Inferni sempre
attuali: uno naturalmente è quello di Dante (1265-1321), di cui quest’anno, a
far data il 14 settembre, si celebra il settecentesimo anniversario della morte,
si spera - coronavirus permettendo - in una cornice degna di chi forse con
Shakespeare (1564-1616) è universalmente considerato il più grande poeta di
tutti i tempi; l’altro è l’inferno di Dan Brown, lo scrittore divenuto famoso
con Il Codice da Vinci e che con Inferno, il romanzo uscito nel 2013 e
portato sullo schermo tre anni dopo, prospetta una vicenda quanto mai attuale:
una pandemia provocata ad arte per evitare che l’inferno dantesco non sia una
finzione ma si trasformi in una profezia. Merito di TV 8 ieri sera averne
riproposto il film – per la regia di Ron Howard vincitore di due oscar (miglior regista e miglior film) con A Beautiful Mind
– ai telespettatori costretti a casa dal
lockdown.
Questo è l’Inferno
dantesco.
Questo è ciò che ci
attende.
Mentre il futuro si
avventa su di noi, alimentato dall’inesorabile matematica di Malthus, noi
restiamo in bilico sopra il primo cerchio dell’Inferno… e ci prepariamo a
precipitare più rapidamente di quanto abbiamo mai immaginato[…]
Non fare nulla
significa accettare un inferno dantesco… affollato di anime affamate e
sguazzanti nel peccato.
E così,
coraggiosamente, ho deciso di agire.
Qualcuno inorridirà,
ma la salvezza ha un prezzo.
Un giorno il mondo
arriverà a comprendere la bellezza del mio sacrificio […].
Dopo alcune sequenze in rapida dissolvenza che saranno comprensibili solo più avanti, il film, così come il romanzo, inizia con il risveglio di Langdon in un letto di ospedale. Ferito alla testa, il professore soffre di allucinazioni e non ricorda più nulla di quanto gli è capitato, né del perché, dagli Stati Uniti, si trovi catapultato a Firenze, come gli conferma Sienna Brooks (Felicity Jones), la giovane dottoressa che lo assiste e che poco dopo lo aiuterà a fuggire dall’attentatrice, entrata in ospedale per portare a compimento il proprio lavoro. Non è solo Vayentha (Ana Ularu) a dare la caccia al docente di Harward. Sulle sue orme sono infatti il consolato americano, le locali forze di pubblica sicurezza, una potente organizzazione privata e soprattutto l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. E molto presto se ne capirà il perché. C’è chi ritiene che egli sia stato già contagiato e chi, fidando nelle sue notevoli capacità di decifrare i simboli, pensa di poter scoprire il luogo dove è stata nascosta la sacca contenente il terribile virus della peste nera. E in effetti saranno La voragine infernale del Botticelli - uno dei cento disegni commissionati all’artista tra il 1480 e il 1495 - l’affresco La battaglia di Marciano del Vasari e alcuni versi del XXV canto del Paradiso di Dante a mettere Langdon sulla giusta strada della ricerca. Ma c’è qualcuno, forse all’interno dell’OMS, che vuole mettere le mani sul virus non per depotenziarlo e renderlo inefficace, bensì per rivenderlo a caro prezzo ad una qualche potenza che se ne servirà come arma batteriologica per dominare il mondo. Ed è questo l’aspetto più sconvolgente e più attuale del film e del libro di Dan Brown: l’idea che ci possa essere chi, facendolo apparire come un incidente, sia determinato a diffondere un virus letale per il controllo del mondo e dei suoi abitanti.
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