martedì 10 marzo 2015

LA CONSAPEVOLEZZA DEI DIRITTI UMANI [Parte prima]

La Petizione dei Diritti (1628)- An Agreement of Free People of England (1647-1649) - Bill of Rights (1689]

 N.B.  Il post è stato pubblicato per la prima volta sul sito del Movimento Roosevelt .

 Chi fa parte del Movimento Roosevelt [MR] – al di là di una legittima pluralità di idee e di propositi anche diversi, ma auspicabilmente convergenti – non può ignorare la fonte dei diritti umani, il momento storico della loro formulazione e successiva elaborazione, nonché il progressivo riferimento che trovarono nella carta costituzionale di molti paesi, anche a prescindere dalla loro effettiva realizzazione nell’ambito della società civile.

 Il dibattito sui diritti umani inizia già nell’antichità classica e procede di pari passo col più ampio confronto su ciò che debba intendersi per giustizia e diritto naturale. Nel I libro della Repubblica di Platone, il sofista Trasimaco identifica il diritto naturale nel diritto del più forte, con la conseguenza che leggi e giustizia rappresentano solo l’utile di chi ha il potere perché è il più forte. Insomma, per dirla con Cicerone [De Officiis, I,10,33] Summum ius, summa iniura. Dice Trasimaco a Socrate:

 “[…] Ogni governo stabilisce sempre le sue leggi  a seconda del proprio interesse, la democrazia istituisce leggi democratiche, la tirannide tiranniche e così via: una volta poi stabilite queste leggi i governanti dichiarano che per i sudditi giusto è ciò che giova a loro, e chi trasgredisce è punito come trasgressore delle leggi, come violatore della giustizia. Ecco, amico mio, in che consiste questa giustizia che io affermo essere di fatto sempre la stessa in tutte le città: ciò che giova al potere costituito. Esso possiede, infatti, la forza, perciò per chi ragiona rettamente, segue che ovunque il giusto consiste sempre nella stessa cosa, in ciò che giova al più forte”. [Repubblica, 338e-343]

 Partendo  dallo stesso presupposto, e cioè che in natura vige il diritto del più forte, nel Gorgia platonico, Callicle, un altro sofista, rovescia il punto di vista di Trasimaco. Leggi e diritti sono solo l’espediente escogitato dai più deboli che si uniscono insieme per impedire l’affermazione dell’unica giustizia esistente in natura: il diritto del più forte.

 Ma nell’Atene del V secolo, nel fervido clima culturale favorito dalla democrazia di Pericle, altri sofisti si levano per affermare tesi completamente opposte a quelle di Trasimaco e di Callicle: Ippia di Elide nel sostenere che “tutti gli uomini sono congiunti tra loro, perché il simile è per natura parente del simile”; Alcidamante [cfr. Aristotele, Retorica] col proclamare la libertà originaria dell’uomo, giacché “la natura non creò nessuno schiavo”; Antifonte Sofista per sottolineare il contrasto esistente tra legge [nomos] e natura [fusis], la violazione che la norma di diritto positivo compie di frequente nei confronti dei diritti che appartengono all’uomo per natura, la sostanziale uguaglianza naturale di tutti gli uomini:

 “Noi rispettiamo e veneriamo coloro che hanno nobili natali, ma non rispettiamo e non veneriamo chi è di oscura nascita. In questo ci comportiamo gli uni verso gli altri da barbari, perché per natura in tutto e per tutto siamo tutti uguali, sia barbari che Greci. Basta considerare le necessità naturali proprie di tutti gli uomini: sotto questo aspetto nessuno di noi può essere definito barbaro o greco. Noi tutti respiriamo, infatti l’aria con la bocca, con le narici e…”[Oxyrh, Pap., XI, n.1364, ed. Hunt, Fragm. B.,col.2:D.-K.,87 B.44.]

  Per quanto posta su basi materiali, la concezione di Antifonte – unitamente alle affermazioni di Ippia e Alcidamante – rappresenta l’espressione ante litteram del giusnaturalismo, con l’idea che il diritto naturale si fondi sulla ragione, con la conseguente individuazione dei primi diritti umani inalienabili, e non più sui suoi istinti ferini. Non a caso, nel XVII Secolo, a seguito di tutto un fiorire nella cultura occidentale di scritti che rompono con il diritto canonico, Grozio enuncia i principi del moderno giusnaturalismo, in base al quale il diritto naturale perde la sua fonte giustificativa nella legge divina, per trarre il suo fondamento unicamente dalla ragione umana. Contestualmente, con Johannes Althusius si affaccia nella storia il principio della sovranità popolare e la legittimità di ogni comunità umana tramite un contratto esplicito o implicito.

 La prima moderna rivendicazione di diritti umani, ancorché limitata alla sicurezza personale e al patrimonio, fondata però sul diritto naturale e sulla tesi contrattualistica del potere è La Petizione dei Diritti che nel 1628 il Parlamento Inglese invia al re Carlo I. Promossa da Sir Edward Coke, la Petizione contiene  quattro principi: 1) Nessuna tassa può essere imposta dal Sovrano senza il consenso del Parlamento. 2) Nessuno può essere imprigionato senza una prova [ribadendo un principio della Magna Charta, già noto come “habeas corpus”]. 3) Nessun soldato può essere alloggiato a carico della popolazione. 4) Nessuna legge marziale ha valore in tempo di pace.

 Una più ampia ed elaborata rivendicazione di diritti umani si ha nel corso della I Rivoluzione Inglese, con il Patto del Libero Popolo Inglese [An Agreement of the Free People of England], elaborato tra il 1647 e il 1649. La modernità del Patto sta innanzi tutto nel riconoscere la sovranità al Popolo prima ancora che al Parlamento. Si legge tra l’altro nelle conclusioni:

 È chiaro il motivo per cui noi vogliamo istituire un patto col popolo e dichiarare quali siano i nostri diritti naturali, piuttosto che chiedere al Parlamento di sancirli: nessun atto del Parlamento è, o può essere, immodificabile, per cui non esclude con garanzia sufficiente - per la vostra e la nostra sicurezza - la possibilità che un altro Parlamento si lasci corrompere e decida in senso contrario. Inoltre, il Parlamento deriva potere e rappresentatività da coloro che glieli trasmettono. Il popolo deve quindi specificare in che cosa consiste tale potere e tale rappresentatività, ed è appunto questo che si prefigge il nostro patto”.






 Tra i punti di particolare significato, c’è la libertà religiosa:

  “Tutto ciò che concerne la religione e il culto non può essere in alcun modo da noi demandato a un potere  terreno, dal momento che non possiamo, senza commettere deliberatamente un peccato, rinunciare anche in minima parte a ciò che la nostra coscienza dichiara essere la volontà di Dio: inoltre, l'insegnamento in questo campo alla nazione intera - mai però con la forza - resta affidato alla coscienza”.

 C’è inoltre l’abolizione delle decime e la fine della coscrizione obbligatoria che sarà sostituita dall’arruolamento volontario di soldati a pagamento:

 “Obbligare i cittadini a servire  nell'esercito  va contro la loro libertà, e perciò non possiamo permettere che i nostri rappresentanti ci costringano a questo servizio. Al contrario, riteniamo che essi, grazie al denaro che hanno sempre a disposizione (l'arma principale di ogni guerra) potranno arruolare in qualsiasi momento un numero sufficiente di soldati che combattano per una causa giusta”.

  E ancora, c’è l’estensione del diritto di voto “a tutti gli uomini dai ventun anni in su”; l’ineleggibilità parlamentare dei membri delle forze armate salariate e degli amministratori di denaro pubblico; l’obbligo per gli avvocati di astenersi dalla professione durante l’esercizio del mandato parlamentare; l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di “potere, ricchezze, titoli, nobiltà, nascita, posizione sociale”.

 Con l’ascesa al potere del Cromwell e la proclamazione della Repubblica [Commonwealth]  e successivamente con la restaurazione degli Stuart, i diritti umani sanciti dal Patto del Libero Popolo Inglese furono vanificati e neppure con la seconda rivoluzione e l’incoronazione di Guglielmo d’Orange tornarono in auge. Nel 1689 fu però riconosciuto dal nuovo sovrano il Bill of Rights che dettava regole per la successione al trono e che, pur parlando di sudditi e non più di cittadini, riconosceva al Parlamento libertà di parola e di stampa. In particolare il Bill of Rights si compone di 13 articoli che hanno il fine di stabilire cosa debba ritenersi illegale e quali incontestabili diritti debbano essere garantiti alle Camere dei Lords e dei Comuni, in quanto organi di espressione della volontà popolare:
        1. che  il preteso potere di sospendere le leggi o l’esecuzione delle leggi, in forza dell’autorità regia, senza il consenso del Parlamento, è illegale;
     2. che  il  preteso potere di dispensare dalle leggi o dall’esecuzione delle leggi, in forza dell’autorità regia, come è stato assunto ed esercitato in passato, è illegale;
     3. che il mandato per costituire la passata Court of Commissionners per le cause ecclesiastiche, e tutti gli altri mandati e corti di analoga natura, sono illegali e pericolosi;
     4. che levare tributi per la Corona o per il suo uso, su pretesa di prerogativa, senza la concessione del Parlamento, per un tempo più prolungato o in un modo diverso da quello che è stato o sarà stato concesso, è illegale;
     5. che è diritto dei sudditi avanzare petizioni al re, e che tutti gli arresti o le procedure d’accusa per tali petizioni sono illegali;
     6. che levare o tenere un esercito permanente all’interno del regno in tempo di pace, senza che ciò sia col consenso del parlalento, è illegale;
     7. che i sudditi protestanti possono avere armi per la loro difesa conformemente alle loro condizioni e come consentito dalla legge;
     8. che le elezioni dei membri del Parlamento debbono essere libere;
     9. che la libertà di parola e di dibattiti o procedura in Parlamento non possono esser poste sotto accusa o in questione in qualsiasi corte o in qualsiasi sede fuori dal Parlamento;
     10. che non debbono essere richieste cauzioni eccessive, né imposte eccessive ammende; nè inflitte pene crudeli o inusitate;
     11. che i giurati debbono essere nelle debite forme indicati in una lista, da notificare; e che i giurati che decidono sulle persone nei processi per alto tradimento debbono essere liberi proprietari;
     12. che tutte le assicurazioni e minacce di ammende o confische fatte a particolari individui prima della condanna, sono illegali e nulli;
     13. e che per riparare a tutte le ingiustizie, e per correggere, rafforzare e preservare la legge, il Parlamento dovrà tenersi frequentemente.

 Per tutto il secolo XVII procede intanto, soprattutto in Inghilterra, il dibattito sulla natura del potere, sul diritto naturale e sul contratto sociale. Si delineano quattro scuole di pensiero. Si va da Robert Filmer, che continua a sostenere l’origine divina del potere del Sovrano, a John Warr che rivendica la sovranità popolare in nome di Dio, in virtù della scintilla divina presente in ogni uomo. La tesi contrattualistica del potere è invece sostenuta da Thomas Hobbes e da John Locke ma con opposte implicazioni. Per Hobbes, lo stato di natura è caratterizzato dal principio, già evocato in età classica, che “ogni uomo è un lupo per l’altro uomo” [homo homini lupus], con il risultato che il potere si accentra nelle mani del più forte e che non esiste il diritto naturale, ma solo il diritto fondato sulla forza. Per uscire da questa condizione di guerra incessante degli uni contro gli altri, gli uomini accettano di divenire parte integrante di uno Stato che d’ora in avanti godrà di un potere illimitato. Locke, al contrario, ritiene che non necessariamente nello stato di natura gli uomini debbano combattersi fra loro, in quanto la ragione li fa consapevoli di possedere il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Si assoceranno, dunque, ma solo al fine di evitare l’anarchia e di creare uno Stato per la tutela di tali diritti, e il cui potere [avendo ben cura di separare il potere legislativo da quello esecutivo] potrà sempre essere rimesso in discussione allorché venga meno il fine stesso della costituita comunità politica. Saranno poi i coloni americani, circa mezzo secolo più tardi, a mettere in pratica il liberalismo di John Locke, in parte ispirandosi anche al Patto del Libero Popolo Inglese. Con la dichiarazione unanime di tredici Stati Uniti d’America e la proclamazione dell’indipendenza. Mentre sarà l’Europa continentale, ventitre anni più tardi, quasi alla fine del XVIII Secolo, ad esporre la più compiuta tavola dei diritti umani, quelli che l’immaginario collettivo ricorda come i principi del 1789. Ma di ciò mi occuperò in un successivo intervento. Mi soffermo invece ancora per qualche breve, ulteriore riflessione su quanto già detto.

 Se guardiamo alla storia dell’Occidente, si vede bene che la questione dei diritti umani restò sempre, mutatis mutandis, nei termini in cui la ponevano gli antichi filosofi greci. Da una parte, Trasimaco e Callicle, sostenitori del diritto del più forte – basato sulla natura ferina dell’uomo e sull’idea di una originaria disuguaglianza che fa gli uni più forti e/o più intelligenti e capaci di altri, gli uni atti a comandare, gli altri a ubbidire – che legittima la privazione dei diritti umani a vantaggio di un’aristocrazia della forza e/o dello spirito che, come nella visione di Callicle, più che di Trasimaco, legittima lo Stato giusto perché oligarchico e totalitario. Dall’altra, Ippia di Elide, Alcidamante e Antifonte Sofista, che rivendicano per tutti gli uomini – in quanto una sola è la condizione umana sulla Terra, a prescindere dalle diverse risorse e capacità – il godimento degli stessi diritti imposti dalla medesima natura, anche contro la legge positiva, laddove questa si manifesti in palese violazione dei diritti fondamentali che spettano a ogni essere umano, in quanto uomo dotato di ragione.

 Da una parte gli ideologi e i sostenitori del giuspotivismo, dell’assolutismo e del totalitarismo, dall’altra i fondatori e i fautori del giusnaturalismo, del liberalismo e della democrazia. Non a caso il fascismo e ancora di più il nazismo si fecero interpreti della più grande negazione dei diritti umani che la Storia abbia mai conosciuto, col massacro programmato – il nazismo – o semplicemente avallato – il fascismo – di milioni di ebrei, ma anche di zingari, omosessuali, massoni e avversari politici. Non a caso la dottrina del fascismo, elaborata da Benito Mussolini e da Giovanni Gentile, irride ai principi dell’Ottantanove che chiama “sacri”, “immortali”, “intangibili”, per meglio beffarli.

  “ […]Il Fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la “felicità” sulla terra come fu nel desiderio della letteratura economicistica del `700 […]Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto(10).Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica.(11)E’ contro il liberalismo classico, che sorse dal bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare.Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il Fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell’individuo.(12)E se la libertà deve essere l’attributo dell’uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico,il Fascismo è per la libertà. E’ per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato. (13) Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il Fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo.(14)Il Fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più;(17)ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come deve essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti.(18)[Benito Mussolini, “La Dottrina del Fascismo”, Milano, 1942, Enrico Hoepli editore]

 Queste idee, a beneplacito di chi coglie diversità tra un “primo” fascismo e il  fascismo di guerra, si ritrovano già nel 1926:

 […]siamo cioè in uno Stato che controlla tutte le forze che agiscono in seno alla nazione. Controlliamo le forze politiche, controlliamo le forze morali, controlliamo le forze economiche, siamo quindi in pieno Stato corporativo fascista…
Noi rappresentiamo un principio nuovo nel mondo, noi rappresentiamo la antitesi netta, categorica, definitiva di tutto il mondo della democrazia, della plutocrazia, della massoneria, di tutto il mondo, per dire in una parola, degli immortali principi dell’89.”
[S. E D.: 1926; vol. V, pagine 310-11].

 E prima ancora nel Manifesto degli Intellettuali Fascisti elaborato da Giovanni Gentile nel 1925:

 “[…]questa piccola opposizione al Fascismo, formata dai detriti del vecchio politicantismo italiano (democratico, reazionalistico, radicale, massonico) è irriducibile e dovrà finire a grado a grado per interno logorio e inazione, restando sempre al margine delle forze politiche effettivamente operanti nella nuova Italia. E ciò perché essa non ha propriamente un principio opposto ma soltanto inferiore al principio del Fascismo, ed è legge storica che non ammette eccezioni che di due principi opposti nessuno vinca, ma trionfi un più alto principio, che sia la sintesi di due diversi elementi vitali a cui l’uno e l’altro separatamente si ispirano; ma di due principi uno inferiore e l’altro superiore, uno parziale e l’altro totale, il primo deve necessariamente soccombere perché esso è contenuto nel secondo, e il motivo della sua opposizione è semplicemente negativo, campato nel vuoto […]”.

 E ancora sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, si veda di seguito cosa ne pensa un altro ideologo del fascismo, all’indomani dell’invasione nazista di Parigi. Siamo nel Luglio del 1940 [Anno XVIII dell’era fascista], l’Italia è appena entrata in guerra e tale Adriano Lualdi non è neppure sfiorato dal sospetto della triste sorte che alla fine toccherà, non ai francesi, ma ai camerati tedeschi. La sua preoccupazione sta piuttosto nell’imputare a quelli che chiama tra virgolette i “sacri principi” dell’89, la causa del decadimento fisico, morale e spirituale che ha portato alla disfatta militare della Francia:

 “[…]Non crediamo affatto – contrariamente a quanto ritengono molti specialisti espertissimi delle vite e delle crisi dei popoli e dei regimi - che la Francia potrà riaversi senza troppe difficoltà e in tempo relativamente breve del gravissimo colpo che l'ha gettata a terra. La catastrofe della Francia non è un fatto accidentale, come di uno che incèspica e cade: è la ineluttabile logica conclusione di un lungo processo di decadimento fisico morale spirituale e politico al quale tutti i francesi hanno pazientemente e volonterosamente collaborato per lunga serie di anni: è il completo fallimento dei «sacri principi» della rivoluzione dell'89, e dei loro modi e metodi di applicazione, e del clima morale che da essi principi, e dalle loro degenerazioni, fatalmente derivò, avvelenando tutta intera la Nazione.
I «sacri principi» furono dichiarati e riguardati dai francesi - e pare lo siano ancora - come «intangibili». Ma non valsero a rendere intangibile l'anima della Francia, che ne rimase uccisa”.

 Può anche darsi che abbia ragione lo storico israeliano Zeev Sternhell [Nel saggio del 1989, Le origini dell’ideologia fascista, tradotto in italiano quattro anni dopo da G. Mori per Baldini Castoldi], nel sostenere la netta distinzione tra fascismo e nazismo, e nel ritenere il fascismo, non tanto e non solo la reazione della classe dominante in combutta con la media e piccola borghesia, ma tendenzialmente la sintesi dell’incontro di due distinte eresie: “un radicalismo di destra, eretico rispetto alla destra moderata e conservatrice che tassa il macinato, fucila i cafoni, cannoneggia il popolo e decora Bava Beccaris; e un radicalismo di sinistra, eretico rispetto alla sinistra riformista e progressista, pacifista e codarda”.

 Comunque sia, resta il fatto che il fascismo fu per principio, come ogni totalitarismo di destra e di sinistra, nemico giurato dei diritti umani.


sergio magaldi

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