Nella
letteratura ermetica non c'è forse equivoco maggiore di quello generato dalla
figura dell'androgino. La fonte, comune ad altre tradizioni, è nei due noti
versetti del Genesi biblico, in cui è
detto che Dio creò l'uomo a propria immagine e somiglianza (Genesi, 1:26) e che lo creò maschio e
femmina (Genesi, 1:27).
Da allora
non si è smesso quasi di assegnare a Dio entrambi i sessi, [1]
dimenticando, per esempio, che, nella concezione ermetica, Dio è privo di forma
e tralasciando di indagare la natura reale del frutto della divina creazione.
Potremmo altrimenti scoprire che l'Adam
Qadmon non è in alcun modo da confondersi con un ipotetico uomo cosmico di
natura bisessuale e neppure con la sua larvata presenza asessuata e tuttavia
spiritualmente comprensiva tanto del principio femminile che di quello
maschile.
E pare
proprio che le due interpretazioni si dividano il campo, l'una inferendo che
l'androgino Adamo è il riflesso di Dio, l'altra osservando che l'androginia di
Adamo è soltanto spirituale perché l'uomo fu creato a immagine e somiglianza di
Dio ma solo per l'anima.
Così,
chi attribuisce fisicità e umanità all'Adam
Qadmon non sfugge alla necessità di dover attribuire a Dio forma e
bisessualità, chi, al contrario, opta per lo spirito, perde, per così dire, il
bandolo della matassa perché concepisce Adamo, prima ancora del peccato che lo
escluderà dalla condizione edenica e immortale, come un essere metà spirito,
per ciò che è fatto a immagine e somiglianza di Dio, e metà carne, per ciò che,
fisicamente, egli è fatto di terra (Adamah). Ma, se è
fatto di terra, Adamo, nascendo, è già condannato al male e alla morte, a meno
che...a meno che il compito affidatogli non sia proprio quella di trasformare
la propria terra corruttibile in metallo incorruttibile. Ma, chiamato alla
prova, Adamo fallisce e, in luogo dell'oro, mostra intatta la zavorra con cui è
stato formato dal suo creatore.
E’ interessante osservare come il
cabbalista medievale Joseph Gikatila attribuisca la 'caduta' di Adamo al non aver saputo attendere che il frutto
dell'albero fosse maturo, prima di
cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano precipitandolo nel
regno della vita e della morte. Il frutto dell'albero della vita si mutò così
nel frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male.
Scrive Gikatila in Cha 'aré Orah (Le Porte della Luce):
"Il serpente primordiale...inflisse un
danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del primo uomo, il quale...non
attese che (il serpente) mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero
sarebbe stato chiamato del bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne
tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto
dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza..." (f. 105a).
La luna, che nel linguaggio cabbalistico
rappresenta anche la terra, nell'accezione ermetica simboleggia la materia prima. Il serpente, simbolo ctonio per eccellenza, bene traduce la forma di Adamo fatta di terra, non già
le sembianze di Dio, privo di forma ma spesso idolatrato come Grande Androgino.
Tutto ciò dimostra che non c'è che un albero e che la terra si sarebbe trasformata se Adamo avesse saputo attendere. I
denti non gli si sarebbero legati se egli non si fosse cibato del frutto ancora
acerbo. Solo mangiando del frutto maturo, segno dell'avvenuta
trasformazione, Adamo avrebbe guadagnato l'immortalità.
D'altra parte, la prova cui Adamo dovette sottostare non fu capriccio divino. Dio,
infatti, non avrebbe potuto concepirlo del tutto identico a sé, creando un
altro se stesso, ma solo a propria immagine e somiglianza, così come fece,
mediante il suo spirito e dandogli
forma col fango della terra (Genesi,
2:7). La presunzione e l'impazienza persero Adamo. La prima, nel fargli credere
di essere in tutto e per tutto simile a Dio (mentre Dio non ha forma), la
seconda nel ritenere che, in breve tempo, anche il suo potere sarebbe stato
identico a quello di Dio.
Scrive ancora Gikatila in Sod ha - Nahach (Il Segreto del
Serpente):
"... E' per questo motivo che Dio
comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin quando il
bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno e
l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio,
com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel Palazzo
(T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno." (f. 276a-b).
Il
prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta,
il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si
sarebbe mutata nell'oro dello
spirito.
Il 'sogno
divino' di mutare la terra in oro è votato allo scacco? Il Golem ha fallito la
prova? Peggio per lui! Che ci riprovi da solo, ma fuori dell'Eden e in
condizioni difficili. Saranno proprio le difficoltà ad acuire il suo ingegno e
forse un giorno gli riuscirà finalmente di rendere al creatore la terra
ricevuta... trasformata in oro.
L'idea di
un Grande Androgino primordiale si spiega con l'esigenza di coniugare insieme
la capacità di generare (principio femminile) e il principio maschile o
fecondatore e benché la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò tutto con
la parola, quando egli pronuncia per
l'ottava volta le parole creative (i dieci 'Dio disse' del primo capitolo del Genesi) non può fare a meno di rivelare la sua natura - di cui
l'uomo partecipa in immagine e somiglianza - di maschio e di femmina allo
stesso tempo.
La
medesima esigenza conduce numerose altre tradizioni ad assumere una concezione
per lo più identica, [2]
anche se la tradizione egizia e la maggior parte delle tradizioni orientali,
eliminando il ruolo determinante della vagina e dell'utero fanno nascere tutto
da un gesto solitario del Dio primordiale.
Ciò non
esclude, d'altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità androgine.
Una è Hapi, dio del Nilo, le cui acque celano il fuoco fecondatore, raffigurato
come un uomo pingue e dotato di mammelle; l'altra è Mut, grande madre, dotata
insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella
mitologia greca, alla dea Cibele. [3]
Le due divinità, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante
masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla
quale appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside,
sole e luna.
Tutta la
questione non è di poco conto se si considera l'imbarazzo e lo scandalo che da
sempre ha suscitato nella maggior parte delle coscienze l'idea di un Dio attivo e insieme passivo, di un uomo che,
riflettendo l'immagine del proprio creatore, sia ad un tempo capace di
fecondare e di generare. Poiché, d'altra parte, la realtà mostra che il maschio
è solo capace di fecondare, riservando semmai ogni atto generativo alle opere
della mente, fu di necessità provvedere alla separazione dei sessi.
Il Genesi risolve il problema con altri due
versetti. Nel primo (Genesi, 2:21)
affermando che ' ...il Signore Dio mandò
ad Adamo un profondo sonno ' e che
'mentre era addormentato, prese da
lui una costola che sostituì con carne'; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione (non la creazione!) della donna e presentandola al
sonnolento e intorpidito Adamo.
A tale
semplice e lineare conclusione, comunemente accettata, fa spesso riscontro,
nella tradizione occidentale, la visione più complessa e fantastica introdotta
dal Simposio platonico. E per quanto
anche qui si parli di un dio (Zeus) separatore,
diversi sono i presupposti: l'androgino che subisce la separazione non è già
più l'immagine speculare di un Dio, perché Zeus è un dio maschio e per quanto
egli si unisca occasionalmente anche con giovani del suo stesso sesso, egli non
dispone di organi sessuali femminili, ma piuttosto dà sfogo alle proprie
passioni indotte, se non addirittura protette dal costume, dove i vizi degli
uomini sono identici a quelli degli dei.
Così,
l'androgino descritto da Platone, rinvia, per le sue fonti, ad una realtà ben
più arcaica e primordiale, quando Zeus non era e i sessi si manifestavano
congiunti nell'indistinzione caotica della natura
naturans. Insomma, il mito di Cibele e di Agdistis .
Ignorando
il problema di un dio fecondatore e insieme capace di generare, problema che
certo non compete a Zeus, dio relativamente giovane del politeismo greco,
Platone immagina tre sessi originari: il maschio, la femmina e l'androgino.
Distinzione questa che ripropone inconsciamente il rapporto tra una divinità
primordiale, antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della natura umana
quale si manifesta con la polarità
maschio - femmina.
Ciò che
nel Simposio, Aristofane dice a
Eurissimaco, presuppone non solo l'esistenza di un Grande Androgino originario,
ma attesta altresì di una ubris fondamentale
presente nell'androgino umano, superbia
e vigore in eccesso che, esattamente come avviene per Agdistis, devono essere
puniti.
"Dunque - dice Aristofane -
i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine
dal sole, il femminile dalla terra, mentre l'altro, partecipe di entrambi,
dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi
rotondi di forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro
genitori. Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e
attentavano agli dei..." [4]
Fu
così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma, esattamente come
per Agdistis, la punizione non comportò la privazione della vita, ciò che -
osserva Platone - avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici
che gli uomini attribuivano agli dei e, se Agdistis fu evirato, gli androgini
videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di allora, dedicarono
l'esistenza alla ricerca della metà resecata. [5]
E ciò non tanto col desiderio di unirsi alla propria opposta polarità, come
vorrebbe far credere un'interpretazione falsamente poetica che, solo nel
matrimonio, santifica l'unione dei sessi, ma con l'idea della più completa
reintegrazione dell'androgino primordiale. Il che, poi, non è tanto una
metafora poetica dal momento che esiste un'abbondante letteratura
sull'androginia e una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti
figurative.
La
questione, talora ossessiva, si riassume nella domanda di Herman Melville:
"What Cosmic jest or Anarch blunder
The human integral clove asunder
And shied the fractions through life's
gate? (Quale scherzo cosmico o errore
dell'Anarca / ha spaccato l'essere umano integro / e ha lanciato i frammenti
attraverso la porta della vita?) " [6]
Evidente, nei versi di Melville, il rimpianto per la condizione edenica quando Adamo non conosce Eva ed è ancora l'Adam Qadmon, l'uomo cosmico creato a immagine e somiglianza del Grande Androgino. La legittima aspirazione a riconoscere e celebrare le due polarità della natura umana si muta nel desiderio impossibile e titanico di un uomo considerato integro, perché dotato di entrambi i sessi, a imitazione del suo fantomatico e carnale creatore.
C'è di
più: il mito dell'androgino, sotto il velo poetico e religioso, cela un'altra
verità. L'avversione e l'invidia maschile per la femmina alla quale soltanto è
concesso di generare, tant'è che, per un verso si dice che la donna è
costruita, non creata [7]
e, per altro verso, si pretende di annullare l'identità femminile, di farne a meno, per così dire, a tutto
vantaggio di un ibrido di entrambi i
sessi, sublimato per essere a
immagine e somiglianza di Dio, come lui maschio
bisessuato, dotato di straordinari poteri. [8]
Questa
visione antropomorfa, maschile e materialista della divinità si trova, con
diverse accentuazioni, in tutte le religioni e nella tradizione ebraico -
cristiana trova la sua pietra d'inciampo nell'allegoria del serpente e della
scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno
mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva
che, in luogo di reintegrarsi nell'Uomo cosmico, si trasformano in simia dei, scimmia di Dio.
Così,
l'androgino, lungi dall'essere 'un nuovo stato in cui le caratteristiche
essenziali del maschio e della femmina coesistono armoniosamente' [9]
o il luogo a cui 'la mente s'innalza al di sopra dei nomi e delle forme' e dove
'anche le divisioni sessuali vengono superate', [10]
lungi dal rappresentare il ritorno alla condizione edenica e a Dio, ne è
piuttosto l'allontanamento, con la discesa nel caos indistinto della natura
naturans, dove ogni identità scompare nella babele delle forme, perché ogni
forma è ancora lontana dall'individuazione.
[11]
Il Pimandro, sulla scia del Genesi, ripropone la bisessualità
fondamentale della natura umana, [12]
la successiva separazione dei sessi per volere divino [13]
e il conseguente appello all'accrescimento e alla moltiplicazione del genere
umano [14].
In altri
trattati ermetici, tuttavia, si fa strada una più complessa dinamica dei
rapporti uomo - Dio. E' il mondo, inteso come totalità del reale, ad essere
creato a immagine di Dio, non l'uomo, e se il creatore è eterno e ingenerato (aidios),
la
realtà (mondo, cosmo) che è
generata, è soltanto immortale (atanatos). L'uomo, invece, non è né eterno né immortale,
perché generato dal mondo, sebbene egli partecipi dell'immortalità mediante
l'intelletto (nous) [15]:
"Primo di tutti
gli esseri, in realtà è Dio, eterno, ingenerato, creatore dell'universo;
secondo è colui che è stato creato da Dio a sua immagine e che da Dio è tenuto
in vita, nutrito e dotato di immortalità...Il Padre dunque, generandosi da sé,
è eterno, il mondo invece, essendo generato dal Padre, è generato ed è
immortale. E quanta materia era soggetta alla sua volontà, tutta questa il
Padre la foggiò in forma di corpo e, avendole dato un volume, la rese
sferica...Dio circondò il tutto di immortalità, affinché, anche se la materia
volesse separarsi dalla composizione di questo corpo, non potesse dissolversi
tornando al disordine che le è proprio...I corpi degli esseri celesti
possiedono un unico ordine, quello che hanno ricevuto dal Padre fin dalla loro
origine; e quest'ordine è conservato immutabile dal ritornare periodico di
ciascuno di essi al suo posto primitivo (il
ritorno periodico degli astri a un punto fissato della loro traiettoria, indica
quindi l'immobilità dell'ordine celeste)...Il terzo essere vivente è
l'uomo, creato a immagine del mondo, e che, a differenza degli altri esseri
terrestri, possiede l'intelletto per volontà del Padre; non solo è unito per
affinità al secondo dio, ma può conoscere il primo dio con la facoltà
intellettiva." [16]
Il
medesimo concetto, dell'uomo creato a immagine del mondo, è ripreso nel IX Discorso,
[17]
nel X per sostenere che il mondo è bello ma non buono perché
soggetto a passioni [18] e per
ribadire la gerarchia degli esseri: Dio, il cosmo e l'uomo [19]. E' ripreso
di nuovo nel discorso che l'intelletto o nous rivolge a
Ermete per meglio fissare, in
rapporto a Dio, i concetti di eternità, cosmo o mondo, tempo e divenire [20] e per
definire, in rapporto al cosmo, i reali significati di morte, trasformazione,
visibile, invisibile, rotazione e sparizione.[21]
Per quanto la concezione ermetica ricordi
il Timeo platonico nel fare del cosmo
l'immagine dell'eternità, passaggio dal caos all'ordine, topos generato e immortale [22]; per quanto i
trattati parlino del cosmo come di un secondo dio, non bisogna dimenticare il carattere sostanzialmente
monoteistico della teologia ermetica: ei kai monos, uno e solo, è il
fondamento stesso della divinità e il nous così parla ad Ermete:
"Che
esista dunque un creatore di queste cose, è chiaro; che sia anche unico, è
ancora più evidente; una è l'anima, infatti, una la materia, una la vita. Chi è
dunque questo creatore? Chi altro se non Dio, che è unico? A chi altro infatti
si converrebbe creare esseri animati, se non a Dio solo? Dio dunque è unico.
Sarebbe una cosa del tutto ridicola: hai ammesso con me che il mondo è sempre
uno, uno il sole, una la luna, una l'attività divina, e vorresti che Dio
proprio lui, fosse membro di una serie?"[23]
Dio - uno è davvero il Grande Androgino descritto
nel primo capitolo del Genesi, in
alcuni trattati ermetici e nel pantheon delle diverse religioni? In contrasto
con quanto si afferma sia nel Pimandro che
nell' Asclepio, nel già menzionato
discorso del nous ad Ermete, la soluzione prospettata, nonostante l'apparente dualismo, è
decisamente in armonia col pensiero complessivo dell'ermetismo. Per un verso
Dio, come principio trascendente, è incorporeo e dunque privo di forma, per
altro verso Dio, creatore del cosmo, presenta tutte le forme:
"Il mondo è multiforme, non perché contiene in sé stesso le
forme, ma perché muta in se stesso. Poiché dunque il mondo è stato creato
multiforme, come può essere colui che lo ha creato? Non potrebbe essere privo
di forma. D'altra parte, se egli è multiforme, risulta che è uguale al mondo.
Ma se possiede una sola forma?In questo sarà inferiore al mondo. Come possiamo
dunque dire che è, per non lasciare il discorso senza una conclusione certa?
Niente vi è infatti di dubbio per noi nella conoscenza di Dio. Dio quindi ha
una sola forma che sia propria di Dio, la quale non sia però oggetto degli
organi della vista, e cioè incorporea; Dio presenta tutte le forme attraverso i
corpi." [24]
Poiché,
dunque, c'è forma solo per rapporto alla materia, Dio non ha forma, né può improntare di sé una qualsiasi forma da trasmettere all'uomo. Analogamente per gli Stoici Dio non ha forma umana: "Omitto de figura dei dicere, quia Stoici negant habere ullam formam deum (Preferisco non parlare dell'aspetto di dio, perché gli Stoici escludono del tutto che dio abbia forma)", scrive Lattanzio (Stoici antichi, cit., fr. (B.f)1057, p. 899) e Clemente Alessandrino annota: "Dio per ascoltare non ha bisogno di avere forma umana, né gli servono i sensi, come dicevano gli Stoici, in specie quello della vista e dell'udito..." (Ibid., fr. (B.f)1058, p.901). Del pari, si osservi, per tornare sull'argomento introdotto con la nota 23, che anche Giordano Bruno, nel De la causa, principio e uno, esclude che a Dio appartenga forma umana, vuoi che questo significhi - come sostiene Augusto Guzzo (op.cit., nota 3, p. 210) - un comune sentire con l'eleatismo e il pitagorismo, vuoi piuttosto con l'ermetismo di cui parla la Yates, per ciò che lo stesso Guzzo ritiene sotteso (Ibid., nota 1, p. 210) quel 'primo principio sopranaturale' che invece a me pari manchi intenzionalmente nel brano di seguito citato e che, ove anche fosse presente in 'spirito', rimanderebbe a un Dio - Cosmo, uno e totalizzante. Ciò che, a mio giudizio, rende di nuovo il Nolano concettualmente più vicino allo stocismo che all'ermetismo:
"TEOF. E' dunque l'universo uno, infinito,immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell'essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l'universo è uno." (Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 - 212).
Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, ciò che lo avvicinerebbe alla visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto) a Ermete Trismegisto.
D'altra parte, se Dio crea il cosmo, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell'amplesso, ricostituendo l'unità del creato (cosmo), sono a lui più vicini. [25]
"TEOF. E' dunque l'universo uno, infinito,immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell'essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l'universo è uno." (Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 - 212).
Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, ciò che lo avvicinerebbe alla visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto) a Ermete Trismegisto.
D'altra parte, se Dio crea il cosmo, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell'amplesso, ricostituendo l'unità del creato (cosmo), sono a lui più vicini. [25]
Androgino
è dunque il cosmo, non l'uomo, nel senso che ogni aspetto del reale necessità
dell'azione congiunta della femmina e del maschio, e benché si dica che il
cosmo è creato a immagine di Dio, [26]
la sua somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell'unicità e
nell'immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza,
armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell'individuazione
delle forme del divenire. Tant'è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono
[27]
ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e
nello spazio. Cosa,
d'altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno, visto che la realtà si
manifesta sempre nella forma della polarità e della contrapposizione (maschio - femmina, male - bene, odio -
amore, luce - tenebre, giorno - notte, vita - morte...)? Non potendo creare
un altro se stesso, se non riproponendo - come già si è detto -l'identità di
sé, Dio scelse di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza,
lo fece uno e immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché
costui percepisse ma perché potesse essere percepito: [28]
nacque così l'androgino ermetico -
primo mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la trinità converge nell'unità ancora
indistinta e caotica, [29]
unico e vero figlio di Dio, logos
divino in cui Dio si è fatto carne.
Questi e solo questi è l' Adam Qadmon,
l'androgino primordiale, il caos
primigenio che contiene indifferenziati il principio maschile e il principio
femminile, e per mezzo del quale nasce l'ordine
(cosmo) e si conoscono le forme transeunti e molteplici del reale.
Sotto
questo profilo, l'intera storia, non solo dell'umanità, ma di tutte le forme
esistenti e di quelle di là da venire, altro non è che la grande epopea
dell'Ermete Trismegisto, il mercurio tre
volte grande, non perché - come è stato detto - egli sia figura umana
dotata di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è
l'anima di tutte le fasi della Grande
Opera. Dove il mercurio è tre volte grande? Nell'essere materia prima dell'Opera, nel morire e nel saper rinascere. Egli è ad un tempo la
pietra grezza, la pietra lavorata e la pietra filosofale. Non a caso il suo nome
greco, Ermes, significa pilastro di
pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia greca,
egli è padre di Ermafrodito
(l'androgino, la pietra grezza), generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai genitali recisi di Urano.
Cosa fa
l'alchimista con arte spagirica? Egli
separa l'unità indistinta e caotica
degli elementi (sale, zolfo e mercurio)
che formano la pietra che non è una
pietra e li ricompone nell'unità mirabile e aurea della pietra filosofale.
Il
medesimo lavoro è possibile in tutte le tradizioni. In quella ebraica, il
sigillo o esagramma di Salomone contiene, racchiusi in un cerchio (sale - terra), due triangoli
contrapposti e incrociati, simboli del fuoco (zolfo) e dell'acqua (mercurio).
L'esortazione contenuta nella Tavola di
Smeraldo può essere compiuta: 'lavare
col fuoco e bruciare con l'acqua'. E lo Zohar,
in un passo che ha per tema la dialettica luce - oscurità, così ripropone il
significato della creazione umana fatta a immagine e somiglianza di Dio:
"‘A nostra immagine' corrisponde alla
luce (principio maschile). 'A nostra somiglianza' corrisponde all'oscurità
(principio femminile), che è una veste per la luce ". [30]
Nell'androgino ermetico, il maschio (la luce, il fuoco, il sole) è
oscurato (velato) dalla femmina (la veste bianca
della luna). Ma la
tradizione cristiana si spinge anche oltre. Nella Lettera agli Efesini, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale. Con Cristo (poco
importa, sotto questo riguardo, se egli sia davvero esistito), la chiesa di
Pietro ha finalmente realizzato il 'sogno divino' (e umano) di Adamo di
trasformare la terra nell'oro dello spirito. Cristo, come Adamo, non nasce di
donna, egli è figlio unigenito di Dio. A differenza di Adamo, egli ubbidisce al
padre: accetta la morte, ma per avere vita eterna. Il suo calvario addita la
via da seguire per trasformare il piombo in oro, la pietra grezza in pietra
filosofale. Risorge, infine, dalla tomba per essere
lievito di vita. Egli è sì 'la via, la verità e la vita' ma solo come
metafora dello spirito immortale
presente nel primo mattone con cui Dio ha fatto il cosmo.
sergio magaldi
[1] "Il
fatto che uomo e donna, insieme, siano creati a immagine di Dio sottintende che
Dio sia un'entità maschile/femminile, e non solo maschile", scrive G.
Dreifuss in Maschio e femmina li creò.
L'amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, La Giuntina, Firenze,
1996, p. 30. Tesi, questa, condivisa da autori come Kaplan e Moshe Idel.
Dreifuss, tuttavia, osserva che 'nel giudaismo normativo questa immagine di
un'entità divina maschile/femminile non trova espressione' (Ibid., p. 31), mentre è presente nella
letteratura midrashica ( Genesi Rabbah
8:1 e 17:6, Levitico Rabbah, 14:1, Midrash Salmi, 139, bEruvim, 18a ) contrariamente a ciò che sostiene E. Zolla (The Androgyne. Fusion of the Sexes,
trad.it., Incontro con l'androgino,
red edizioni, Como, 1995, p. 57), un autore che, per la verità, non sembra
avere molta dimestichezza con 'la tradizione esoterica ebraica' cui, pure,
dedica un paragrafo di questo suo libello.
L'immagine maschile/femminile della divinità è anche ben presente nella
Qabbalah dello Zohar e, soprattutto,
nella Qabbalah luriana dei Partzufim,
dove il carattere antropomorfico della divinità è addirittura esaltato. Fa
tuttavia notare Moshe Idel che in nessun caso l'unione del maschio e della
femmina è funzionale all’emergere di una divinità androgina, ma è piuttosto
'l'insistenza per l'ottenimento di una relazione armoniosa tra principi
opposti, la cui esistenza separata è indispensabile per il benessere
dell'intero universo. O per dirla con altre parole: la cabala teosofica non ha
cercato una ritrutturazione drastica dell'esistenza, sia attraverso la
trasformazione del femminile in maschile, sia attraverso la loro fusione finale
in un'entità bisessuata o asessuata...Nella concezione gnostica, il mondo
inferiore deve sforzarsi di copiare la regola superiore dell'androginia o della
asessualità. L'attitudine gnostica risulta essere a certo riguardo simile
all'attitudine cristiana di fronte alla sessualità, esse costituiscono un
aspetto importante del loro più generale rigetto di questo mondo; le
escatologie gnostiche e cristiane propongono una salvezza spirituale che
riguarda sia la restaurazione dell'androginia paradisiaca sia uno statuto di
asessualità per il credente.' (cfr. M. Idel, Cabala ed erotismo, Mimesis, Milano, 1993, pp. 35 - 36).
Più
avanti, in nota, Moshe Idel riporta, condividendolo, il pensiero del Meeks (The image of the Androgyne, p. 186):
"Nell'ebraismo, il mito dell'androgino serve a risolvere un dilemma
esegetico e a consolidare la monogamia". E Moshe Idel osserva: "In
ogni caso, la cabala estatica utilizza a volte una produzione di immagini
androginiche, sotto l'influenza della filosofia greca, e attraverso la
mediazione delle opere di Maimonide...Un'altra differenza cruciale tra le
concezioni ebraiche e greche dell'androginia è la visione ebraica positiva
della separazione tra il maschio e la femmina, mentre in Platone la separazione
è vista come una punizione..." ( M. Idel, op.cit., nota 84, p. 55)
[2] "Questa concezione di Dio dotato di
doppia natura, femminile e maschile, è molto comune nella letteratura
religioso-filosofica del tempo; si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici,
nell'orfismo e ripetutamente negli scritti ermetici ... ed è strettamente
connessa con l'altra concezione, per cui la natura propria e peculiare di Dio è
il generare...".
Così osserva B.Maria Todini Portogalli in una nota del Pimandro da lei tradotto (Discorsi di Ermete Trismegisto,
Boringhieri, I Ed.,1965, p. 31, nota 5).
[3] Greca d'importazione, Cibele è in realtà, in
origine, la dea ittita Kubaba che dalle sponde dell'Eufrate trascorre in Asia
Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In nessun caso, Cibele può
essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità,
infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma
di incarnare un principio più arcaico e primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos,
l'unità indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo
che è in lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata.
In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una
scogliera deserta, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente da
seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria sessualità
maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad
impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste maschile e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis provocò la follia dei convitati e dello stesso
Attis che si evirò sotto un pino, assumendone poi la forma e tornando così
all'androginia originaria e primordiale.
[4] Platone, Simposio,
XIV, 189c - 190b, in Platone, Opere, Vol.I, Bari,1966, pp. 681- 682.
[5] Ibid., XIV, 190c - 191a. E' interessante osservare, a conferma di
quanto si diceva sopra, come Platone tradisca qui l'idea che in origine non
esistesse che un solo sesso: l'androgino. Evidentemente, come immagine
speculare di una divinità primordiale. Egli, infatti, sottolinea il fatto (XIV,
190c) che gli uomini furono risparmiati unicamente perché con loro sarebbero
scomparsi gli onori e i sacrifici attribuiti agli dei, ciò che invece si
sarebbe evitato se, oltre a loro, fossero esistiti anche gli altri due sessi.
[6]Cfr., in E. Zolla, op. cit., p. 26.
[7] Com'è noto, secondo il racconto biblico ,
Dio costruisce la donna con ciò che toglie dal corpo di Adamo (Genesi, 2:22), tant' è che questi la
chiama ishah perché da lui stesso (ish, uomo) è stata tratta e, nuovamente,
grazie all'unione santa del matrimonio, sarà da lui incorporata (Genesi,
2:23-24). In altri termini, il corpo della donna non è che quello dell'uomo,
che si munisce di utero e vagina unicamente in funzione dell'accoppiamento e
della generazione.
[8] Naturalmente, anche una dea dotata di
entrambi i sessi è un androgino, ma la sua rappresentazione, come nel caso di Cibele, è molto più arcaica e,
probabilmente, fa riferimento ad una ipotetica società matriarcale o comunque
ad un'età in cui il potere di generare
riesce ancora ad imporsi su quello di fecondare.
[9] Cfr., A. Schwarz, Cabbalà e Alchimia, Saggio sugli archetipi comuni, La Giuntina,
Firenze, 1999, p. 70
[10] Cfr., E. Zolla, op.cit., p. 11
[11] Con ciò, non si vuole certo disconoscere la
dimensione psicologica della condizione umana e il bisogno di rappresentare,
dentro di sé, l'opposta polarità sessuale. Appare perciò convincente, ancora
oggi, la distinzione junghiana di anima,
per descrivere la psiche maschile, e di animus,
per descrivere la psiche femminile. Non diversamente, nel taoismo, all'energia
maschile ed esterna yang, fa
riscontro una prevalente energia femminile interna yin (non solo psichica ma anche fisica) e viceversa. Infine, non è da sottovalutare che, geneticamente, il
sesso è determinato da una impercettibile (quanto significativa)
differenziazione. Pertanto, la rottura dell'equilibrio, per le cause più
diverse, può facilmente indurre la
psiche e il soma a invertire di
polarità (omosessualità) o a funzionare, per così dire, a corrente alternata
(bisessualità).
[12] "...(L'uomo) possiede in sé la natura
maschile e femminile insieme, perché è stato generato da un padre, che ha
ambedue le nature..." , Pimandro,
XV, ed. cit.,p. 34; cfr., Genesi,
1:27
[13] "... compiutosi il periodo della
rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere
divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile
e femminile, insieme all'uomo, si divisero in due e divennero in parte
maschili, in parte femminili.", Pimandro,
XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi,
2:21-22
[14] "Immediatamente Dio con un santo
discorso disse loro: 'Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in quantità tutti
voi, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca
se stesso immortale'...", Pimandro,
XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi,
1:28
[15] Che cosa debba intendersi per nous nella letteratura ermetica è argomento assai complesso. Sulla
questione si rimanda alla lunga ed efficace nota di B. M. Todini Portogalli
nel già citato testo (nota 2, pp.
27-28). Si può tuttavia provare a riassumere i diversi significati, con le
parole stesse del Pimandro:
"L'intelletto...è della stessa essenza di Dio...non è ricavato
dalla essenzialità di Dio, ma si dispiega da essa come la luce dal sole. Negli
uomini questo intelletto è Dio..." (Discorsi
di Ermete Trismegisto, cit., nota 2, p. 28)
[16] Cfr., Discorsi
di Ermete Trismegisto, cit., VIII, pp. 80 - 82. Il corsivo in parentesi è
contenuto in una nota di B. M. Todini Portogalli, in calce al testo.
[17] "Dio è dunque il padre del mondo, il
mondo il padre di tutti gli esseri che si trovano in esso; il mondo a sua volta
è figlio di Dio, e gli esseri che sono nel mondo sono figli del mondo. E
giustamente il mondo è stato definito kosmoV (ordine), perché ordina tutti gli esseri per mezzo delle varie
qualità delle generazioni, per mezzo della continuità della vita, della sua
instancabile attività, del rapido movimento imposto dal destino, della
combinazone degli elementi, e della disposizione ordinata di tutti gli esseri
che nascono." Discorsi, cit.,
IX, 8, pp. 87 - 88
[18] "Chi è dunque il dio materiale di cui parli?"chiede Asceplio ad Ermete ed Ermete risponde: "Il mondo, che è bello, ma non buono; è costituito infatti di materia, è soggetto a passioni ed è il primo di tutti gli esseri passibili; è il secondo nella serie degli esseri, ed è incompleto in sé stesso, ha avuto anch'esso un principio della sua esistenza, ma esiste sempre, perché esiste nel divenire..."Ibid., X,10, p. 96.
[18] "Chi è dunque il dio materiale di cui parli?"chiede Asceplio ad Ermete ed Ermete risponde: "Il mondo, che è bello, ma non buono; è costituito infatti di materia, è soggetto a passioni ed è il primo di tutti gli esseri passibili; è il secondo nella serie degli esseri, ed è incompleto in sé stesso, ha avuto anch'esso un principio della sua esistenza, ma esiste sempre, perché esiste nel divenire..."Ibid., X,10, p. 96.
[19] "...Vi sono dunque questi tre esseri:
Dio che è il padre e il bene al tempo stesso, il cosmo e l'uomo. Dio contiene
il cosmo; il cosmo l'uomo; il cosmo nasce come figlio di Dio, l'uomo del cosmo,
quindi come nipote di Dio." Ibid., X, 14,
p. 98.
In
proposito, B.M. Todini Portogalli osserva:
"La concezione di un profondo legame tra i tre esseri divini: Dio,
il mondo, l'uomo è il tema centrale dell'ermetismo, e deriva evidentemente dal
tema stoico della sumpateia (simpatia), principio di accordo e di unità
del cosmo." (Ibid., p. 102, nota
26)
[20] "...Dio crea l'eternità, l'eternità il
mondo, il mondo il tempo, il tempo il divenire. L'essenza di Dio è per così
dire la saggezza; dell'eternità l'identità; del mondo l'ordine; del tempo il
mutare, del divenire la vita e la morte...Così dunque l'eternità è in Dio, il
mondo nell'eternità, il tempo nel mondo, il divenire nel tempo. E mentre
l'eternità sta immobile intorno a Dio, il mondo è in movimento nell'eternità,
il tempo si compie nel mondo, il divenire diviene nel tempo." Ibid., XI, 2, pp. 106 - 107
[21]"L'eternità è dunque immagine di Dio,
il mondo immagine dell'eternità, il sole del mondo, l'uomo del sole. Il
cambiamento è definito come morte, per il fatto che il corpo si disgrega e la
vita si dissolve nell'invisibile. Gli esseri che si disgregano in tal modo, mio
caro Ermete, e anche il mondo, io dico che si trasformano, per il fatto che
ogni giorno una parte del mondo va nell'invisibile, ma non si dissolvono.
Queste sono le perturbazioni che subisce il mondo: la rotazione e la
sparizione. La rotazione è rivoluzione, la sparizione é rinnovamento." Ibid., XI, 5, p. 114.
[22] Non diversamente gli stoici (Zenone, Cleante
e Crisippo, IV - III sec. a. C.), secondo le testimonianze degli antichi,
considererebbero il cosmo uno, generato e immortale, cfr., Stoici antichi. Tutti i frammenti, raccolti da Hans von Arnim, trad. it. di R. Radice, testo greco e
latino a fronte, Rusconi, Milano, 2.a ed., 1999, frr. (B. f)528 - 533, pp. 615 - 617.
C'è tuttavia da osservare che, nella concezione stoica, Dio
stesso è identificato con l'intero cosmo:
"Per loro dio non è altro che l'intero
cosmo con tutte le sue
parti. E affermano che questo è uno solo, finito, vivente, eterno e divino. Nel
cosmo sono compresi tutti i corpi, né v'è traccia di vuoto. Danno il nome di
Dio alla qualità derivata da tutta la sostanza, e non a ciò che possiede una
tale disposizione in conformità con l'ordine universale. Pertanto, in coerenza
con la prima definizione sostengono che il cosmo è eterno, mentre con
riferimento al suo ordinamento dicono che è generato, soggetto a un infinito
cambiamento ciclicamente ripetuto nel passato e nel futuro. Ma per quanto
riguarda la qualità che proviene da tutta la sua sostanza il cosmo è eterno e
divino." Ibid.,
(B.f)528, p. 615.
Mi sembra interessante osservare come
Giordano Bruno in De la causa, principio
e uno pervenga in gran parte a
risultati analoghi nel considerare il rapporto Dio - cosmo. Soluzione più
stoica, dunque, che ermetica, anche valutando con tutto il rispetto le acute
analisi della Yates sull'ermetismo di Bruno (Frances A. Yates, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition,
Londra, 1964; trad. it. Laterza, Bari, 3.a ed., 1992 ). Il Nolano, infatti, pur
chiamando Dio 'principio primo sopranaturale', finisce poi col distinguerlo
dall'universo grazie soltanto agli aristotelici concetti di potenza ed atto e
prospettando così una soluzione assai vicina a quella degli stoici:
"Or contempla il primo ed ottimo
principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe
tutto se non potesse essere tutto: in lui dunque l'atto e la potenza son la
medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose..." (Op. cit., Mursia, Milano, 1985, p. 157).
Il curatore Augusto Guzzo osserva che
potenza ed atto non coincidono "né nelle singole cose dell'universo, né
nell'universo preso complessivamente...perché esso è tutto quel che può essere,
ma in ciascun momento e luogo è solo quel che è, e non le molte cose che anche
potrebbe essere." (cfr., nota 191, p. 157)
[23] Cfr., Discorsi,
cit., XI, 11, p. 112.
[24] Ibid., XI, 16, pp. 114 -
115.
Il
brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito
al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, ciò
che lo avvicinerebbe alla visione ermetica proposta nel Discorso del nouV (intelletto) a Ermete Trismegisto.
[25] Dove questo concetto meglio si esprime, è
nella tradizione ebraico - cabbalistica del Cantico
dei Cantici e dello Zohar. Anche
qui, tuttavia, occorre intenderci. Se l' 'unione degli opposti', così
poeticamente espressa nel Cantico, si
propone a modello del Grande Androgino creatore, siamo alle solite, con una
visione antropomorfica e materialistica della divinità. Se, viceversa, leggiamo
il Cantico nell'ottica con cui Moshe
Idel indica, più in generale, debba intendersi, nella tradizione ebraico -
cabbalistica, l'unione sessuale del maschio e della femmina (cfr. nota 1),
allora comprendiamo meglio, nella molteplicità dei fenomeni e nella dialettica
degli opposti, la sostanziale unità del Tutto.
Giuseppe Abramo, nell'introduzione del suo
pregevole studio sul Cantico, dopo
aver ricordato che nel Talmud è detto
che 'Tutto ciò che Dio ha creato in questo mondo, l'ha creato maschio e
femmina', osserva: "Questo correlarsi di parti, questa affermazione che la
polarità essenziale di tutta l'esistenza è quella maschile - femminile, in
Cabala è contenuta nelle parole, peraltro prese a prestito dal Talmud, 'Due che
è quattro'. Ci troviamo di fronte ad un sistema nel quale: ' l'Uno diventa due,
che in realtà è quattro, che si unisce diventando due, il cui scopo è di
rivelare l'Uno'. (G.Abramo - Nadav Eliahu Crivelli, Il Cantico dei Cantici e la tradizione cabalistica, trascendenza e immanenza nell'unione fra
maschile e femminile, Bastogi, Foggia, 1999, p. 19). Se con 'Uno' s'intende
non il Dio creatore e trascendente, ma il Cosmo creato uno da Dio, da cui si genera, nella sua opposta polarità, l'essere
umano ed ogni altro aspetto della realtà, allora siamo nella prospettiva di
Moshé Idel.
[27] Ibid.
[28] Cfr., Asclepio,
8, in Discorsi, cit., p. 183
[29] A Roma, sull'architrave della Porta Ermetica
di piazza Vittorio, è inciso il sigillo di Salomone sormontato da una croce. Ai
piedi della croce, un cerchio che al centro ne contiene uno più piccolo. Sigillo
e cerchi sono chiusi da un cerchio più grande dove tut'attorno è scritto in
latino: "Tre sono le meraviglie: Dio e l'uomo, la madre e la vergine, il
trino e l'uno". Ecco 'il miracolo della cosa una' di cui si parla nella Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto.
Ecco infine rivelato il mistero (o dogma) della santissima trinità.
[30] Cfr., Zohar, I, 22a-b, in G. Dreifuss, op. cit.,
nota 32, p. 117.
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