La Dichiarazione Unanime di
Tredici Stati Uniti d’America (1776), La Prima Costituzione Americana (1787),
La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789)]
N.B. Il post è stato pubblicato per la prima volta sul
sito del Movimento Roosevelt
L’individuazione di un primo
nucleo di diritti umani inalienabili, avvenuta tra contrasti e alterne vicende,
nell’Inghilterra del XVII Secolo, trovò la sua concreta formulazione, per uno
dei tanti paradossi della Storia, nella Dichiarazione di Indipendenza dalla
madrepatria inglese di tredici colonie americane. Se nel preambolo di The
Unanimous Declaration of the Thirteen of the United States of America e in
gran parte delle affermazioni che ne seguono l’obiettivo è quello di
legittimare il distacco dalla Corona britannica, i primi cinque principi hanno
valore universale e fondativo di ogni successivo diritto umano. Si basano su
una verità considerata evidente di per sé, quella stessa verità di cui, come sappiamo
(cfr. il post La consapevolezza dei diritti umani [Parte Prima] e clicca
sul titolo per leggere) già parlavano confusamente alcuni illuminati
sofisti dell’Atene del V Secolo contro
altri sofisti:
“[…] Da una parte, Trasimaco e Callicle, sostenitori
del diritto del più forte – basato sulla natura ferina dell’uomo e sull’idea di
una originaria disuguaglianza che fa gli uni più forti e/o più intelligenti e
capaci di altri, gli uni atti a comandare, gli altri a ubbidire – che legittima
la privazione dei diritti umani a vantaggio di un’aristocrazia della forza e/o
dello spirito […]Dall’altra, Ippia di Elide, Alcidamante e Antifonte Sofista,
che rivendicano per tutti gli uomini – in quanto una sola è la condizione umana
sulla Terra, a prescindere dalle diverse risorse e capacità – il godimento
degli stessi diritti imposti dalla medesima natura”.
Verità
evidente e fondata sulla ragione, ma non riconosciuta da tutti, perché è un
fatto, purtroppo, che non tutti gli esseri umani facciano uso di ragione.
Verità addirittura negata per affermare, come faceva il sofista Callicle, il diritto del più
forte. Ricordavo in proposito, nel precedente intervento, gli esempi storici
del Fascismo, del Nazismo e di ogni Totalitarismo di destra o di sinistra e,
aggiungo ora, di ogni regime oggi
esistente dove, di diritto e/o di fatto, i diritti umani sono sistematicamente
violati. Il che, purtroppo, si verifica in centinaia di Paesi, a giudicare dal
rapporto inquietante formulato di recente da Amnesty International.
“We hold these truths to be self-evident…”,
“Queste verità noi consideriamo di per sé evidenti…” dichiarano i
rappresentanti degli stati americani riuniti in Congresso a Philadelphia il 4
Luglio del 1776:
1)
“that all men
are created equal”, “che tutti gli uomini sono stati creati
uguali”
2)
“that they are
endowed by their Creator with certain unalienable rights”,
“che sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili”
3)
“that among
these are life, liberty and the pursuit of happiness”, “che
tra questi diritti ci sono la vita, la libertà e il perseguimento della
felicità”
4)
“that to secure
these rights, governments are instituted among men, deriving powers from the
consent of the governed”, “che per assicurare questi diritti, tra gli
uomini sono stati istituiti governi, che traggono il loro consenso direttamente
dai governati”
5)
“that whenever
any form of government becomes destructive to these ends, it is the right of
the people to alter or to abolish it and to institute new government, laying its
foundation on such principles and organizing its powers in such form, as to
them shall seem most likely to effect their safety and haooness”,
“che ogniqualvolta una forma di governo si fa distruttiva di questi
fini, è diritto del popolo modificarla o abolirla e istituire un nuovo governo
che poggi le sue fondamenta su tali principi e regoli il potere in una forma
tale da sembrare la migliore per promuovere la sicurezza e la felicità del
popolo”.
Come
si vede, viene ripreso il principio – anche se con minori puntualizzazioni –
già formulato nel Patto del Libero Popolo Inglese [An Agreement of the Free
People of England ], che riconosce la sovranità popolare, il contratto
sociale e i diritti inalienabili dell’uomo alla vita e alla libertà
(secondo punto) e anche alla sicurezza, come si evince dal quinto punto.
Le idee del filosofo inglese John Locke [1632-1704] trovano dunque pieno
accoglimento. C’è in più, fortemente voluto da Benjamin Franklin [1706-1790],
il diritto al “perseguimento della felicità”. Norma di principio che non
troverà posto negli articoli di nessuna futura costituzione europea, a
cominciare dalla famosa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del
1789, che tuttavia, come si vedrà più sotto, vi fa riferimento nel Preambolo. La
ragione è semplice e si basa almeno su tre ordini di motivi: a) Il timore
“classista” di un diritto così impegnativo, b) lo scetticismo degli europei a
fronte dell’ottimismo degli americani, c) l’idea che lo stato non possa e non
debba interferire a nessun titolo nella sfera privata dei cittadini. A tutto
ciò, deve aggiungersi ancora oggi la valutazione ironica o addirittura
sarcastica circa un principio di cui non si riesce a vedere, o non si vuole,
l’efficacia normativa; dimenticando di considerare, o non volendo, che
l’introduzione nella carta costituzionale del diritto alla ricerca della
felicità, comporta di necessità da parte dei legislatori l’introduzione di
tutta una serie di norme per facilitare il più possibile il raggiungimento di
tale legittima aspirazione da parte di ogni essere umano.
La
piattaforma dei diritti umani sarà completata, a undici anni di distanza dalla
Dichiarazione d’Indipendenza, nella prima Costituzione degli Stati Uniti
d’America [17 Settembre 1787] che è anche la prima carta costituzionale del
mondo. In dieci emendamenti vengono codificati alcuni dei punti contenuti nel
più volte citato Patto del Libero Popolo Inglese e cioè: il divieto di
introdurre norme atte a stabilire una religione di Stato, con il relativo
diritto per i cittadini di professare qualsiasi religione [sull’esempio del
Pantheon degli antichi romani]; il divieto di ogni norma che limiti la libertà
di parola e di stampa, il diritto di associazione e di rivolgere petizioni al
governo [Primo Emendamento]. Il diritto del popolo di tenere e portare armi per
la propria sicurezza [II]. E ancora, una norma che riprende e modifica il terzo
punto della Petizione dei diritti che nel 1628 il Parlamento inglese
rivolge al re Carlo I [cfr. la Parte Prima di questo scritto], in base alla
quale nessun soldato, in tempo di pace, può essere acquartierato in una casa
senza il consenso del proprietario né, in tempo di guerra, se non nei modi
previsti dalla legge [III]. Il diritto dei cittadini a non subire perquisizioni
di alcun genere [persone, case, carte, effetti], non ragionevoli o non
sufficientemente motivate [IV]. E inoltre che in tempo di pace, nessuno possa
essere chiamato a rispondere di un delitto se non su denuncia o accusa di un
Gran Giurì, nessuno possa essere processato due volte per lo stesso delitto, né
chiamato in un processo penale a testimoniare contro se stesso [V]. I restanti
emendamenti riguardano la tutela legale del cittadino.
La risoluzione
circa i diritti umani, contenuta nei principi della Dichiarazione di
Indipendenza Americana e nei successivi emendamenti, sbarca nel vecchio
continente a due anni i distanza dall’approvazione della prima Costituzione
degli Stati Uniti d’America. Dopo la presa della Bastiglia del 14 Luglio, il
popolo francese in armi, attraverso i propri rappresentanti, tra il 26 e il 27
Agosto del 1789, approva la famosa Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del
Cittadino in 17 articoli preceduti dal seguente Preambolo:
Les Représentants du Peuple Français, constitués en
Assemblée Nationale, considérant que l'ignorance, l'oubli ou le mépris des
droits de l'Homme sont les seules causes des malheurs publics et de la
corruption des Gouvernements, ont résolu d'exposer, dans une Déclaration
solennelle, les droits naturels, inaliénables et sacrés de l'Homme, afin que
cette Déclaration, constamment présente à tous les Membres du corps social,
leur rappelle sans cesse leurs droits et leurs devoirs ; afin que les actes du
pouvoir législatif, et ceux du pouvoir exécutif, pouvant être à chaque instant
comparés avec le but de toute institution politique, en soient plus respectés ;
afin que les réclamations des citoyens, fondées désormais sur des principes
simples et incontestables, tournent toujours au maintien de la Constitution et
au bonheur de tous.
I rappresentanti del
popolo francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che
l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell'uomo sono le sole cause
delle pubbliche calamità e della corruzione dei governi, hanno preso la
risoluzione di esporre in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali,
inalienabili e sacri dell'Uomo, affinchè questa Dichiarazione, costantemente
presente per tutti i Membri del corpo sociale, ricordi loro senza interruzione
diritti e doveri; affinchè gli atti del potere legislativo e quelli
dell'esecutivo, potendo essere ad ogni istante messi a confronto con il fine di ogni istituzione politica, siano più
rispettati; e le proteste dei cittadini, fondate d’ora in avanti su semplici e
incontestabili principi, si volgano sempre al mantenimento della Costituzione e
alla felicità di tutti.
Nella traduzione italiana, ho messo in risalto le parole che chiudono il
Preambolo, prima della successiva formulazione dei 17 articoli. Quel “bonheur
de tous”, nella maggior parte delle versioni italiane è tradotto, per me
impropriamente, con « bene comune », ma bonheur in francese
significa felicità e, sempre a mio parere, si tratta di un chiaro
riferimento a quel diritto di ricerca della felicità sancito nella
Dichiarazione di Indipendenza Americana. È vero che non trova riscontro nel II
articolo, dove si legge, ribadendo i principi del contratto sociale e del
giusnaturalismo, che lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione
dei “diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo”, e cioè libertà, proprietà,
sicurezza e resistenza all’oppressione. Manca dunque il
riferimento al perseguimento della felicità, ma non per questo si può
ignorare il timido accenno che se ne fa nel Preambolo. È assente dalla lista
anche il diritto alla vita, ribadito dagli americani e conforme alle
teorie di Locke. Semplice dimenticanza, o sintomo di una certa riluttanza a
parlare di “diritto alla vita” nel bel mezzo di una rivoluzione che di sicuro
fu cruenta?
Rispetto alla Dichiarazione del 1776 e alla
Costituzione del 1787 ci sono altre differenze: la sovranità del popolo diventa
la sovranità della nazione [Art. III], si definisce il concetto di libertà,
intesa come il diritto di poter fare tutto quello che non nuoce agli altri
[IV], si dichiara lecito tutto ciò che non è proibito dalla legge [V] e che
quest’ultima è l’espressione della volontà generale [VI], concetto che
si ispira a Jean-Jacques Rousseau [1712-1778] e di cui parlerò in seguito, si ribadisce
solennemente nell’ultimo articolo che la proprietà è un diritto inviolabile e
sacro [XVII]. Gli articoli che non ho menzionato, riguardano la libertà di
opinione, di comunicazione e di stampa, la tutela dei cittadini di fronte alla
legge, l’obbligo alla contribuzione pubblica, l’inconsistenza giuridica di ogni
società nella quale non sia assicurata la guarentigia dei diritti. Tutti
principi che, mutatis mutandis, si ritrovano nelle rivendicazioni del
Popolo e del Parlamento inglese nel XVII Secolo, e nei Congressi americani del
XVIII.
Restano per il momento due osservazioni: la prima
è che le dichiarazioni e le codificazioni originali dei diritti umani sono
tutte redatte in inglese o francese, non in spagnolo, italiano, tedesco o in
qualsiasi altra lingua del mondo. La seconda è che neppure una parola è detta sui
diritti delle donne, laddove in buona o cattiva fede sembra ritenersi che il
concetto di “uomini” [e neppure di “esseri umani”], genericamente inteso, sia
sufficiente anche a rappresentare l’
“altra metà del cielo”, ma di questo mi occuperò in un prossimo intervento.
sergio
magaldi
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