mercoledì 4 marzo 2015

IL SEGRETO DEL SUO VOLTO

Phoenix [Il segreto del suo volto], regia e sceneggiatura di Christian Petzold, Germania 2015, 98 minuti



 Il titolo originale del film del tedesco Christian Petzold è Phoenix. E direi giustamente, non solo perché la protagonista, l’ebrea deportata ad Auschwitz, Nelly Lenz [più che convincente l’interpretazione di Nina Hoss] rinasce dalle sue stesse ceneri come la mitica fenice, ma anche perché è nella Berlino appena alla fine della guerra, nel settore americano della città distrutta, in un locale chiamato Phoenix, che Nelly ritrova il marito Johannes - che lei chiama affettuosamente Johnny [Ronald Zehrfeld]- un tempo pianista ora costretto a fare il cameriere. Phoenix infine è anche una metafora della rinascita tedesca che fa oggi della Germania il Paese leader dell'Europa unificata all'insegna della moneta unica e del rigore.

 Un’ambiguità, dunque, che il titolo italiano del film [Il segreto del suo volto] risolve con riferimento al segreto che il volto di Nelly nasconde. La donna infatti, scampata miracolosamente alle atrocità di Auschwitz, ma con il volto deturpato in modo orrendo, è costretta ad operarsi, con il risultato di avere un volto completamente nuovo. Un viso che non la rende immediatamente riconoscibile, se non agli occhi della sua amica Lene [Nina Kunzendorf] che lavora presso l’Agenzia ebraica ed è la sola ad assisterla, progettando il trasferimento con lei in Palestina, così come in quello stesso periodo vagheggiavano migliaia di ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio.






 L’ambiguità voluta del titolo originale [Phoenix-uccello che risorge da se stesso e Phoenix-locale del settore americano di Berlino, ecc...] è solo la prima delle tante ambiguità proposte dalla sceneggiatura e dalla regia di Christian Petzold. Lo stesso rapporto tra Lene e Nelly, che ha il potere di esaltare il senso dell’amicizia e della solidarietà umana, si tinge di ambiguità. Sarebbe stato meglio, infatti, rendere più esplicita l’attrazione sessuale di Lene per la sua protetta, in luogo di lasciarla supporre come la motivazione non-detta della sua scelta, allorché si rende conto che Nelly è ancora innamorata del marito e che non intende affrontare con lei il viaggio in Palestina.

 E in effetti, Nelly ritrova Johnny, ma questi non la riconosce e consapevole della somiglianza che la donna ha con la moglie che crede morta nel lager, intende usarla per mettere le mani sulla cospicua eredità della consorte. Nelly si presta al “gioco” nella speranza di ritrovare l’amore di suo marito, di cui scena dopo scena si avverte il comportamento ambiguo, non perché nella donna egli abbia riconosciuto la moglie, bensì perché lo spettatore è costretto a chiedersi di continuo quale sia il reale sentimento che in passato legava l’uomo a Nelly. 

 Né minore ambiguità è nell’atteggiamento di amici e parenti [familiari di Johnny, evidentemente, dal momento che sin dall'inizio del film è detto che Nelly è l’unica sopravvissuta della sua famiglia]: la riconoscono subito, laddove il marito non è stato in grado di riconoscerla, sebbene abbia trascorso con lei diversi giorni nell’istruirla ad imitare la moglie che crede morta. Poi ci sono le ambiguità per così dire tecniche, non volute e/o non calcolate: la messinscena dell'arrivo a Berlino con un treno proveniente dall’est, dopo che Nelly ha girato in lungo e in largo la città, da sola e in compagnia del marito, il fatto che Johnny non si chieda chi sia veramente la donna, dove abiti ecc… e ancora, la questione legale che impedirebbe all’ex pianista di mettere le mani sulla fortuna di Nelly. 

 C’è inoltre un’ambiguità sostanziale che aleggia nel film: un clima, quasi di neutralità etica tra i contendenti della guerra appena conclusa, che lascia insoddisfatti, ancorché sia un atteggiamento comune a molti connazionali di Christian Petzold. 

 Dispiace infine che un tema così avvincente sia stato trattato con rigido mestiere ma senza molta fantasia e che il linguaggio tecnico utilizzato si attesti su una modalità di fare cinema che a tratti pare sorpassata. Tutto ciò nulla toglie alla bellezza e alla drammaticità delle scene finali, allorché Johnny siede al pianoforte e Nelly intona una canzone popolare composta nel 1943 da Kurt Weill con testo di Ogden Nash. Dice, tra l’altro, il motivo:

 Speak low when you speak love
 Time is so old and love so brief
 Love is pure gold and time a thief

 Speak low when you speak love
 Our summer’s day withers away too soon, too soon
 Speak low when you speak love […]

 Parla piano quando parli d’amore
 Il tempo è così vecchio e l’amore così breve
 L’amore è oro puro e il tempo un ladro

Parla piano quando parli d’amore
Il giorno della nostra estate appassisce troppo presto, troppo presto
Parla sottovoce quando parli d’amore […] 













sergio magaldi

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