mercoledì 2 dicembre 2020

LA MIGLIORE OFFERTA


 

Ripropongo di seguito a distanza di circa otto anni – soprattutto per coloro che l’abbiano visto o rivisto lunedì sera su Premium Cinema 2 – quello che a mio parere resta il film più compiuto di Giuseppe Tornatore. La visione ripetuta di un bel film, così come quella di un libro altrettanto bello, offre l’opportunità di cogliere quei particolari che erano andati perduti nelle visioni e/o nelle letture precedenti e che pure sono in grado di allargare l’orizzonte della comprensione del lettore e/o dello spettatore. È il caso de “La migliore offerta” di Tornatore. Così, alla recensione di allora potrei aggiungere oggi altri particolari, su tutti alcune immagini che mi erano sfuggite della seduzione sottile con cui Claire cattura l’anima di Virgil e ne controlla il desiderio, ma preferisco lasciarli all’osservazione e alla scoperta di chi ha già visto il film o lo rivedrà in futuro.

Scrivevo allora:

«Se esiste un potere oscuro e ostile che immette a tradimento un filo nel nostro cuore col quale poi ci afferra e ci trascina su una via pericolosa e mortale che altrimenti non avremmo battuto… se un potere siffatto esiste, deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, deve anzi diventare il nostro io: soltanto così infatti possiamo crederci e concedergli quello spazio di cui ha bisogno per compiere quell’opera segreta».



È il brano di una lettera di Clara, il personaggio di un noto racconto di E.T.A. Hoffman, “L’uomo della sabbia” [1815] che fa parte dei Notturni di Callot. Ben si adatta per introdurci nel clima gotico-romantico del nuovo film di Tornatore, nel quale non manca anche una nana che sembra una bambola meccanica e che si rivela come una piccola rotella nell’ingranaggio dell’intera vicenda.

Lavoro pregevole ed elegante, La migliore offerta di Giuseppe Tornatore ha spessore europeo e induce a riflettere sui sentimenti e sulle nevrosi presenti nell’animo umano, benché utilizzi a piene mani strumenti già noti e lasci intuire il finale del film con largo anticipo. 

Virgil Oldman [Geoffrey Rush], come dice il suo cognome, è un uomo non più giovane, battitore d’asta di fama internazionale, eccezionale intenditore d’arte e collezionista di ritratti femminili di grande valore commerciale, che riesce a procurarsi grazie al fiuto di cui dispone e alla complicità dell’amico Billy [Donald Sutherland]. Volti di donna che per lui hanno prima di tutto grande valenza affettiva. Per la verità, egli colleziona anche guanti o meglio ne possiede per proprio uso e consumo in quantità industriale, perché non riesce a toccare gli altri e le cose a mani nude…

Non è difficile utilizzare per Virgil la categoria del “perturbante”, cui Freud dedicò un saggio nel 1919, Das Unheimliche, che in tedesco significa non confortevole, non familiare, perturbante appunto, dalla negazione  Un  e da  Heimliche [Heim=casa] che significa confortevole, familiare. In Filosofia della Mitologia [1846],Schelling definì Unheimliche “Tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto e che invece è affiorato” [Ed. it., Milano, Mursia 1990, p.474]. Entrambi i significati si ritrovano nella vita e nella psiche del protagonista del film di Tornatore. Veniamo infatti a sapere che Virgil è cresciuto in un orfanatrofio e indoviniamo che la grande sala-cassaforte, in cui egli gode in segreto di ritratti femminili d’ogni epoca, assumerà presto nel racconto un significato che trascende la dimensione intimistica. 

Nel saggio, Freud accenna  tra l’altro proprio all’Uomo della sabbia di E.T.A. Hoffman e individua nelle “rappresentazioni e imitazioni artistiche” l’unica forma di  perturbazione o di spaseamento  capace di suscitare angoscia ma anche “godimento elevatissimo”. A tale proposito, poco importa sapere che Virgil ha acquisito interesse e competenza per l’arte grazie ad un antiquario causalmente incontrato durante l’infanzia. Il fattore infantile come fonte primigenia del “perturbante” e causa della scissione tra principio del piacere e principio di realtà, trova in lui compensazione nell’amore per l’arte e nel godimento delle rappresentazioni artistiche, vere o false che siano.

La misoginia di Virgil è solo apparente. Egli si nutre della bellezza femminile ma rinuncia alle donne in carne e ossa perché in lui è scisso sin dall’infanzia il binomio piacere-realtà. Quando però una giovane donna, che immagina bella come quelle che contempla attraverso i ritratti della sua camera segreta, entra casualmente[?!] nella sua vita, si compie in lui la metamorfosi che tuttavia non è ancora guarigione. Occorrerà che la donna gli si manifesti in forma misteriosa e non visibile, che possa ascoltarne la voce senza vederla e che infine possa contemplarla nella sua bellezza senza esserne visto, ricorrendo ad un piccolo stratagemma suggeritogli da Robert [Jim Sturgess], il giovane e valente meccanico, come lui appassionato di automi e di robot e che, grazie ai pezzi e agli ingranaggi che Virgil rintraccia poco a poco nella misteriosa villa di Claire, ricostruirà per lui l’automa di Vaucanson, il geniale inventore meccanico vissuto nel XVIII secolo.



Come il Nataniele del racconto di Hoffman, che s’innamora di Olimpia, una bambola meccanica, e poi di Clara, una donna in carne e ossa, Virgil divide ora la sua anima tra il robot di Vaucanson e le sembianze di Claire [una Sylvia Hoeks non del tutto convincente]. Ma la donna, proprio come lui soffre di una rara forma del “perturbante”: l’agorafobia che dall’infanzia la costringe in una stanza segreta della sua villa ricca di vaste sale, quadri e mobili antichi.

Nel vicendevole aiuto che Virgil e Claire si scambiano, nella complicità e nel mistero dell’innamoramento, si compie il miracolo della reciproca guarigione: lui imparerà finalmente ad amare una donna di carne e sangue, lei tornerà poco a poco a frequentare le piazze e le strade affollate.

Virgil si muove ora in un universo nuovo ma che non  avverte più come Unheimicle “perturbante” o poco familiare, così com’è avvenuto durante tutta la sua vita. E la spiegazione di questo sentirsi a suo agio è nel paradosso che gli fornisce l’amico Billy, quando lo avverte che i sentimenti umani si possono simulare come le opere d’arte e che vivere con una donna è come partecipare ad un’asta, perché non sai mai se la tua offerta sarà la più alta. Virgil sa bene per esperienza che in ogni falso artistico si nasconde sempre qualcosa di autentico e che la migliore offerta in un’asta è quella di cui non si può mai essere sicuri. E sono proprio queste consapevolezze a indurlo a rischiare in amore tutto se stesso, così come per tanti anni ha fatto con successo in campo artistico.

Forse Virgil non è del tutto guarito, forse ha confuso l’amore con l’arte, ma una cosa è certa: il feticismo estetico – che lo portava a contemplare ritratti di donna, pago solo di cogliere l’anima che l’artista aveva saputo imprimere sulla tela – si muta in romanticismo, ora che la magia dell’amore si è dispiegata in lui in tutta la sua potenza. Chi parlerebbe ancora del “perturbante” in Virgil, nella finzione di un incontro con Claire in una dimensione reale, come può esserlo la Staromestská Namesti di Praga o un Caffè adiacente alla piazza? Chi, innamorato, non ha creduto per qualche attimo di veder comparire all’improvviso la persona amata in un luogo consueto o solo vagheggiato da entrambi? Chi, amando, non ha sperato di vederla arrivare, anche in mancanza di un appuntamento?

 sergio magaldi

 


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