In precedenti post, ho
più volte accennato alla Qabbalah, la dottrina esoterica dell’ebraismo [Post: L’Albero della vita – Narrativa e Qabbalah – Alchimia e Qabbalah nel I capitolo di AESH MEZAREPH – Pensiero sapienziale e pensiero religioso]. Di
seguito, qualche chiarimento sui principali concetti dell’universo
cabbalistico.
Qabbalah significa Tradizione
rappresentando, per così dire, il crogiolo
di ogni studio e commento della Torah
e più in generale di ogni forma del pensiero ebraico quale si
configura nelle dottrine e nei racconti dei
rabbini e nel Talmud e,
soprattutto, nelle speculazioni cosmogoniche sull’opera della Creazione o Ma’asè Bereshit e nelle
meditazioni a sfondo mistico sull’opera del Carro o Ma’asè Merkavah.
In tale
prospettiva, non ha senso contrapporre la Qabbalah alla filosofia, né assimilarla al modello delle filosofie
occidentali. Infatti, se per filosofia s’intente un “Sistema” teorico e concettualmente concluso, la Qabbalah non ha
nulla di sistematico. Così, per esempio, l’universo o albero delle
dieci Sephiroth
non è il mondo platonico delle idee
e il suo manifestarsi da En Soph ‘Infinito’
o ‘Illimitato’ non ha le caratteristiche proprie dell’emanatismo neoplatonico.
Le Sephiroth si
collocano sull’Albero e sono luci, numeri primordiali o
forme pure. Sono dieci quante le dita
delle nostre mani e tramite loro, secondo un ben definito progetto
architettonico, si manifesta tutta la realtà.
Si suole innanzi
tutto distinguere tra una Qabbalah letterale e una Qabbalah non scritta che,
attraverso una tradizione orale ininterrotta, verrebbe trasmessa bocca-orecchio di maestro in discepolo.
C’è poi una Qabbalah pratica o Teurgia
basata sull’idea che ciascuna lettera dell’alfabeto ebraico, con cui
Dio ha creato il mondo, rappresenti un Essere Vivente (Haioth Hakodesch), un Geroglifico, un Idea, un Numero. Combinare le
lettere significa allora conoscere leggi e fondamenti della Creazione. Di più,
questo sistema di ventidue lettere si fa corrispondere alla tre Sephiroth
superne (Kether – Hochmah –
Binah) dell’Albero, alla
ruota dello Zodiaco o Galgal e all’asse del mondo o Teli.
Alcuni autori
parlano anche di una Qabbalah rituale,
con aperto sconfinamento nella magia cerimoniale e dei talismani, mentre una
ulteriore distinzione è quella introdotta da Avraham Abulafia,
tra una Qabbalah teosofica e una Qabbalah estatica o profetica il cui fine
sembra essere quello di accedere a stati di meditazione suscettibili di
modificare, anche profondamente, il vissuto di coscienza.
Infine, comune ad
ogni aspetto della Qabbalah, tanto sotto il profilo speculativo che operativo,
è l’uso di particolari tecniche di apprendimento quali soprattutto la Ghematria, il Notariqon e la Temurah.
Sono questi strumenti ritenuti indispensabili, perché vere e proprie
‘scorciatoie’ nel processo conoscitivo e/o teurgico.
Se si guarda
alla Qabbalah storica, quella cioè che si diffonde in età medievale, sulle rive
del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche, ci si accorge che la
Qabbalah ha anche questo di peculiare rispetto alla Filosofia occidentale: non
si afferma nell’opinione pubblica per l’azione di alcuni ‘maitre à penser’, ma si struttura piuttosto in comunità di studio e
centri di ricerca in cui entrano solo i più degni. Se mancano i maitre a penser, le cui idee si
diffondono rapidamente, creando ‘correnti di pensiero’ o suscitando ‘mode’ più
o meno durature, nelle scuole di Qabbalah insegnano tuttavia maestri dotati di
grande carisma.
Uno di questi fu Isacco il Cieco, vissuto tra la
seconda metà del 1100 e la prima metà del 1200, e primo grande maestro delle
scuole di Qabbalah che, in età medievale, operarono in Provenza e in Catalogna,
in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche. Isacco fu
detto il Chassid (il pietoso) o il Cieco (paradossalmente, perché
‘possedeva luce’ in eccesso), il parush
o il sagghì-nahòr (quello che oggi
diremmo un illuminato) e fu uno tra i
maggiori peruschim.
Se Isacco fu il
primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah, l’antesignano fu
comunque il padre di Isacco, Abraham ben David (1125-1198) di Posquières
(Narbonne), autore di scritti in polemica con Maimonide, di commenti sul Talmud e che fondò
un’accademia talmudica, dove ben presto si praticò la kavvanah (concentrazione), lo studio della Torah e la lettura del Sepher
Bahir. Di qui si formarono
diversi circoli di asceti o perushim.
Il più noto fu, in un primo tempo, il gruppo di Jacob Hanazyr dedito in
particolare alla meditazione sulle Sephiroth. I perushim provenzali studiavano
quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e
dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i
discendenti della tribù di Levi. Huqe
ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in
questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al
maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di
apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito
tra i discepoli.
Il
dizionario che segue non pretende di essere esaustivo né rispetta l’ordine
alfabetico delle voci, osserva piuttosto un criterio logico-discorsivo. Le
parole in grassetto costituisco altrettante “voci” del breve dizionario. La
grafia ebraica delle lettere è stata omessa
perché il relativo font non è
sempre presente nel Pc dei lettori.
________________________________________________
Torah: la Torah scritta si compone dei libri del Pentateuco (Genesi o Bereshit, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). Inizia
con la lettera Bet di Bereshit e termina con la lettera Lamed di Israel con cui si chiude il Deuteronomio.
Insieme, le due lettere formano la parola Lev [Lamed-Bet]cuore, a indicare che la vera conoscenza
della Torah è una conoscenza del cuore e non
dell’intelletto, il che, naturalmente, non significa che la Torah non debba essere studiata, come
invece raccomanda espressamente la tradizione ebraico-cabbalistica. Lev ha valore numerico 32 (consulta in
proposito la voce Ghematria) come i Trentadue sentieri dell’Albero della vita
Talmud: ‘studio’ o ‘insegnamento’ è una raccolta
enciclopedica della tradizione ebraica, compilata durante un periodo di circa
ottocento anni, dal 300 a. C. al 55 d.C., in Palestina e in Babilonia. Il vasto
materiale comprende l’Halakhah o
‘cammino’ da seguire nella vita per realizzare i precetti della Torah e l’Haggadah o ‘narrazione’ di
genere vario.
L’ Halakhah è composto di Mishnah o ‘insegnamento orale’ e di Ghemara
o ‘completamento’ della Mishnah
mediante numerosi commentari sulla Legge. La Mishnah contiene sei Ordini
diversi (I. Zeraim o ‘Sementi’, II Moèd o ‘Stagione’, III. Nashim o ‘Donne’, IV. Nezikin o ‘Danni’, V. Kodashim o ‘Cose sante’. VI. Teharoth o ‘Cose pure’), ciascuno dei
quali comprende numerosi trattati (11+12+7+10+11+12). Tra i 63 complessivi
trattati (senza contare quelli posteriori alla Mishnah o giudicati apocrifi) ci limitiamo a citare: Berachoth o ‘Benedizioni’, Orlah o ‘Incirconcisione’, Bikkurim o ‘Primizie’ (I.), Shabbat o ‘Sabato’, Pesachim o ‘Pasqua’, Sukkah
o ‘Tenda’, Betzah o ‘Uovo’, Rosh Hashanah o ‘Capo d’Anno’, Megillah o ‘Rotolo’ (II.), Nazir o ‘Nazireo’, Kiddushin o ‘Santificazione’ (III.), Sanhedrin o ‘Tribunali’, Abodah
Zarah o ‘Idolatria’, Pirqè Aboth
o ‘Capitoli dei Padri’ (IV.), Middoth o
‘Dimensioni’ del Tempio (V.), Teharoth
o ‘Cose pure’, Niddah o ‘Impurità
della mestruazione’, Jadayim o
‘Mani’: della loro impurità e della loro purificazione (VI.). L’Haggadah
costituisce la parte non legale della letteratura rabbinica, ma esprime
soltanto l’opinione dei maestri e dei rabbini attraverso i Midrash, cioè i racconti o
commentari.
Ma’asè
Bereshit: Opera della
Creazione. E’ parte rivelante nello studio della Qabbalah, perché è proprio
dal commento e dall’approfondimento del Genesi
o Bereshit che nascono i testi più
importanti della letteratura cabbalistica. Già la lettera con cui inizia il Genesi, è fonte di innumerevoli
speculazioni. Ci si domanda innanzi tutto perché il libro, nel quale si narra
l’opera divina della Creazione, abbia inizio con la seconda lettera
dell’alfabeto ebraico (la Bet ) e non con la prima. La risposta è che la Bet
è una lettera aperta solo da un lato a significare che unicamente gli
eventi accaduti dopo il Bereshit o Principio sono accessibili all’indagine umana.
‘Alef – dice il Sepher Bahir (48) – determina piuttosto l’esistenza di tutte le
lettere, a somiglianza del cervello. Come per la alef, alla cui menzione apri la bocca, così avviene per il
pensiero, quando pensi a ciò che non ha fine né limite. Dalla alef escono tutte le lettere. Non vedi
forse che essa è posta al loro inizio?…”
Di qui l’analogia che i cabbalisti fanno tra Alef ed En Soph.
Un’altra tipica speculazione cabbalistica, riferita ai primi
versetti del Genesi, è quella che
s’interroga sulle dieci volte in cui è scritto: Dio disse. L’espressione è citata nove volte nel 1°Capitolo del Genesi e precisamente ai versetti:
3-6-9-11-14-20-24-26-29. Compare una sola volta nel versetto 18 del 2°Capitolo.
Qui, tuttavia, il nome di Dio non è più soltanto Elohim, perché è preceduto
dal Tetragramma o nome di quattro
lettere.
Il punto di luce,
adombrato dalla luce infinita e per noi oscura, è il primo dei dieci “Dio
disse” del Genesi ed è anche il primo
istante della creazione. Facendosi altro
da sé, l’Infinito si determina ad essere il finito illimitato. E’ davvero
così? L’invisibile puntino da cui lo yud
-la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico- è tracciato è davvero altro? Osserviamo intanto che quel puntino
di luce è per noi invisibile proprio
come la luce oscura e, dunque, partecipa della stessa natura di questa. Da che
riconoscere allora la luce che si diffonde da quel primo punto? La risposta è nel successivo versetto del Genesi: “Dio
vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre.” (Genesi 1:4). La separazione consentì
all’uomo -vista l’impossibilità di percepire il puntino luminoso o primo
istante della creazione- di vedere finalmente la luce attraverso le cose. Ciò che significa vedere la luce nel contrasto
con le tenebre. Naturalmente questa oscurità non ha nulla a che vedere con
l’Oscurità originaria, da cui scaturì il primo punto di luce.
La questione
riguardante il nome o i nomi di Dio è assai complessa. In particolare perché
solo la decima volta che appare ‘Dio disse’, il nome Elohim è preceduto dal
Tetragramma? Una possibile risposta è data dall’osservazione che nelle
precedenti nove volte Dio crea singoli aspetti della realtà, mentre la decima
volta, dopo il cielo e la terra, Egli crea anche l’uomo e la donna a propria
immagine e somiglianza.
Sull’importanza della creazione dell’uomo in funzione della
completezza del nome di Dio, Isacco il Cieco, maestro della prime
scuole storiche di Qabbalah ebraica, sorte in Provenza e in Catalogna attorno
al 1200, soleva dire che nel giorno in cui Dio creò il cielo e la terra il nome non era completo perché l’uomo non
era stato ancora creato e il sigillo non era stato ancora posto.
Ma’asè
Mercavah: Opera del Carro.
Costituisce tanta parte della mistica ebraica e della Qabbalah estatica o
profetica di Avraham Abulafia.
Si ispira alle visioni di Ezechiele (Ez.1:1-28)
e si collega alla letteratura degli Hekalot
o Palazzi. In una prospettiva esoterico – cabbalistica, questi Palazzi sono altrettanti centri di
consapevolezza, paragonabili ai Chakras
dell’induismo. Sono centri sottili e
tuttavia hanno una corrispondenza nel corpo umano. Se si permette all’energia
spirituale di scorrere e di soffermarsi in ciascuno di loro, non solo se ne trarrà
motivo di benessere fisico e di purificazione ma sarà anche possibile accedere
a visioni di esperienza non ordinaria.
La ‘discesa’ nella Mercavah si configura, dunque, come un viaggio nella propria
interiorità e tale viaggio sarà tanto più luminoso
quanto più saremo stati capaci di alleggerire il carro, liberandolo di
inutile zavorra.
Sephiroth è stato
spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con
ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la
derivazione dall’ebraico [Samekh-Phe-Resh] Safor che
significa contare e che delle Sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Com’è noto,
tali numeri primordiali sono soltanto i primi nove, giacché il 10 non è altro
che la riproposizione dell’unità e dunque la prima manifestazione della pluralità. Non a caso la decima Sephirah
(Malchuth) rappresenta la terra o il
regno nell'unità rappresentativa della molteplicità dei fenomeni. Le Sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure
forme’ del reale manifesto. Nella tradizione cabbalistica, le Sephiroth si dispongono sui tre
pilastri dell’Albero. Ad ogni Sephirah è attribuito un nome. Alla
colonna centrale appartengono: 1 Kether
corona, 6 Tiphereth bellezza e
armonia, 9 Yesod fondamento o generazione, 10 Malchuth regno o terra. Alla colonna di
destra: 2 ‘Hochmah sapienza, 4 ‘Hesed grazia 7 Netzach
vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah intelligenza, 5 Gheburah forza e rigore, 8 Hod splendore. Nella Qabbalah medievale, i sette
bracci della Menorah sono associati
alle sette Sephiroth inferiori: da ‘Hesed
a Malkuth. Nel Sepher Temunah
o Libro della figura, ‘il
candelabro puro d’un sol pezzo lavorato a martello’ è identificato con Binah, la Sephirah dell’intelligenza, e
i sette bracci, con le sette Sephiroth inferiori che da lei provengono. Mentre
i 49 tra calici e boccioli che sono tutto un pezzo col candelabro, come è
scritto in Esodo, formano “Le 49 porte dell’intelligenza cioè della Sephirah
Binah che ne è la Cinquantesima e che neppure a Mosé, come
è detto nel Talmud (bRo’sh
ha-shanah 21 b, bNedarim 38a.) fu dato oltrepassare.
En Soph ‘Infinito’ è stato spesso confuso con Apeìron ‘Senza limite’ di Anassimandro.
In realtà, l’Apeìron del filosofo
ionico, dall’alfa privativo greco che indica la negazione, esprime solo il caos originario della materia, la
mescolanza primigenia di tutte le cose. L’En
Soph dei cabbalisti ebrei, invece, non è privativo di qualità ma di luogo e
indica l’impossibilità di cogliere l’origine e il fine e ha solo la funzione di
far desistere il pensiero dalla pretesa prometeica di voler essere ovunque e
tutto risolvere in se stesso. Come è scritto, in più di un testo della
Qabbalah, in En Soph, infinito, non
c’è alcuna apertura, su di lui ogni interrogativo è vano, come su ogni idea che
attenga alle possibilità del pensiero. Quando, nelle prime scuole medievali di
Qabbalah si nomina En Soph è più che
altro per sottolineare l’impossibilità di conoscere l’infinito. Si osservi,
infine, che En Soph si scrive in
ebraico con le lettere Alef (valore 1), Yud (10), Nun (50), Samek (60), Waw
(6), Phe (80) e che, per Ghematria,
vale 207 come Raz segreto e Or luce.
Teurgia: La Teurgia
ebraica, pur basandosi su principi magico-simpatetici, si distingue dalla
Magia vera e propria, pure praticata in ambiente giudaico, perché il suo quadro
di riferimento è la religione biblica e il rispetto di un rituale
predeterminato, inoltre la Teurgia, a differenza della Magia, non opera a vantaggio
personale ma per il bene del cosmo e dell’umanità. Si possono individuare
cinque forme di azione teurgica negli scritti dei primi cabbalisti: 1) (azione)
instauratrice (esempio: Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46
ecc…) 2) restauratrice (Genesi 8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici)
4) amplificatrice (“Benedetto il suo
nome…”, la formula sembra in grado aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva
(Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..).
Un intento teurgico è anche presente nella tradizione rabbinica,
infatti, oltre a coloro che ritengono impossibile per l’uomo aumentare la
potenza divina, ci sono anche quelli che ammettono che un comportamento umano
conforme alla Legge, lo studio della Torah
ecc.. siano in grado di accrescere la presenza di Dio nel mondo.
Galgal nel Talmud designa la ruota dello zodiaco. Nel Sepher Bahir (106) è
utero o ventre. A differenza di Teli non
definisce il tempo ma vi si trova dentro. Le 22 lettere dell’alfabeto ebraico
in connessione con Galgal formano le
231 Porte della conoscenza. Per i
cabbalisti, Israele nasconde nel
nome, anzi è la totalità delle porte della conoscenza di questo universo. Infatti, distanziando
tra loro le lettere ebraiche che formano la parola [yud-shin-resh-alef-lamed] Israel e invertendo di posto la Alef e la Lamed si ha Iesh relà [ yud-shin, resh-lamed-alef] che significa ‘è 231’ con chiaro riferimento alle 231
Porte della Conoscenza. Le Porte si ricavano applicando una formula basata
sul principio seguente: dato un certo numero di punti (n) in una circonferenza,
il numero delle linee (L) che si ricavano connettendo tra loro tutti i punti è
L=n (n-1) / 2. Applicando tale formula alle 22 lettere si ha: L= 22x21/2=231.
La conoscenza delle 231 Porte pare servisse alla costruzione di un Golem, perché ciò potesse avvenire erano
necessarie 97.240 pronunce di lettere associate alla cinque vocali primarie e
alle quattro lettere del Tetragramma.
Golem: la leggenda del Golem prende
spunto dal Salmo 139:
“Ti lodo,
Signore, mi hai fatto come un prodigio. Lo riconosco: prodigiose sono le tue
opere./ Il mio corpo per te non aveva segreti quando tu mi formavi di nascosto
e mi ricamavi nel seno della terra./ Non ero ancora nato e già mi vedevi. Nel
tuo libro erano scritti i miei giorni, fissati ancor prima di esistere” (139:14-16)
La leggenda si alimenta di racconti
talmudici del III e IV secolo, ma si sviluppa soprattutto nel Medioevo in
ambienti chassidici e cabbalistici. Il Golem dei cabbalisti, tuttavia, non è creazione
reale, bensì visione estatica
provocata dalla sapiente permutazione delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico.
Le 22 lettere dell’alfabeto, infatti, in connessione a Galgal o ruota celeste (che nel Talmud designa la ruota dello zodiaco) formano le 231 Porte della conoscenza. L’immagine del colosso d’argilla creato dai ‘poteri’ dell’uomo
trovò spazio nella fantasia popolare ed ebbe vasto eco soprattutto nella
letteratura ebraica e tedesca del XIX secolo. Il romanzo di Gustav Meyrink è
del 1915 ed ebbe molta fortuna, conoscendo anche più di una versione
cinematografica. Si tratta in realtà di una trama assai complessa e che si
svolge quasi interamente nel ghetto di Praga.
Se al lettore di oggi riuscirà di varcare il
muro del sonno e dei sogni, potrà credere anche lui, come il protagonista del
romanzo, di rivivere le vicende di Athanasius Pernath, intagliatore di pietre
preziose, e di venire a sapere che ‘la Cabala ha due aspetti, uno magico e uno
astratto’ e che non bisogna confonderli, perché se l’aspetto magico contiene
l’altro, non è vero il contrario (G. Meyrink, Il Golem e altri racconti, trad.it., Roma 1994, p.154). Gli
capiterà di apprendere da Shemajah Hillel o genio del bene che ‘gli uomini non
percorrono alcun sentiero; né quello della vita né quello della morte’ e che
‘essi sono spinti qua e là dal vento come la pula’ (Ibid., p.89). Gli potrà accadere, innocente, di essere sbattuto in
carcere, d’innamorarsi di Miriam, figlia di Shemajah Hillel, di sentir parlare
del libro Ibbur [‘Il
libro Ibbur apparve dinnanzi a me,
con due lettere fiammeggianti: una simboleggiava la Donna archetipo, le cui
vene pulsavano a guisa di terremoto, l’altra – a una distanza infinita –
l’Ermafrodito assiso sul trono di madreperla, con la corona di legno rosso sul capo.’
(Ibid., p.93)], e
magari di essere scambiato per un Golem o di imbattersi lui stesso nel vero
Golem [‘E’difficile raccontare qualcosa del Golem (…) Ogni
trentatré anni circa succede qualcosa per le nostre strade, qualcosa che non è
molto allarmante di per sé, ma che provoca un terrore tanto profondo che non si
riesce a darne una spiegazione né una ragione. Ogni volta appare qualcuno –un
uomo diverso dagli altri, sbarbato, dalla pelle gialla e i tratti mongolici,
vestito con abiti lisi e fuori moda; viene dalla parte della Altschulegasse,
attraversa il ghetto camminando in modo strano, come se avesse paura di cadere
e, improvvisamente… scompare.’ (Ibid.,
p.68) ].
Teli, Drago o
Dragone riveste grande importanza in Qabbalah. Telì è per molti cabbalisti l’occhio immaginario attorno al quale
ruotano i cieli, il luogo dove tutto è appeso, dalla radice Talah (appendere). I due punti in cui
l’orbita di un pianeta interseca il piano dell’eclittica sono detti Testa (nodo ascendente) e Coda (nodo discendente) del Drago. La
caratteristica dei due nodi è di formare un Asse chiamato Axis Mundi. Secondo il grande cabbalista Abulafia ‘la testa del Drago’ significa merito mentre la coda significa responsabilità
e in tutte le tradizioni ha un significato ‘malefico’,
soprattutto quando, nel cielo di nascita, è congiunta al Sole. Analogamente pensavano gli
Esseni (Setta ebraica di ispirazione ascetica, II sec. A. C – I sec. d.C), che
risiedevano a Qumran sulla riva occidentale del Mar Morto. La comunità essenica
conosceva una rigida organizzazione sociale e si caratterizzava per gli ideali
di purezza con cui cercava di vivere la fede ebraica. Nel tracciare gli
oroscopi, davano molta importanza ai nodi lunari che insieme ai cinque pianeti
(Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), al Sole e alla Luna formavano le
‘nove parti’. Il pronostico, fatto sul tema di nascita, era favorevole quando
la luce prevaleva sulle tenebre, quando cioè le ‘nove parti’ erano in
prevalenza nel cosiddetto emisfero di luce, individuato al di sopra dell’orizzonte.
Nessuno, naturalmente, è interamente nella luce o interamente nelle tenebre
perché, se il nodo lunare nord (testa del
Drago) si trova sopra l’orizzonte, il nodo lunare sud (coda del Drago) si troverà necessariamente al di sotto e viceversa.
Teli [Taw-lamed-yud] = 440, per
Ghematria si converte in Tam
[Taw-mem]completo e Met
[Mem-taw] morte, entrambi parole con lo stesso valore numerico di Teli
Avraham
Abulafia (Saragozza 1240 – Sicilia 1291?) Cabbalista itinerante:
fu in Grecia dove forse subì l’influenza dell’Esicasmo cristiano, in Israele,
in Italia, a Capua dove gli fu maestro Rabbi Hillel di Verona, in Catalogna, in
Castiglia dove ebbe numerosi e importanti discepoli e, infine, in Sicilia dove,
con molta probabilità terminò la sua vita. Famoso il suo tentativo di
incontrare il Papa Niccolo III nel 1280 presso il castello Orsini di Soriano,
nonostante le minacce papali di rogo. Il Papa che si era rifiutato
d’incontrarlo e che lo aveva minacciato di morte, morì all'improvviso.
Abulafia conobbe
l’ostilità tanto dell’ambiente ebraico–cabbalistico quanto di quello
cristiano. L’ossessione, per così dire, che egli manifesta per l’Uno e per l’Unità (Ichud)
lo porta a polemizzare aspramente col concetto cristiano di Trinità, mentre,
sul versante cabbalistico, lo induce al conflitto con la cosiddetta Qabbalah
delle Sephiroth, di fronte alla quale, sulla scia di Isacco il Cieco, ripropone
con forza la Qabbalah del nome di Dio e delle ventidue lettere dell’alfabeto con cui Dio creò il mondo.
Abulafia è
ritenuto, l’iniziatore di una Qabbalah estatica o profetica. Ma, a parte la
considerazione che molti dei temi da lui trattati erano stati già affrontati da
Isacco il Cieco e dalla sua scuola,
la stessa pratica della concentrazione e della meditazione non era mai venuta
meno nella tradizione ebraica. Già la preghiera era sempre stata uno strumento
di meditazione (soprattutto L’Amidà e
lo Shemà Israel), come pure l'uso di
prendere un versetto della Bibbia come oggetto di meditazione (gherushin), la concentrazione per la
conoscenza del sé o hitbonenuth (già
utilizzata da Maimonide) che può
prendere a riferimento una pietra, una foglia, un fiore, un'idea ecc...ma che
ha lo scopo la comprensione di se stessi alla luce degli altri oggetti della
creazione. Noto era anche l’uso del mantra (Ribbonò
shel Olàm, ‘Padrone dell'Universo’, il più importante) per il mantenimento
della concentrazione.
L’originalità di Abulafia, tuttavia, consiste nell’aver saputo
distinguere tra contemplazione semplice e concentrazione capace di condurre
sino alla visualizzazione. L’esperienza mistica della visione dei colori ( per esempio, i cinque colori che si sprigionano dal lume
di una candela o da una lampada ad olio: bianco
– giallo – rosso – nero – azzurro) è da lui considerata la più
semplice tra quelle consentite dalla Qabbalah, ma è di grande importanza perché
rappresenta lo stadio iniziale di ogni ulteriore e più complessa
visualizzazione. Il valore numerico di Machazeh visione è 60, con lo stesso
valore: Kli recipiente (uno dei 72 nomi di Dio), Ganaz nascondere, Hineh ecco! Halakhah regola di vita, Gaon sapiente. In Abulafia
è anche frequente la Ghematria ha Machazeh (65) la visione con Adonai
(65), terzo tra i nomi di Dio, dopo il Tetragramma ed Elohim.
La meditazione vera e propria è tuttavia, per Abulafia, quella che
si esercita attraverso la contemplazione delle lettere dell’alfabeto, a cominciare dalle tre lettere madri: Alef
Mem Shin e dal nome di Dio di quattro
lettere (Tetragramma), anche ricorrendo alla tecnica della permutazione o temurah. La meditazione sul Tetagramma
può cominciare dalla consapevolezza di uno dei suoi significati: la prima
lettera, la Yud è la moneta o la vita, la seconda, la He
è la mano divina che dona la
vita, la terza lettera o Waw è il braccio
che si tende per donare, la quarta lettera, infine, o seconda He e la mano di chi riceve.
Un’altra meditazione raccomandata da Abulafia è quella su Ayn, nulla, alla quale si può accedere
fingendo di contemplare ciò che si vede dietro la nostra testa, oppure mettendo
in relazione Ayn, nulla con Anì, io.
Maimonide: Mosè
Maimonide, medico cordovese (1135-1204). Si dedicò soprattutto
all’interpretazione della legge
ebraica (Halakhah). Anche se non può
certo essere definito un cabbalista, egli esercitò una notevole influenza su
Abulafia. L’opera sua più nota è ‘LaGuida
dei perplessi’ terminata di
scrivere in arabo nel 1190 e tradotta in ebraico nel 1204. Egli interpreta i
principali concetti biblici servendosi del metodo aristotelico, anche se non
concorda né con Aristotele né con la maggior parte dei cabbalisti circa
l’esistenza ab aeterno del mondo.
Influenzato da Averroè arabo cordovese(1126-1198), egli sostiene il primato
della ragione sulla fede. Nella maggior parte dei casi – dice Maimonide - non c’è
contraddizione tra fede e ragione, in altri casi anche se la ragione non è in
grado di provare alcune verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle
tesi opposte.
“Io credo – dice Maimonide – (Guida, I, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio
consiste nello stabilire l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità
coi procedimenti dei filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo.
Ciò non perché io creda all’eternità del mondo o faccia a questo proposito
qualche concessione; ma perché soltanto con questo metodo la dimostrazione
diventa sicura e si ottiene certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è
uno 3) che è incorporeo, senza che importi decidere nulla rispetto al mondo
cioè se esso sia eterno o creato…”
Più avanti
tuttavia(Guida II, 19), egli nega la necessità dell’Essere (Aristotele) e dunque
l’eternità del mondo, dicendo che il mondo avrebbe potuto essere diverso da
quello che è, e se, dunque, è quello che è, ciò è dovuto ad una libera scelta di
Dio, una scelta creatrice:
“Se al di sotto della sfera celeste vi è
tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale
disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni
differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato
Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto
determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del
movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua
saggezza egli ha effettuato la cosa”.
Quasi non ci fu
tema con il quale Maimonide non ebbe a polemizzare con i cabbalisti. Nota, per
esempio, era la sua avversione all’astrologia, mentre nella tradizione
cabbalistica l’astrologia è addirittura considerata uno strumento di conoscenza
soprattutto in riferimento alla ruota dello zodiaco o Galgal e all’asse del mondo o Teli. Sull’astrologia
[Vedi il post MAZAL TOV. L’ASTROLOGIA NELLA TRADIZIONE EBRAICO-CABBALISTICA],
egli scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a
sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza
delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così
scrive agli yemeniti:
“Noto che
siete inclini a credere nell’Astrologia e all’influenza delle congiunzioni
planetarie, passate e future, sugli eventi umani. Dovete scacciare tali idee
dalla vostra testa (…) I veri saggi, che siano o no religiosi, rifiutano di
credere nella verità di questa scienza. I suoi postulati possono essere respinti
con vere prove e su base razionale…”
Nell’Epistola ai rabbini di Provenza del
1194, Maimonide polemizza con l’astrologia oraria la cui pratica era diffusa
nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e rispolvera l’idea che, in fondo,
l’astrologia altro non sia che astrolatria.
Ghematria: E' una
metatesi della parola greca grammatèia e
si fonda sul valore numerico attribuito ad ogni lettera dell’alfabeto. Il
valore numerico dato dai cabbalisti a una singola parola o a un’intera
preposizione comporta perciò la possibilità di stabilire analogie (sodot o ‘segreti numerologici’) cariche
di significato tra parole o intere frasi dello stesso valore numerico.
I sodot avevano, in origine, due scopi:
garantire che i nomi venissero scritti esattamente come i compositori di ghematriot li ricevevano dalle fonti orali e scritte e, inoltre, attribuire
‘intenzioni’ (kavvanot) a questi
nomi, come incentivo a una meditazione più profonda. Così, per esempio, Raz [Resh-zain] segreto ha lo stesso valore numerico (207) di Or [Alef- waw- resh ] luce.
Infatti Raz è formata delle lettere resh (valore:
200) e zain (7), mentre Or dalle lettere alef (1), waw (6) e resh (200). Ancora: in Abulafia è
frequente la ghematria ha Machazeh
(65) ‘la visione’ con Adonai (65),
terzo tra i nomi di Dio, dopo il Tetragramma ed Elohim.
Notariqon: Deriva
dalla parola latina notarius,
stenografo. E, in effetti, si tratta di una sorta di sistema stenografico che,
a partire dalle lettere che compongono una o più parole, individua la
possibilità di creare altre parole con significati nuovi e del tutto differenti
ma capaci al tempo stesso di conservare nascostamente le primitive kavvanot (intenzioni). Così, per esempio, Le iniziali di Teli, [Taw], Asse
del mondo Galgal, [Ghimel]
e Lev, [Lamed] cuore formano per notariqon la parola Taghel [Taw-Ghimel-Lamed],
presente nel versetto di Isaia (61:10): ‘La mia anima si delizierà in Dio’. La meditazione su questi tre elementi può
condurre all’estasi mistica. Anche se le forme che il notariqon può assumere
sono diverse, unico è il principio che lo anima e cioè quello di creare parole da altre parole senza
che si perda alcuno dei significati presenti nelle parole creatrici.
Themurah significa permutazione.
Seguendo certe regole, una lettera è sostituita da un altra che la precede o la
segue nell'alfabeto, e così una parola può essere sostituita da un'altra parola
di ortografia interamente diversa. Molti comunque sono i metodi di
permutazione, dal più semplice o Thashraq
che consiste nello scrivere una parola alla rovescia, a metodi via via più
complessi. Quello usato maggiormente è l’Atbas:
l'alfabeto è piegato nel mezzo e una metà è sovrapposta all'altra, allora è
possibile lo scambio tra la prima e l’ultima lettera, tra la seconda e la penultima,
tra la terza e la terz’ultima e così via. Oltre a ciò, vi sono significati
nascosti nella forma delle lettere dell'alfabeto ebraico ed è possibile
scomporre ciascuna consonante per scoprire altre lettere alle quali rinvia e
ancora: la forma di una lettera in fine di parola può talora differire dalla
forma che solitamente assume quando è lettera finale o, al contrario, la forma
di una lettera scritta nel corpo di una parola, si presenta con la forma
propria di una lettera finale, oppure una
lettera scritta in una dimensione più piccola o più grande di quelle del
restante manoscritto.
Isacco
il Cieco (1160-1235) indagò sul nome di Dio, sulla luce e sulle
tenebre (luce e tenebre scaturiscono dall’Oscurità primordiale), sulle Sephiroth e sui Trentadue Sentieri dell’Albero,
sulla catena degli esseri, sulla simpatia universale. Assai prima della
Qabbalah luriana, sembra abbia parlato di trasmigrazione
delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe
33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre
volte in un uomo: ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa
brilli nella luce della vita’.
Isacco anticipò
inoltre il tema dei cicli cosmici o shemittoth
con riferimento anche alla trasmigrazione animale. Si occupò ancora dei
segreti (sodot) della Torah e del
problema del male, collegandolo alla frattura del Nome di Dio che ritorna
incompleto com’era prima della creazione dell’uomo, a seguito dell’episodio
annunciato nel versetto 17:7 dell’Esodo: ‘Vedremo se il Signore è con
noi o no’. Dopo l’uscita dall’Egitto venne Amalek, capo degli Amaleciti,
beduini del sud di Canaan: ‘la mano di
Amalek si levò sopra il trono di Y(a)h’ e Isacco descrive la lotta di Mosé
contro l’Arcangelo di Amalek: ‘Mosé
dovette ricorrere all’elevazione delle mani per lottare contro l’Arcangelo e
respingere le sue mani dalla sephirah Ghevourah’.
Aron e Chur
sostengono le mani di Mosé e Israele può vincere, ma il male si è generato, la
distruzione del Tempio e l’esilio lo accresceranno. Il Nome che non potrà più
essere pronunciato nel Tempio troverà posto nel cuore dei cabbalisti.
Conseguenza dell’esilio e della distruzione del Tempio è il ritrarsi dei Sephiroth superiori in alto. Sotto la sua spinta, nel 1230, sorge il gruppo cabbalistico di
Girona: la Chaburah qedoshah o
Associazione Sacra, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione
dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.
A Isacco viene
attribuita l’espressione che la Qabbalah ebraica differisce dalle religioni
perché consiste in una filosofia esoterica basata unicamente sullo studio e
sulla conoscenza. D’altra parte, per raggiungere Da’at (la cosiddetta undicesima Sephirah occulta dell’Albero, non è
sufficiente far agire il solo intelletto (Binah,
la terza Sephirah) ma occorre anche
impegnare il cuore (riferimento alla Sephirah centrale dell’Albero: Tiphereth, bellezza, armonia,
equilibrio).
Sepher
Bahir: Tra i testi che circolano
maggiormente nei circoli kabbalistici provenzali c’è il Sepher Bahir o ‘Libro Fulgido’.
L’opera apparve in Provenza tra il 1150 e il 1200 proveniente dalla
Germania o direttamente dall’Oriente. Tra le fonti, oltre a testi più antichi,
le opere dei Chassidìm tedeschi del XII e XIII secolo, il misticismo della
Ma’asè Merkavah e in particolare il libro, andato perduto, ma
ripetutamente citato, soprattutto da autori caraiti, il Razà Rabbà o Grande Mistero,
composto tra il V secolo e il secolo VIII e che rappresenta una fase più
tardiva di quella dei testi più importanti della Merkavà. Il contenuto magico e angelologico di questo libro è
attestato da tutti e sarebbe parte di quella Gnosi ebraica che – a giudizio
dello Scholem - deriverebbe dall’antico Gnosticismo. Vedremo poi, analizzando il
Sepher Bahir, come il giudizio dello Scholem possa essere addirittura
rovesciato e portare alla conclusione, sostenuta da più di uno studioso, di una
derivazione dello Gnosticismo dalla tradizione ebraica o piuttosto dalle ‘sette
ebree’(Esseni, Samaritani, Elkesaiti ecc…) che si distaccarono dall’ebraismo
con violente polemiche.
Si riportano, di seguito, alcuni passi del Bahir (la traduzione italiana è tratta in gran parte da Mistica Ebraica, Einaudi, Torino, 1995)
scelti e accorpati secondo una sorta di glossario che comprende le voci
seguenti: Luce - Tohu e Bohu (caos e
informità) – Male e Bene – Acqua e fuoco – Albero e Giardino. I paragrafi da cui i passi sono tratti vengono
indicati in parentesi.
Luce: Gli uomini non
sopportano la vista della luce troppo fulgida (bahir), il buio è per te come la luce(1) Solo della luce c’è sostanza, non così della tenebra che, pure,
è creata da Dio(13) La luce
precedette il mondo(16) Nessuna
creatura può guardare la prima luce(147).
Qual è il nascondiglio della potenza di Dio? E’ la luce che ha celato e
nascosto e che tiene in serbo per i giusti del ‘olam ha-ba o mondo a venire, quella che rimane è per coloro che
confidano in Dio, osservano la Torah, compiono i suoi precetti, santificano il
suo Nome e ne proclamano l’unità in segreto e in pubblico(148) La Torah è una luce(149)
Fu così creata una grande luce, che nessuna creatura avrebbe potuto sopportare.
Il Santo, sia Egli benedetto, vide che nessuno poteva tollerarla: ne prese
allora la settima parte, e la sostituì, per essi all’intero. Il resto lo ripose
per i giusti a venire(160)E’
scritto: E Dio disse: Sia la luce, e la luce fu. In verità, questo ci insegna
che la luce era assai grande, né alcuna creatura poteva fissarla (190).
Tohu-Bohu (Caos e informità): La terra era caos e
informità. Significa che era già caos. Era Tohu e tornò ad essere Bohu(2) I concetti di materia e forma si
collegano a quelli di luce e tenebra. La riconoscibilità del bene attraverso il
male, come la luce attraverso la tenebra. La terra era caos perché prodotta
dalla condensazione della luce originaria che si era ridotta per poter essere
vista, nella parte mancante della luce originaria subentra la tenebra, la luce
condensata o materia caotica. Dio ha
fatto una cosa contrapposta all’altra(Eccl.7.14) Creò l’informità(bohu) e la collocò nella pace. Creò il
caos(tohu) e lo collocò nel male,
creò l’informità e la collocò nella pace, nel bene(11) Da dove si deduce che il caos è nel male? Dal versetto: Colui che opera il bene e crea il male-(Is.45.7). La forma o informità viene dunque creata per limitare o circoscrivere
il male. E’ la luce rimasta dopo la riduzione della luce originaria e che serve
a rimettere ordine nel caos della materia(12)
E’ il tohu dal quale proviene il male
che stupisce gli uomini(135) ‘…compi
il tuo lavoro nella tua dimora…In tal modo, non potranno vederti né nuocerti,
giacché essi… si tengono lontani da ogni condotta buona e scelgono il cattivo
comportamento. Quando vedono che un uomo s’avvia lungo una strada onesta, e la
percorre, lo prendono in odio. Che cos’è? E’ Satana. Questo ci insegna che il
Santo, sia Egli benedetto, ha un attributo il cui nome è male(162) E tohu significa male che frastorna il mondo affinché pecchi. Ogni
cattiva inclinazione dell’uomo proviene di là…Perché l’istinto del cuore umano è inclinato al male fin dalla sua
adolescenza(Gen.8.21) e il compito dell’uomo è nel vincere le cattive
inclinazioni, nel mettere ordine nel caos dei desideri, nel dare forma alla sua vita nella materia(167)
Male
e Bene: Che significa il versetto: E avvenne che, quando Mosè teneva la sua mano alzata, Israele era più
forte, ma quando egli faceva riposare la sua mano, Amalec era più
forte(Es.17.11)? Ci insegna che il mondo esiste grazie all’elevazione delle
mani. Per quella forza che è stata data a Giacobbe nostro padre, il cui nome è
Israele. Ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe furono date forze, una a ciascuno di
essi, in base all’attributo secondo il quale ognuno regolava la propria
condotta. Abramo era caritatevole verso il mondo… (135) Quando Mosé chiese di conoscere il Nome glorioso e terribile,
sia benedetto… domandò perché a un giusto tocchi in sorte il bene e a un altro
il male, e parimenti, a un malvagio tocchi in sorte il bene e a un altro il
male. Ma non gli fu dato di saperlo(194)
Perché a un giusto tocca in sorte il bene e a un altro il male? Giacché quel
giusto, a cui tocca il male, era stato in precedenza un malvagio, e ora incorre
nella punizione. E’ possibile che lo si punisca per quanto compiuto durante la
giovinezza?… Gli rispose: Non parlo di questa vita, ma di quanto è già accaduto
nel passato… A che cosa si può paragonare? A un uomo che piantò una vigna nel
proprio giardino, con la speranza di produrre buona uva, ma non ne ottenne che
di scadente. Quando vide che non aveva avuto successo, la piantò, la recintò,
la rafforzò, ripulì i grappoli buoni dai cattivi, e poi la ripiantò una seconda
volta, ma vide che non era riuscito; la piantò ancora e la recintò, dopo averla
ripulita; ancora non riuscì: sradicò e piantò nuovamente. Per quante volte? Per
mille generazioni… (195) Se non vi fossero le vostre colpe
non vi sarebbe differenza tra voi e lui... L'uomo avrebbe un’anima superiore se
non fosse per le colpe. L’hai fatto poco
meno di un Dio(Sal.8.6) Cosa significa poco
meno? Che egli ha colpe, ma il Santo, sia Egli benedetto, non ne ha, che
Egli sia benedetto e benedetto il suo Nome in eterno. Egli non ha colpe e tuttavia la cattiva inclinazione proviene da
lui! (196)
Acqua
e Fuoco: ‘…Il Signore, benedetto Egli sia…A che cosa si può
paragonare? A un re che desiderava costruire il proprio palazzo su rocce dure:
tagliò i massi e fendette le pietre finché sgorgò davanti a lui una grande
sorgente di acque vive. Egli disse allora: poiché dispongo di acqua sorgiva,
pianterò un giardino, per trarne diletto insieme al mondo intero(5) Che cosa significa la benedizione?
E’ simile a un re che piantò alberi nel proprio giardino: benché cadesse la
pioggia e venisse assorbita, e il terreno ne fosse sempre umido e impregnato,
nondimeno egli dovette attingere a una fonte… (6) Il vero significato di Hiriq
è Harak, il bruciare, poiché è un fuoco che brucia tutti i fuochi, com’è
scritto: Allora cadde il fuoco del
Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere e prosciugò
l’acqua che era nel canale(I Re 18.38) (44)
La voce del Signore intaglia lingue di
fuoco(Sal.29.7): quando mette pace tra l’acqua e il fuoco, sprizza la forza
del fuoco e le impedisce di annientare l’acqua, mentre impedisce a questa di
spegnere il fuoco(45) Non vi furono
forse le acque, e da esse uscì il fuoco? Gli risposero: è quanto tutti dicono.
Se è così, le acque racchiudono il fuoco(188)
(Si confronti 45 e 188 con la massima
ermetica: ‘Qui scit comburere aqua et
lavare igne facit de terra caelum et de caelo terram pretiosam’: ‘Chi sa
bruciare con l’acqua e lavare col fuoco fa della terra il cielo e del cielo la
terra preziosa’).
Dal cielo ti fece ascoltare la sua voce per
ammonirti e sulla terra ti mostrò il suo grande fuoco, e tu ascoltasti le sue
parole di mezzo al fuoco(Deut.4. 36). Che cos’è questo grande fuoco…? (46) Ci hai insegnato, o nostro
maestro, che Egli prese le acque e le divise: ne pose metà nel firmamento e
metà nel mare oceano; questo è il significato di quanto è scritto: il ruscello
di Dio è pieno d’acqua. Per mezzo di questa l’uomo apprende la Torah… com’è scritto:
Orsù, voi tutti assetati, venite all’acqua! Anche chi non ha argento…(51) Che cosa significa shamayim, ‘cielo’? Ci insegna che il
Santo, sia Egli benedetto, impastò fuoco ed acqua, e li stese l’uno nell’altro,
e con essi fece il principio della propria parola, com’è scritto: Il principio della tua parola è verità
(Sal.119.160). Ecco infatti che è scritto shamayim,
ovvero sham-mayim: ‘là è acqua’; esh
e mayim, ‘fuoco e acqua’(59) E cosa significa Mem? Non leggere Mem ma mayim, acqua. Come
l’acqua è umida così il ventre è sempre umido. E perché la mem aperta è composta dal maschio e dalla femmina, mentre quella
chiusa consta solo del maschio? Per insegnarti che il fondamento della mem è il maschio, mentre la sua apertura
è stata aggiunta a significare la femmina. Come il maschio non può generare
senza l’apertura, così la mem chiusa
non può generare se non con la mem
aperta. Come la femmina genera attraverso la propria apertura, così avviene per
la mem aperta e chiusa (85)
Seconda lettera madre dell’alfabeto ebraico, la Mem è scritta nel
suo ‘riempimento’ con la consonante che si ripete due volte: una Mem aperta iniziale e una Mem chiusa finale. Rabbi Aqiva (Alfabeto di Rabbi Aqiva) dice che Dio,
quando siede sul Trono di Gloria, si pone ai lati le due lettere e le
riconcilia esclamando che il suo Regno è chiamato
per mezzo loro, allora l’intero firmamento si inginocchia al cospetto del
Signore. Mayim [Mem-yud-mem] significa
acqua e si scrive con le due lettere separate da una Yod, simbolo dello Spirito divino che le prende per mano e le
riconcilia. Acqua di sorgente che scorre o fontana sigillata, la Mem aperta allude alla manifestazione di
Dio mentre quella chiusa rimanda al
mistero che è in Lui..
Che cos’è la quinta? la quinta è il grande fuoco del Santo, sia
Egli benedetto… E’ la sinistra del Santo… (145)
Ci si riferisce qui alla quinta Sephirah dell’Albero, Gevourah (rigore). E’ detto infatti che
Dio governa il mondo con Benevolenza (Chesed,
la quarta Sephirah) e con Rigore
Albero
e giardino: già citati (5)
e (6). Io sono colui che ha piantato
questo albero, affinché tutto il mondo ne tragga diletto; ho fissato tutto in
esso, e l’ho chiamato tutto, giacché da esso tutto dipende e da esso tutto
deriva. Tutti ne hanno bisogno, lo scrutano e lo attendono: da esso si
propagano le anime superiori in letizia (22)
Da quanto affermi apprendiamo che il Santo, sia Egli
benedetto, creò quanto era necessario a questo mondo prima di creare il cielo?
Sì, gli rispose. A che cosa si può paragonare? A un re, che voleva piantare un
albero nel proprio giardino. Ispezionò tutto il giardino per sapere se vi fosse
una fonte d’acqua sorgiva, che potesse sostentarlo. Non la trovò, e disse:
Scaverò fino a trovare l’acqua e farò scaturire una fonte, affinché l’albero possa
sopravvivere. Scavò e fece scaturire una fonte abbondante d’acqua viva: piantò
quindi l’albero, che attecchì e fece frutto, giacché le sue radici lo
ristorarono sempre con l’acqua della fonte (23).
Come in shoresh , radice, la Shin è simile alla radice dell’albero, e la Resh
indica che ogni albero è ritorto. Qual è la funzione della seconda Shin ? Ti insegna che se prendi un ramo
e lo pianti mette radice a sua volta (81).
E perché sono in numero di 32? A che cosa si può paragonare? A un re che aveva un bel giardino, con
32 sentieri. Mise un guardiano a
custodire quei sentieri, e a lui solo li svelò. Gli disse: Custodiscili, e
percorrili ogni giorno: ogni volta che li percorrerai, la pace sarà con te.
Cosa fece quel guardiano? Mise altri guardiani a custodirli, giacché si disse:
Se sarò solo in quei sentieri, mi sarà forse possibile, unico custode,
mantenerli tutti? Inoltre la gente dirà: quel re è un avaro! Per tale motivo
questo custode pose altri custodi a guardia di ogni sentiero: questi sono i 32 sentieri
(92). Il guardiano disse: Che questi
custodi non dicano che il giardino è mio!…Al re appartiene il giardino. Egli ha
stabilito questi sentieri… A che si può paragonare? A un re e alla sua figliola
che avevano alcuni servitori: questi volevano recarsi lontano, ma temevano
l’ira del re. Il re diede loro il proprio segno: ebbero allora timore della
figliola, finché anch’essa diede loro il proprio segno. Questi si dissero:
adesso con questi 2 segni, il Signore ti
guarderà da ogni male, guarderà la tua anima (Sal.121.7) (93) 36 in tutto…Tutti e 36 si trovano
nel primo, il drago. Il Santo, sia Egli benedetto, possiede un albero che
racchiude le frontiere delle 12 diagonali… che s’ampliano e procedono
all’infinito: sono le braccia del mondo
(Deuter.33.27)e al loro interno vi è l’albero. A tutti questi raggi
corrispondono i preposti, in numero di 12. Anche all’interno della ruota
celeste vi sono 12 preposti: sono in tutto 36 preposti…Sono dunque 12, 12 e 12,
i preposti nel drago (Teli), nella
ruota celeste (Galgal) e nel cuore
(Lev) (95).
Nel Corpus Hermeticum i 36
preposti sono definiti ‘vigili custodi,
ispettori dell’Universo’ e sono i 36 decani equatoriali degli Egizi o
decani zodiacali dei Greci secondo la seguente attribuzione: Ariete (1°Marte
2°Sole 3°Venere) Toro (1°Mercurio 2°Luna 3°Saturno) Gemelli(1°Giove 2°Marte
3°Sole) Cancro (1°Venere-2°Mercurio-3°Luna) Leone
(1°Saturno-2°Giove-3°Marte) Vergine
(1°Sole-2°Venere-3°Mercurio) Bilancia (1°Luna-2°Saturno-3°Giove) Scorpione
(1°Marte-2°Sole-3°Venere) Sagittario (1°Mercurio-2°Luna-3°Saturno) Capricorno
(1°Giove-2°Marte-3°Sole) Acquario (1°Venere-2°Mercurio-3°Luna) Pesci
(1°Saturno-2°Giove-3°Marte).
‘…E la Shin che cos’è? Disse
loro: è la radice dell’Albero perché la sua stessa forma è simile alla radice
dell’albero’(118) Ma che cos’è
l’albero di cui parli? Gli rispose: Le forze (Sephiroth) del Santo, sia Egli benedetto, sono poste una dentro
l’altra e assomigliano a un Albero. Come l’albero dà frutti grazie all’acqua,
così il Santo, sia Egli benedetto, accresce le forze dell’albero per mezzo
dell’acqua. E che cos’è l’acqua del Santo…? E’ la Sapienza (Hockmah)…’(119) ‘…Erano tutte palme. Si disse: poiché sono tutte del medesimo
tipo, non potranno sopravvivere. Che cosa fece? Piantò tra di esse un cedro…
Che significa cedro? E’ la femmina…(è l’albero dello splendore) Che cosa
significa frutto dell’albero dello splendore? Frutto dell’albero, cedri e rami
di palma.’(172) Che significa
splendore? E’ lo splendore di cui si parla nel Cantico dei cantici: chi è
costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, splendente come il sole,
temibile come un esercito schierato?(Cant. 6.10.). Ecco, questo è detto per
la femmina, e per essa è stata tratta la femmina da Adamo, giacché il mondo
inferiore non può esistere senza la femmina…(173) A che corrisponde il ramo (lulav)?
Al midollo spinale… Bisogna che la sua frasca lo copra per la maggior parte: se
non lo copre è inservibile. A che cosa si può paragonare? A un uomo che si
protegge la testa con le proprie braccia. Le sue braccia sono due e con la
testa fa tre. Vi sono dunque: la frasca a sinistra, le fronde a destra e la
pianta al centro. Perché è chiamata pianta? Perché è la radice dell’albero.(176) per quale motivo si chiama Tamar ‘palma’ e non con un altro nome?
Perché è femmina. Pensi davvero che sia femmina? Piuttosto, comprende il
maschio e la femmina, giacché tutte le palme comprendono sia il maschio che la
femmina. In che modo? Il ramo di palma, il lulav,
è maschile, mentre il frutto è maschile all’esterno e femminile all’interno. In
che modo? Mediante il nocciolo della palma, che reca una fenditura, come la
donna: a esso corrisponde in cielo la forza della luna…’(198)Sama’el…trovò il serpente in sembianza di cammello e lo montò.
Se ne andò dalla donna e le disse: Davvero
Dio vi ha detto: Non mangiate di alcun albero del giardino? (Gen.3.1) Ella
rispose: ci ha vietato solo di mangiare il frutto dell’albero che sta in mezzo
al giardino… e aggiunse: anzi neppure toccatelo, altrimenti morrete. Sama’el
andò a toccare l’albero. Egli… disse: ‘ho toccato l’albero e non sono morto.
Toccalo anche tu e non morrai. La donna andò a toccare l’albero ma vide
l’angelo della morte che le veniva incontro. Si disse: Ohimè, adesso morirò e
il Santo farà un’altra donna e la darà ad Adamo. Farò invece in modo che ne
mangi con me: se moriremo, moriremo entrambi… Prese i frutti dell’albero e ne
mangiò e li diede anche al suo sposo. Gli occhi di questi si aprirono e i suoi
denti rimasero allegati.(200)
Trentadue Sentieri: i 32 Sentieri che convergono verso la Sephirah centrale e cuore dell’Albero (Lev =Lamed
30+Beth 2 = 32) sono nell’ordine, discendendo: le dieci Sephiroth:
1°Kether-Corona, 2°Hockmah-Sapienza o Origine dell’esistenza, 3°Binah-Intelligenza
o Ritorno, 4°Hesed-Grazia o Misericordia, 5°Ghebourah-Giudizio
o Rigore, 6°Thiphereth-Armonia o Bellezza o Equilibrio,
7°Netzach-Eternità o Vittoria, 8°Hod-Splendore o Maestà o Potenza, 9°Yesod-Fondamento o Alleanza,
10°Malkouth-Regno o Pelle, poi 11°Kether-Hockmah,
12°Kether-Binah, 13°Kether-Thiphereth, 14°Hockmah-Binah, 15°Hockmah-Thiphereth,
16°Hockmah-Hesed, 17°Binah-Tiphereth, 18°Binah-Ghebourah, 19°Ghebourah-Hesed,
20°Hesed-Thiphereth, 21°Hesed-Netzach, 22°Ghebourah-Tiphereth, 23°Ghebourah-Hod, 24°Thiphereth-Netzach,
25°Thiphereth-Yesod, 26°Thiphereth-Hod, 27°Netzach-Hod, 28°Netzach-Yesod,
29°Netzach-Malkuth, 30°Hod-Yesod, 31°Hod-Malkuth, 32°Yesod-Malkuth.
Menorah o candelabro a sette bracci: ‘Mi farai –dice il
Signore a Mosé (Esodo, 25:31-40)- un
candelabro d’oro puro fatto tutto d’un pezzo: il piedistallo e il fusto, i suoi
calici, i suoi bocciòli e i suoi fiori formeranno un solo corpo con esso. Sei
rami usciranno dai suoi lati, tre rami del candelabro da una parte e altri tre
dall’altra…’
La Menorah
è citata in numerosi passi biblici: in Esodo 37:17-24 per dire che Betzalel,
l’artista designato da Dio in persona, ha costruito il candelabro esattamente
come l’aveva progettato il Signore. Sempre in Esodo, 30:27 per raccomandare che il candelabro, insieme ad altri
oggetti del Tabernacolo, sia unto con olio sacro. Ancora in Esodo il candelabro è citato tre volte:
quando il lavoro è ultimato e portato a Mosé (39:37), allorché il Signore ne
ordina a Mosé la collocazione nell’Abitazione o ‘Tenda dell’incontro’ a lui
consacrata(40:4) e Mosé esegue (40:24). In Levitico
(24:3) per precisare a chi è concesso accenderlo. In Numeri è citato due volte: (3:31) per ribadire che l’accensione del
candelabro è riservata ai leviti e (8:24) per la raccomandazione del Signore a
Mosé che le sette lampade illuminino la parte anteriore del candelabro. Nel
Libro di Daniele, il candelabro è
citato (5:5) per ricordare il banchetto del re Baldassar, figlio di
Nabucodonosor, durante il quale, apparve una mano di fronte al candelabro e
scrisse parole che solo Daniele riuscì a interpretare. Nel I Libro dei Re (7:49) e nel II Libro delle Cronache (4:7) per
predisporre 10 candelabri all’interno del Tempio: 5 a destra e 5 a sinistra del
santuario. Ancora nel II Libro delle
Cronache (13:11) si ricorda che l’accensione delle lampade è un obbligo
verso il Signore. Nel I Libro dei
Maccabei (4:49-50) il candelabro è utilizzato per la riconsacrazione del
Tempio, mentre in Siracide (26:17) ha
la funzione di metafora poetica: la lampada che brilla sul candelabro è paragonata
a un bel volto di donna sopra un corpo grazioso. Infine, in Zaccaria (4:1-12), il candelabro fa
parte della quinta visione del
profeta:
“L’angelo incaricato di
parlarmi venne a scuotermi come si fa con uno che dorme.
Mi domandò: ‘che
cosa vedi?’ Io risposi: ‘vedo un candelabro d’oro, con in cima un recipiente
per l’olio. Il candelabro a sette lucerne e sette beccucci per dare olio a ogni
lucerna.
Vicino al
recipiente ci sono due ulivi, uno a destra e l’altro a sinistra.’
E domandai
all’angelo: ‘Che significa tutto questo,
mio signore?’
Allora l’angelo mi
spiegò: ‘Le sette lucerne rappresentano gli occhi del Signore che osservano
tutta la terra…”
Si può osservare che Betzalel,
[Bet-tzadè-lamed-alef-lamed], il
nome dell’artista prescelto dal Signore per la costruzione della Menorah e di parte del Tabernacolo, ha
valore numerico 153 (leggendo le
lettere da destra a sinistra: 2+90+30+1+30 = 153), ossia il triangolo di 17.
“Il 17 - osserva Nadav Eliahu - è un numero importantissimo in Cabalà poiché è il numero indicante il
bene (Tov). Non a caso è la Ghematria
di due dei 72 Nomi di Dio, il 1° e il 49°. Anche questi numeri non sono
casuali, in quanto si riferiscono alle Cinquanta
Porte dell’Intelligenza, le più importanti delle quali sono la prima
dall’alto e la quarantanovesima dal basso. Ed ecco che 17 è anche il valore di
EGOZ (noce), un frutto esoterico, studiando il quale il re Salomone ricavò importanti considerazioni sulla struttura degli universi paralleli
(vedi il Cantico dei Cantici, al versetto ‘Sono
sceso al giardino delle noci’)” .
Il 17, inoltre, è
anche il valore di Hagadah e osserva
ancora Nadav Eliahu , (Misparei Ha-Sod. I numeri del segreto, Milano, 1990, pp. 29-30): “Il nome HAGADAH (leggenda) si riferisce a
tutta quella parte della tradizione orale dell’Ebraismo che contiene racconti e
descrizioni basate soprattutto sul funzionamento tipico dell’emisfero cerebrale
destro. Il valore 17 allude all’intrinseca bontà di questa parte, a volte
ingiustamente trascurata o minimizzata dagli ebrei razionalisti.”
Lettere
dell’alfabeto: Tre delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico [si
ricordi che ogni lettera ha valore numerico]: Alef [1]– Mem [40] [ in fine parola con diversa grafia
come le lettere kaf-nun-phe e tzadè] – Shin [300]sono dette madri e rappresentano gli elementi della
tradizione empedoclea: aria - acqua - fuoco (la terra o quarto elemento è
considerata una condensazione dell’acqua), altre sette di queste lettere sono
dette doppie e rappresentano i sette pianeti (considerando i due
luminari e i cinque pianeti della tradizione): Bet (2)– Dalet (4) – Ghimel (3) – Kaf (20)– Phe (80) – Resh
(200) – Taw (400) mentre le restanti dodici lettere,
dette semplici, rappresentano i 12 segni zodiacali: He (5) –
Waw (6) – Zain (7) – Chet (8)– Teth (9)– Yud (10) – Lamed (30)– Nun (50) – Samech
(60) – Ayin (70)–
Tzadè (80) – Qoph (100)
sergio magaldi
a Volte mi chiedo se tutta questa speculazione religiosa ha un senso reale o invece e' una tendenza al controllo del pensiero umano e la realtà' e bensi' altra cosa.
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