La Petizione dei Diritti (1628)- An Agreement of Free People of England (1647-1649)
- Bill of Rights (1689]
Chi fa parte del Movimento Roosevelt [MR] – al di
là di una legittima pluralità di idee e di propositi anche diversi, ma
auspicabilmente convergenti – non può ignorare la fonte dei diritti umani, il
momento storico della loro formulazione e successiva elaborazione, nonché il
progressivo riferimento che trovarono nella carta costituzionale di molti
paesi, anche a prescindere dalla loro effettiva realizzazione nell’ambito della
società civile.
Il dibattito sui diritti umani inizia già
nell’antichità classica e procede di pari passo col più ampio confronto su ciò
che debba intendersi per giustizia e diritto naturale. Nel I libro della Repubblica
di Platone, il sofista Trasimaco identifica il diritto naturale nel
diritto del più forte, con la conseguenza che leggi e giustizia rappresentano
solo l’utile di chi ha il potere perché è il più forte. Insomma, per dirla con
Cicerone [De Officiis, I,10,33] Summum ius, summa iniura. Dice Trasimaco
a Socrate:
“[…]
Ogni governo stabilisce sempre le sue leggi
a seconda del proprio interesse, la democrazia istituisce leggi
democratiche, la tirannide tiranniche e così via: una volta poi stabilite
queste leggi i governanti dichiarano che per i sudditi giusto è ciò che giova a
loro, e chi trasgredisce è punito come trasgressore delle leggi, come violatore
della giustizia. Ecco, amico mio, in che consiste questa giustizia che io
affermo essere di fatto sempre la stessa in tutte le città: ciò che giova al
potere costituito. Esso possiede, infatti, la forza, perciò per chi ragiona
rettamente, segue che ovunque il giusto consiste sempre nella stessa cosa, in
ciò che giova al più forte”. [Repubblica,
338e-343]
Partendo
dallo stesso presupposto, e cioè che in natura vige il diritto del più
forte, nel Gorgia platonico, Callicle, un altro sofista, rovescia
il punto di vista di Trasimaco. Leggi e diritti sono solo l’espediente
escogitato dai più deboli che si uniscono insieme per impedire l’affermazione
dell’unica giustizia esistente in natura: il diritto del più forte.
Ma nell’Atene del V secolo, nel fervido clima
culturale favorito dalla democrazia di Pericle, altri sofisti si levano per
affermare tesi completamente opposte a quelle di Trasimaco e di Callicle: Ippia
di Elide nel sostenere che “tutti gli uomini sono congiunti tra loro,
perché il simile è per natura parente del simile”; Alcidamante [cfr.
Aristotele, Retorica] col proclamare la libertà originaria dell’uomo, giacché
“la natura non creò nessuno schiavo”; Antifonte Sofista per sottolineare
il contrasto esistente tra legge [nomos] e natura [fusis], la
violazione che la norma di diritto positivo compie di frequente nei confronti
dei diritti che appartengono all’uomo per natura, la sostanziale uguaglianza
naturale di tutti gli uomini:
“Noi rispettiamo e veneriamo coloro che hanno
nobili natali, ma non rispettiamo e non veneriamo chi è di oscura nascita. In
questo ci comportiamo gli uni verso gli altri da barbari, perché per natura in
tutto e per tutto siamo tutti uguali, sia barbari che Greci. Basta considerare
le necessità naturali proprie di tutti gli uomini: sotto questo aspetto nessuno
di noi può essere definito barbaro o greco. Noi tutti respiriamo, infatti
l’aria con la bocca, con le narici e…”[Oxyrh,
Pap., XI, n.1364, ed. Hunt, Fragm. B.,col.2:D.-K.,87 B.44.]
Per quanto posta su basi materiali, la
concezione di Antifonte – unitamente alle affermazioni di Ippia e Alcidamante –
rappresenta l’espressione ante litteram del giusnaturalismo, con l’idea
che il diritto naturale si fondi sulla ragione, con la conseguente individuazione
dei primi diritti umani inalienabili, e non più sui suoi istinti ferini. Non a
caso, nel XVII Secolo, a seguito di tutto un fiorire nella cultura occidentale
di scritti che rompono con il diritto canonico, Grozio enuncia i
principi del moderno giusnaturalismo, in base al quale il diritto naturale
perde la sua fonte giustificativa nella legge divina, per trarre il suo
fondamento unicamente dalla ragione umana. Contestualmente, con Johannes
Althusius si affaccia nella storia il principio della sovranità popolare
e la legittimità di ogni comunità umana tramite un contratto esplicito o
implicito.
La prima moderna rivendicazione di diritti
umani, ancorché limitata alla sicurezza personale e al patrimonio, fondata però
sul diritto naturale e sulla tesi contrattualistica del potere è La
Petizione dei Diritti che nel 1628 il Parlamento Inglese invia al re Carlo
I. Promossa da Sir Edward Coke, la Petizione contiene quattro principi: 1) Nessuna tassa può
essere imposta dal Sovrano senza il consenso del Parlamento. 2) Nessuno può
essere imprigionato senza una prova [ribadendo un principio della Magna
Charta, già noto come “habeas corpus”]. 3) Nessun soldato può essere
alloggiato a carico della popolazione. 4) Nessuna legge marziale ha valore in
tempo di pace.
Una più ampia ed elaborata rivendicazione di
diritti umani si ha nel corso della I Rivoluzione Inglese, con il Patto del
Libero Popolo Inglese [An Agreement of the Free People of England],
elaborato tra il 1647 e il 1649. La modernità del Patto sta innanzi tutto nel
riconoscere la sovranità al Popolo prima ancora che al Parlamento. Si legge tra
l’altro nelle conclusioni:
”È chiaro il
motivo per cui noi vogliamo istituire un patto col popolo e dichiarare quali
siano i nostri diritti naturali, piuttosto che chiedere al Parlamento di
sancirli: nessun atto del Parlamento è, o può essere, immodificabile, per cui
non esclude con garanzia sufficiente - per la vostra e la nostra sicurezza - la
possibilità che un altro Parlamento si lasci corrompere e decida in senso
contrario. Inoltre, il Parlamento deriva potere e rappresentatività da coloro
che glieli trasmettono. Il popolo deve quindi specificare in che cosa consiste
tale potere e tale rappresentatività, ed è appunto questo che si prefigge il
nostro patto”.
“Tutto ciò che
concerne la religione e il culto non può essere in alcun modo da noi demandato
a un potere terreno, dal momento che non
possiamo, senza commettere deliberatamente un peccato, rinunciare anche in
minima parte a ciò che la nostra coscienza dichiara essere la volontà di Dio:
inoltre, l'insegnamento in questo campo alla nazione intera - mai però con la
forza - resta affidato alla coscienza”.
C’è
inoltre l’abolizione delle decime e la fine della coscrizione
obbligatoria che sarà sostituita dall’arruolamento volontario di soldati a
pagamento:
“Obbligare i cittadini a servire nell'esercito
va contro la loro libertà, e perciò non possiamo permettere che i nostri
rappresentanti ci costringano a questo servizio. Al contrario, riteniamo che
essi, grazie al denaro che hanno sempre a disposizione (l'arma principale di
ogni guerra) potranno arruolare in qualsiasi momento un numero sufficiente di soldati
che combattano per una causa giusta”.
E ancora, c’è l’estensione del diritto di voto “a
tutti gli uomini dai ventun anni in su”; l’ineleggibilità parlamentare dei
membri delle forze armate salariate e degli amministratori di denaro pubblico;
l’obbligo per gli avvocati di astenersi dalla professione durante l’esercizio
del mandato parlamentare; l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla
legge, senza distinzione di “potere, ricchezze, titoli, nobiltà, nascita,
posizione sociale”.
Con l’ascesa al potere del Cromwell e la
proclamazione della Repubblica [Commonwealth] e successivamente con la restaurazione degli
Stuart, i diritti umani sanciti dal Patto del Libero Popolo Inglese furono
vanificati e neppure con la seconda rivoluzione e l’incoronazione di Guglielmo
d’Orange tornarono in auge. Nel 1689 fu però riconosciuto dal nuovo sovrano il Bill
of Rights che dettava regole per la successione al trono e che, pur
parlando di sudditi e non più di cittadini, riconosceva al Parlamento libertà
di parola e di stampa. In particolare il Bill of Rights si compone di 13
articoli che hanno il fine di stabilire cosa debba ritenersi illegale e quali
incontestabili diritti debbano essere garantiti alle Camere dei Lords e dei
Comuni, in quanto organi di espressione della volontà popolare:
1.
che il preteso potere di sospendere le
leggi o l’esecuzione delle leggi, in forza dell’autorità regia, senza il
consenso del Parlamento, è illegale;
2. che
il preteso potere di dispensare
dalle leggi o dall’esecuzione delle leggi, in forza dell’autorità regia, come è
stato assunto ed esercitato in passato, è illegale;
3. che il mandato per costituire la passata
Court of Commissionners per le cause
ecclesiastiche, e tutti gli altri mandati e corti di analoga natura, sono
illegali e pericolosi;
4. che levare tributi per la Corona o per
il suo uso, su pretesa di prerogativa, senza la concessione del Parlamento, per
un tempo più prolungato o in un modo diverso da quello che è stato o sarà stato
concesso, è illegale;
5. che è diritto dei sudditi avanzare
petizioni al re, e che tutti gli arresti o le procedure d’accusa per tali
petizioni sono illegali;
6. che levare o tenere un esercito
permanente all’interno del regno in tempo di pace, senza che ciò sia col consenso
del parlalento, è illegale;
7. che i sudditi protestanti possono avere
armi per la loro difesa conformemente alle loro condizioni e come consentito
dalla legge;
8. che le elezioni dei membri del
Parlamento debbono essere libere;
9. che la libertà di parola e di dibattiti
o procedura in Parlamento non possono esser poste sotto accusa o in questione
in qualsiasi corte o in qualsiasi sede fuori dal Parlamento;
10. che non debbono essere richieste
cauzioni eccessive, né imposte eccessive ammende; nè inflitte pene crudeli o
inusitate;
11. che i giurati debbono essere nelle
debite forme indicati in una lista, da notificare; e che i giurati che decidono
sulle persone nei processi per alto tradimento debbono essere liberi
proprietari;
12. che tutte le assicurazioni e minacce di
ammende o confische fatte a particolari individui prima della condanna, sono
illegali e nulli;
13. e che per riparare a tutte le
ingiustizie, e per correggere, rafforzare e preservare la legge, il Parlamento
dovrà tenersi frequentemente.
Per tutto il secolo XVII
procede intanto, soprattutto in Inghilterra, il dibattito sulla natura del
potere, sul diritto naturale e sul contratto sociale. Si delineano quattro
scuole di pensiero. Si va da Robert Filmer, che continua a sostenere l’origine
divina del potere del Sovrano, a John Warr che rivendica la sovranità popolare
in nome di Dio, in virtù della scintilla divina presente in ogni uomo. La tesi
contrattualistica del potere è invece sostenuta da Thomas Hobbes e da John
Locke ma con opposte implicazioni. Per Hobbes, lo stato di natura è
caratterizzato dal principio, già evocato in età classica, che “ogni uomo è un
lupo per l’altro uomo” [homo homini lupus], con il risultato che il
potere si accentra nelle mani del più forte e che non esiste il diritto
naturale, ma solo il diritto fondato sulla forza. Per uscire da questa
condizione di guerra incessante degli uni contro gli altri, gli uomini
accettano di divenire parte integrante di uno Stato che d’ora in avanti godrà
di un potere illimitato. Locke, al contrario, ritiene che non necessariamente
nello stato di natura gli uomini debbano combattersi fra loro, in quanto la
ragione li fa consapevoli di possedere il diritto alla vita, alla libertà e
alla proprietà. Si assoceranno, dunque, ma solo al fine di evitare
l’anarchia e di creare uno Stato per la tutela di tali diritti, e il cui potere
[avendo ben cura di separare il potere legislativo da quello esecutivo] potrà
sempre essere rimesso in discussione allorché venga meno il fine stesso della
costituita comunità politica. Saranno poi i coloni americani, circa mezzo
secolo più tardi, a mettere in pratica il liberalismo di John Locke, in parte
ispirandosi anche al Patto del Libero Popolo Inglese. Con la dichiarazione
unanime di tredici Stati Uniti d’America e la proclamazione dell’indipendenza.
Mentre sarà l’Europa continentale, ventitre anni più tardi, quasi alla fine del
XVIII Secolo, ad esporre la più compiuta tavola dei diritti umani, quelli che
l’immaginario collettivo ricorda come i principi del 1789. Ma di ciò mi
occuperò in un successivo intervento. Mi soffermo invece ancora per qualche
breve, ulteriore riflessione su quanto già detto.
Se guardiamo alla storia
dell’Occidente, si vede bene che la questione dei diritti umani restò sempre, mutatis
mutandis, nei termini in cui la ponevano gli antichi filosofi greci. Da una
parte, Trasimaco e Callicle, sostenitori del diritto del più forte – basato
sulla natura ferina dell’uomo e sull’idea di una originaria disuguaglianza che
fa gli uni più forti e/o più intelligenti e capaci di altri, gli uni atti a
comandare, gli altri a ubbidire – che legittima la privazione dei diritti umani
a vantaggio di un’aristocrazia della forza e/o dello spirito che, come nella
visione di Callicle, più che di Trasimaco, legittima lo Stato giusto perché
oligarchico e totalitario. Dall’altra, Ippia di Elide, Alcidamante e Antifonte
Sofista, che rivendicano per tutti gli uomini – in quanto una sola è la
condizione umana sulla Terra, a prescindere dalle diverse risorse e capacità –
il godimento degli stessi diritti imposti dalla medesima natura, anche contro
la legge positiva, laddove questa si manifesti in palese violazione dei diritti
fondamentali che spettano a ogni essere umano, in quanto uomo dotato di
ragione.
Da
una parte gli ideologi e i sostenitori del giuspotivismo, dell’assolutismo e
del totalitarismo, dall’altra i fondatori e i fautori del giusnaturalismo, del
liberalismo e della democrazia. Non a caso il fascismo e ancora di più il
nazismo si fecero interpreti della più grande negazione dei diritti umani che
la Storia abbia mai conosciuto, col massacro programmato – il nazismo – o
semplicemente avallato – il fascismo – di milioni di ebrei, ma anche di
zingari, omosessuali, massoni e avversari politici. Non a caso la dottrina del
fascismo, elaborata da Benito Mussolini e da Giovanni Gentile, irride ai
principi dell’Ottantanove che chiama “sacri”, “immortali”, “intangibili”, per
meglio beffarli.
“ […]Il Fascismo è contro tutte le astrazioni
individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le
utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la “felicità” sulla
terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700 […]Per
agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della
realtà e impadronirsi delle forze in atto(10).Antiindividualistica, la
concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e
volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica.(11)E’ contro il
liberalismo classico, che sorse dal bisogno di reagire all’assolutismo e ha
esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella
stessa coscienza e volontà popolare.Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse
dell’individuo particolare; il Fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera
dell’individuo.(12)E se la libertà deve essere l’attributo dell’uomo reale, e
non di quell’astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo
individualistico,il Fascismo è per la libertà. E’ per la sola libertà che possa
essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato.
(13) Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o
spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il
Fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore,
interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.(14)Il Fascismo è
contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al
livello dei più;(17)ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è
concepito, come deve essere, qualitativamente e non quantitativamente, come
l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si
attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad
attuarsi nella coscienza e volontà di tutti.(18)[Benito Mussolini, “La Dottrina del Fascismo”, Milano, 1942, Enrico
Hoepli editore]
Queste idee, a
beneplacito di chi coglie diversità tra un “primo” fascismo e il fascismo di guerra, si ritrovano già nel
1926:
“[…]siamo cioè in uno Stato
che controlla tutte le forze che agiscono in seno alla nazione. Controlliamo le
forze politiche, controlliamo le forze morali, controlliamo le forze
economiche, siamo quindi in pieno Stato corporativo fascista…
Noi rappresentiamo un principio nuovo nel mondo, noi rappresentiamo la antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola, degli immortali principi dell’89.” [S. E D.: 1926; vol. V, pagine 310-11].
Noi rappresentiamo un principio nuovo nel mondo, noi rappresentiamo la antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola, degli immortali principi dell’89.” [S. E D.: 1926; vol. V, pagine 310-11].
E prima
ancora nel Manifesto degli Intellettuali Fascisti elaborato da Giovanni Gentile
nel 1925:
“[…]questa piccola opposizione al Fascismo,
formata dai detriti del vecchio politicantismo italiano (democratico,
reazionalistico, radicale, massonico) è irriducibile e dovrà finire a grado a
grado per interno logorio e inazione, restando sempre al margine delle forze
politiche effettivamente operanti nella nuova Italia. E ciò perché essa non ha
propriamente un principio opposto ma soltanto inferiore al principio del
Fascismo, ed è legge storica che non ammette eccezioni che di due principi
opposti nessuno vinca, ma trionfi un più alto principio, che sia la sintesi di
due diversi elementi vitali a cui l’uno e l’altro separatamente si ispirano; ma
di due principi uno inferiore e l’altro superiore, uno parziale e l’altro
totale, il primo deve necessariamente soccombere perché esso è contenuto nel
secondo, e il motivo della sua opposizione è semplicemente negativo, campato
nel vuoto […]”.
E ancora sulla Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789, si veda di seguito cosa ne pensa un altro
ideologo del fascismo, all’indomani dell’invasione nazista di Parigi. Siamo nel
Luglio del 1940 [Anno XVIII dell’era fascista], l’Italia è appena entrata in
guerra e tale Adriano Lualdi non è neppure sfiorato dal sospetto della triste
sorte che alla fine toccherà, non ai francesi, ma ai camerati tedeschi. La sua
preoccupazione sta piuttosto nell’imputare a quelli che chiama tra virgolette i
“sacri principi” dell’89, la causa del decadimento fisico, morale e spirituale
che ha portato alla disfatta militare della Francia:
“[…]Non crediamo
affatto – contrariamente a quanto ritengono molti specialisti espertissimi
delle vite e delle crisi dei popoli e dei regimi - che la Francia potrà
riaversi senza troppe difficoltà e in tempo relativamente breve del gravissimo
colpo che l'ha gettata a terra. La catastrofe della Francia non è un fatto
accidentale, come di uno che incèspica e cade: è la ineluttabile logica
conclusione di un lungo processo di decadimento fisico morale spirituale e
politico al quale tutti i francesi hanno pazientemente e volonterosamente
collaborato per lunga serie di anni: è il completo fallimento dei «sacri
principi» della rivoluzione dell'89, e dei loro modi e metodi di applicazione,
e del clima morale che da essi principi, e dalle loro degenerazioni, fatalmente
derivò, avvelenando tutta intera la Nazione.
I «sacri principi» furono dichiarati e riguardati dai francesi - e pare lo siano ancora - come «intangibili». Ma non valsero a rendere intangibile l'anima della Francia, che ne rimase uccisa”.
I «sacri principi» furono dichiarati e riguardati dai francesi - e pare lo siano ancora - come «intangibili». Ma non valsero a rendere intangibile l'anima della Francia, che ne rimase uccisa”.
Può
anche darsi che abbia ragione lo storico israeliano Zeev Sternhell [Nel saggio
del 1989, Le origini dell’ideologia fascista, tradotto in italiano
quattro anni dopo da G. Mori per Baldini Castoldi], nel sostenere la netta
distinzione tra fascismo e nazismo, e nel ritenere il fascismo, non tanto e non
solo la reazione della classe dominante in combutta con la media e piccola
borghesia, ma tendenzialmente la sintesi dell’incontro di due distinte eresie:
“un radicalismo di destra, eretico rispetto alla destra moderata e conservatrice che tassa il
macinato, fucila i cafoni, cannoneggia il popolo e decora Bava Beccaris; e un
radicalismo di sinistra, eretico rispetto alla sinistra riformista e
progressista, pacifista e codarda”.
Comunque
sia, resta il fatto che il fascismo fu per principio, come ogni totalitarismo
di destra e di sinistra, nemico giurato dei diritti umani.
sergio
magaldi
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