martedì 1 dicembre 2020

IL PUNTO SUL CAMPIONATO 2020-2021 (N°2)


 

 

 Dopo nove giornate, la serie A mostra il comportamento ondivago di quasi tutte le squadre di testa, ad eccezione del Milan che, con o senza “Ibra”, guida la classifica con 5 punti di vantaggio sulle seconde e un percorso uniforme caratterizzato da due pareggi e sette vittorie, di cui l’ultima ottenuta facilmente domenica scorsa, senza il capocannoniere del Campionato (Ibrahimovic con ben 10 reti pur avendo saltato alcune partite delle nove sin qui disputate, prima per positività al Covid 19, di recente per infortunio), su una Fiorentina che già fa rimpiangere l’esonerato Iachini. Esemplare a questo riguardo la nona giornata, dedicata giustamente al ricordo del grande Diego Armando Maradona.

Si aspettava il Sassuolo, secondo in classifica, che qualcuno riteneva potesse inserirsi nella lotta per lo scudetto e magari vincerlo emulando le gesta del Leicester inglese, e la squadra di De Zerbi non solo ha perso sul suo terreno contro l’Inter, ma ha mostrato l’inconsistenza di un gioco altre volte esaltato dagli addetti ai lavori. Per gran parte dei novanta minuti, i neroverdi hanno passeggiato in mezzo al campo, prendendo per giunta due goal su altrettanti errori di Chiriches, il difensore centrale e nazionale rumeno: il primo, rinviando corto su Lautaro in prossimità della propria area, il secondo su autogoal, centrando di testa la propria porta. Neppure esente da responsabilità, sul primo goal, quel Manuel Locatelli che, a detta dei critici, è diventato improvvisamente il miglior centrocampista italiano, conteso dalle grandi società a colpi di milioni. Che fa Locatelli, quando si avvede dell’errore di Chiriches? Accorre opportunamente ma invece di dirigersi su Sanchez che staziona in zona pericolosamente, si accoda agli altri difendenti che stanno ormai chiudendo su Lautaro, il quale prima di essere sopraffatto, con un passaggio corto e sbilenco imbocca Sanchez che, completamente smarcato, batte a rete con estrema facilità. Tanto basta per far parlare di una “grande Inter”, processata solo tre giorni avanti per la sconfitta di San Siro contro il Real Madrid e ormai quasi fuori dalla Champions, dove ha collezionato in quattro partite due sconfitte e due pareggi. Probabilmente fuori anche dall’Europa League, la squadra di Conte potrà approfittarne per puntare allo scudetto senza avere tra i piedi gli impegni di Coppa.

Sconfitte entrambe le romane, come pure l’Atalanta dopo le esaltanti vittorie europee di qualche giorno prima. Con qualche distinzione. L’Atalanta, dopo l’impresa che mercoledì scorso l’ha portata ad espugnare l’Anfield Stadium dei campioni europei del Liverpool, ha disputato un’ottima partita con il Verona, perdendo solo per una ripartenza degli avversari, arroccati per quasi tutti i novanta minuti nella propria area di rigore. Per una volta è lecito dire che la sfortuna e la grande difesa del Verona hanno causato la sconfitta immeritata dei bergamaschi. Lazio e Roma, invece, non sono praticamente scese in campo. In particolare la Roma, attesa dalla sfida col Napoli nel clima triste e tuttavia appassionato dell’ultimo commosso saluto a Maradona. Disagio psicologico dei giallorossi? Stanchezza per la gara disputata e vinta giovedì in Romania? Assenze pesanti dei difensori centrali? Forse è vero un po’ tutto, ma è un fatto che quando la squadra capitolina è chiamata alle prove decisive o supposte tali, manca spesso il bersaglio. Non ultimo anche qualche errore di valutazione del pur bravo Fonseca, per aver giocato praticamente in nove, senza l’apporto di Dzeko e Pellegrini che non erano ancora in grado di scendere in campo in una partita così importante per la classifica della Roma, tant’è che entrambi sono stati poi sostituiti quando ormai era troppo tardi. Un errore anche, a mio parere, non aver riproposto, proprio contro i napoletani, il centrocampo centrale con Villar, Diawara e Veretout, che si era visto per qualche tratto della partita contro i rumeni del Cluj, e che sarebbe stato un’ottima diga per fermare i cursori azzurri del Napoli e rilanciare la squadra in avanti.

Un discorso a parte sulla Juventus. Anche se poco cambia da quanto già detto in un post precedente [cfr. Il predestinato e il grigiore bianconero e clicca sul titolo per leggere]. I bianconeri hanno avuto sin qui forse il calendario più facile della Serie A ma non ne hanno approfittato. Ben cinque i pareggi, l’ultimo quello di Benevento di sabato pomeriggio, tre sole vittorie con Sampdoria, Spezia e Cagliari, oltre a quella a tavolino sul Napoli. Delle cosiddette grandi, i bianconeri hanno incontrato solo Roma e Lazio, pareggiando con entrambe. Un bilancio magro che non lascia ben presagire, una constatazione sin troppo facile: senza Ronaldo la squadra non vince, non bastando neppure i goal di un grande Morata, vanificati da una cattiva organizzazione di gioco. La squadra sembra assumere sempre più le caratteristiche del suo allenatore, senza grinta e determinazione, arme tradizionali dei bianconeri. E la mano di Pirlo – grande campione come calciatore, da allenatore giudicabile purtroppo solo in base alle 12 partite ufficiali sin qui disputate in carriera con la Juve (le otto di Campionato e le quattro di Champions) – si vede in campo. Si ostina nell’errore che fu già di Sarri, ma non di Allegri, di far giocare Cuadrado stabilmente terzino, togliendolo dal ruolo che sino a due anni fa aveva sempre avuto di esterno alto, pronto anche ad accentrarsi per trovare le punte e i goal con i suoi assist che, nonostante tutto, continua a fare (l’ultimo goal della Juve, a Benevento, nasce da un grande assist del colombiano per Morata), al prezzo di un gran dispendio di energia e talora di perdita di lucidità al momento di difendere. Fa giocare Danilo centrale di difesa, sia pure con la motivazione dei tanti infortuni, schiera spesso Frabotta, giovane di belle speranze, esterno basso a sinistra che nello scendere sulla propria fascia perde facilmente la palla innestando la ripartenza degli avversari. E l’idea di difendere a quattro e di attaccare con tre difendenti si rivela spesso improduttiva e pericolosa, generando  confusione in mezzo al campo, dove i centrocampisti sono alternati senza una logica, come è accaduto contro il Benevento, con Ramsey e Rabiot – a mio parere alternativi – fatti giocare insieme, e la sostituzione di Arthur che pure dava un certo ordine al centrocampo, con Kulusevski messo in una porzione di campo che non gli appartiene, con una tattica che sembra solo preoccuparsi che ciascun giocatore della rosa abbia il suo minutaggio, con la conseguenza che non si vede ancora una formazione tipo e un gioco apprezzabile neppure contro le squadre cosiddette modeste. Perché poi far riposare Ronaldo proprio contro il Benevento, dove la Juve aveva bisogno dei tre punti per tallonare il Milan al secondo posto della classifica, e non nella partita di domani in Champions contro la Dinamo Kiev, a qualificazione già avvenuta agli ottavi? Se Ronaldo aveva davvero urgenza di fermarsi, bene, ma se la scelta nasce dal proposito di tentare l’assalto al primo posto del girone, sfidando il Barcellona, male, perché dopo la sconfitta di Torino, al momento appare velleitario andare a vincere in Spagna. Pirlo, inoltre, grande campione del recente passato dovrebbe stare più attento alle critiche e non dire: “Le critiche? Buon segno. Significa che facciamo paura”. Già, ma paura a chi? Per il momento solo ai tifosi juventini!

In conclusione, un Campionato interessante come mai era accaduto negli ultimi anni quando i bianconeri la facevano da padroni, merito delle squadre abituate alla testa della classifica che quest’anno si sono rafforzate o demerito della Juventus? 

 sergio magaldi


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