mercoledì 27 marzo 2013

IL GIOCO DELLE TRE CARTE




 Bersani ha incontrato i rappresentanti del M5S. Lo ha fatto con dignità e semplicità. Il discorso per convincere i capogruppo grillini di Senato e Camera non ha evidenziato, come del resto era scontato, “proposte indecenti” per riceverne in cambio la fiducia ad un suo sempre più problematico governo, ma l’argomentare è sembrato nel complesso pensoso, pacato e senza anatemi. Forse un po’ ingenuo e antiquato nel riproporre il “doppio binario”, l’uno rivolto al M5S, per il governo, l’altro al PDL per le riforme costituzionali, o nel ribadire la scarsa volontà di privare i partiti del finanziamento pubblico -  questione vitale per mantenere i tanti funzionari del suo partito – allorché Bersani s’è detto disposto a “rivedere il finanziamento della politica”, aggiungendo vagamente minaccioso che contestualmente occorrerebbe occuparsi delle regole che disciplinano la vita democratica di un partito, con chiara allusione al M5S.

 Insomma niente di nuovo sotto il sole, neppure la proposta di discutere insieme per l’intera giornata, prima di recarsi al Quirinale, i 28 punti di riforma lanciati da entrambi [gli 8 del PD e i 20 del M5S]. Una sorta di gioco delle tre carte, con l’ipotesi di tre governi diversi: quello di Bersani, il governissimo e il governo del M5S. Semmai l’implicito riconoscimento da parte di Bersani che almeno due dei suoi vaghissimi 8 punti sono mero “flatus vocis”: il finanziamento della politica di cui si diceva sopra, che sia pure in forma diversa deve restare, con l’alibi ottocentesco che altrimenti la politica la fanno i ricchi, e nessuna restituzione o soppressione dell’IMU sulla prima casa degli italiani, ma solo una riforma alla Prodi che, non a caso, resta per il PD l’inquilino più gradito per il Quirinale. Comunque sia, almeno un discorso consapevole quello di Bersani e non come quello di Luigi Zanda, ieri sera a Ballarò. Già, perché l’ineffabile capogruppo del PD al Senato ha affermato che tutti i partiti dovrebbero essere lieti, senza nulla chiedere in cambio, di appoggiare “il governo delle meraviglie” che si accinge a fare il PD e  che, se non lo fanno, è perché mancano del senso di responsabilità. Un discorso senza capo né coda,  non si capisce se più ingenuo o più arrogante.

 Dal canto suo, il M5S ha ribadito, per bocca della Lombardi e di Crimi, quanto già si sapeva: nessuna fiducia ad un governo formato da PD o PDL, ma disponibilità a votarne le singole misure se saranno convincenti. Nessuna probabilità che si verifichi quanto è accaduto per l’elezione di Grasso alla presidenza del Senato: allora la decisione all’interno dei gruppi parlamentari, di continuare a votare scheda bianca, fu maggioritaria, questa volta la scelta di non votare la fiducia al governo è stata presa all’unanimità.

 Poco o nulla si ricava dunque dall’incontro. Eppure, riflettendo con maggiore attenzione si nota in generale un clima più disteso tra le parti, probabilmente dovuto alla diretta streaming. Si nota altresì come il M5S non solo risponda alle domande dei giornalisti in diretta, ma elabori, motivandola, una sua proposta per uscire dalla crisi: giocando per così dire alla Bersani, il movimento ribadisce la proposta già fatta a Napolitano di formare  in proprio un  governo che in Parlamento abbia la fiducia degli altri partiti. E la motivazione è semplice: PD e PDL per vent’anni hanno promesso riforme senza realizzarne neppure una, non sono dunque credibili. Si dia pertanto al Movimento Cinque Stelle l’opportunità di realizzarle e se oggi la volontà del cambiamento è reale, in uno o in tutti e due quei partiti, lo si veda alla prova dei fatti. Ragionamento ineccepibile, sul quale Napolitano e il PD dovrebbero riflettere. Proposta impresentabile, forse, ed è per questo che il M5S la fa. I grillini sanno benissimo, che quando Bersani assicura che non farà mai un governo col PDL, sta parlando a titolo personale e non a nome di tutto il partito. Hanno ragione di pensare che una soluzione “dalle larghe intese” prima o poi sarà trovata. Le manovre sono già in atto dietro le quinte. E se nel futuro il PDL dovesse ritirare la fiducia, a certe condizioni e in base ai provvedimenti già votati o da votare, il M5S potrebbe decidere di rientrare nel “grande gioco”.

sergio magaldi   

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