
per fare qualche esempio – in Germania nella variante romantica e fantastica di
E.T.A. Hoffmann, in Italia con la Scapigliatura che reagisce all’eccesso di realismo
della narrativa precedente, in U.S.A nei sottogeneri del poliziesco, del noir e
dell’horror con Edgar Allan Poe.
Il castello che campeggia nella copertina di La Costruzione a venire [Mazzanti Libri, novembre 2020] fa subito pensare al gotico originale, alla sua ambientazione cupa e misteriosa, ma nel romanzo di Plini i luoghi sono dinamici ed evanescenti, ancorché alle segrete del castello si sostituiscano l’ospedale e la “fenditura aliena”(quasi simbolo di genitali femminili) e non manchino alcuni degli ingredienti più noti della tradizione gotica: dall’oscurità alla malattia, dallo spettro della follia alla costruzione di macchine organiche per la comprensione del cosmo, dalla minaccia degli “Alieni” alle frustrazioni dell’eros e dell’amore romantico, dal soprannaturale, inteso nel suo linguaggio simbolico ma anche come strumento di potere di sette esoteriche che si infiltrano e si combattono tra di loro, al concetto di “Unheimlich”, individuato da Sigmund Freud nel 1919 per descrivere la paura irrazionale. Il perturbante è un sentimento di vago terrore - cui nella finzione romanzesca si accompagna talora per strano paradosso il senso del grottesco e del burlesco - generato dalla percezione di oggetti inanimati che improvvisamente si animano (come nei romanzi di Hoffmann) e viceversa, da soggetti bizzarri e/o deformi al limite della possibilità fisica di sopravvivere e che pure si muovono con straordinaria vitalità, dalla presenza occulta di geni maligni che controllano ogni cosa, dalla paura di perdere la vista o di improvvisi attacchi epilettici, dalla semipermanenza in uno stato onirico in cui realtà e immaginazione si confondono, e così via.
Non a caso gli appunti di René, sia da veggente che da percettore della realtà, offrono uno spaccato della categoria del perturbante collegato ad una sorta di realismo magico:
«In
un'altra stanza è un teatrino con un’inquietante bambola che canta
alternativamente una nenia paradisiaca e una canzone spagnola, spegnendosi
periodicamente mentre la voce prosegue. Si dice che avvicinandosi troppo alla
bambola essa metta avanti delle mani che comunicano una scarica elettrica tale
da indurre alla follia…» e ancora:
«Mr. Odrek J. era una sorta di piccola bestiolina
dal colore mutevole che periodicamente ci si trovava nelle case senza che in
genere facesse o dicesse assolutamente nulla. Oramai, in questi tempi disordinati,
tormentati e festaioli, ci si era abituati alle sue visite, tanto che i bambini
avevano perso anche la voglia di tentare di giocarci assieme. La sua immagine
faceva pensare a uno stuzzicadenti intorno a cui si avvolgeva uno spago che poi
si biforcava indurendosi in due asticelle che erano le gambe.»[1]
Il realismo magico, in tutte le sue accezioni, altro non è che una categoria del fantastico e Ottavio Plini mostra di saper utilizzare il fantastico nel giusto senso in cui lo raccomanda Sartre in “Che cos’è la letteratura?” Si tratta di dare l’impressione al lettore che ciò che in sé appare assurdo accada invece come un avvenimento normale. Solo così, conclude Sartre, ci si troverà di colpo immersi in un mondo fantastico più reale della realtà stessa. Perché il ruolo della fantasia, dopo tutto, è proprio quello di portare alla luce ciò che della realtà si nasconde sotto la densità delle illusioni e dell’apparenza. Un’operazione che riesce all’autore già alla sua prima prova letteraria.
D’altra parte, la condizione in cui si trova René, il vero protagonista del romanzo, è proprio quella di alternare visioni oniriche – in cui si ritaglia il ruolo di veggente – alla percezione labile della realtà. “Una misteriosa infiammazione del sistema nervoso”, probabilmente di “origine aliena”, lo ha costretto ad un letto di ospedale, trasformandolo in una sorta di cavia non solo per i medici ma anche per il gruppo di esoteristi che fa della gnosi la propria ragion d’essere. Ed è ad uno di questi gruppi che uno scrittore dovrà offrire un ampio resoconto sugli aspetti “visionari” ancorché interessanti dell’infermità di Renato. Egli dovrà riordinare e dare senso compiuto agli sparsi appunti del malato per poi consegnare il tutto al vertice della sua Organizzazione, rappresentato dalle Tre Madri. E qui l’abilità di Plini, nel presentarci prima le Tre Dame come vagamente minacciose, quasi fossero davvero la Mater Suspiriorum, la Mater Tenebrarum e la Mater Lacrimarum, le tre divinità malvagie che con il loro potere manipolano gli eventi del mondo, poi nel rivelarci che le Tre Madri altro non sono che le tre luci massoniche di Sapienza, Forza e Bellezza. E in fondo proprio in questo sembra consistere il leitmotiv della narrazione: utilizzare gli strumenti del gotico per squarciare le verità apparenti della realtà quotidiana sino a raggiungere la soglia di un’altra dimensione che nel giustificare quella presente sia tale da permettere la costruzione di un mondo a venire.