Phoenix [Il segreto del suo volto], regia e sceneggiatura di Christian Petzold, Germania 2015, 98 minuti |
Il
titolo originale del film del tedesco Christian Petzold è Phoenix. E
direi giustamente, non solo perché la protagonista, l’ebrea deportata ad
Auschwitz, Nelly Lenz [più che convincente l’interpretazione di Nina Hoss]
rinasce dalle sue stesse ceneri come la mitica fenice, ma anche perché è
nella Berlino appena alla fine della guerra, nel settore americano della città
distrutta, in un locale chiamato Phoenix, che Nelly ritrova il marito
Johannes - che lei chiama affettuosamente Johnny [Ronald Zehrfeld]- un
tempo pianista ora costretto a fare il cameriere. Phoenix infine è anche una metafora della rinascita tedesca che fa oggi della Germania il Paese leader dell'Europa unificata all'insegna della moneta unica e del rigore.
Un’ambiguità, dunque, che il
titolo italiano del film [Il segreto del suo volto] risolve con
riferimento al segreto che il volto di Nelly nasconde. La donna infatti,
scampata miracolosamente alle atrocità di Auschwitz, ma con il volto deturpato
in modo orrendo, è costretta ad operarsi, con il risultato di avere un volto
completamente nuovo. Un viso che non la rende immediatamente riconoscibile, se
non agli occhi della sua amica Lene [Nina Kunzendorf] che lavora presso l’Agenzia ebraica ed è la sola ad assisterla, progettando il trasferimento con
lei in Palestina, così come in quello stesso periodo vagheggiavano migliaia di
ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio.
E in effetti, Nelly ritrova Johnny, ma questi
non la riconosce e consapevole della somiglianza che la donna ha con la moglie
che crede morta nel lager, intende usarla per mettere le mani sulla cospicua
eredità della consorte. Nelly si presta al “gioco” nella speranza di ritrovare
l’amore di suo marito, di cui scena dopo scena si avverte il comportamento ambiguo,
non perché nella donna egli abbia riconosciuto la moglie, bensì perché lo
spettatore è costretto a chiedersi di continuo quale sia il reale sentimento
che in passato legava l’uomo a Nelly.
Né minore ambiguità è nell’atteggiamento
di amici e parenti [familiari di Johnny, evidentemente, dal momento che
sin dall'inizio del film è detto che Nelly è l’unica sopravvissuta della sua
famiglia]: la riconoscono subito, laddove il marito non è stato in grado di
riconoscerla, sebbene abbia trascorso con lei diversi giorni nell’istruirla ad
imitare la moglie che crede morta. Poi ci sono le ambiguità per così dire
tecniche, non volute e/o non calcolate: la messinscena dell'arrivo a Berlino con un treno
proveniente dall’est, dopo che Nelly ha girato in lungo e in largo la città, da
sola e in compagnia del marito, il fatto che Johnny non si chieda chi sia
veramente la donna, dove abiti ecc… e ancora, la questione legale che
impedirebbe all’ex pianista di mettere le mani sulla fortuna di Nelly.
C’è
inoltre un’ambiguità sostanziale che aleggia nel film: un clima, quasi di
neutralità etica tra i contendenti della guerra appena conclusa, che lascia
insoddisfatti, ancorché sia un atteggiamento comune a molti connazionali di
Christian Petzold.
Dispiace infine che un tema così avvincente sia stato
trattato con rigido mestiere ma senza molta fantasia e che il linguaggio tecnico
utilizzato si attesti su una modalità di fare cinema che a tratti pare
sorpassata. Tutto ciò nulla toglie alla bellezza e alla drammaticità delle
scene finali, allorché Johnny siede al pianoforte e Nelly intona una canzone
popolare composta nel 1943 da Kurt Weill con testo di Ogden Nash. Dice, tra
l’altro, il motivo:
Speak low when you speak love
Time is so old and love so brief
Love is pure gold and time a thief
Speak low when you speak love
Our summer’s day withers away too soon, too
soon
Speak low when you speak love […]
Parla
piano quando parli d’amore
Il tempo è così vecchio e l’amore così breve
L’amore è oro puro e il tempo un ladro
Parla piano quando parli d’amore
Il giorno della nostra estate appassisce
troppo presto, troppo presto
Parla sottovoce quando parli d’amore […]
sergio
magaldi
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