venerdì 28 giugno 2013

NEL BRASILE IN RIVOLTA, INUTILE "RESISTENZA" DELL'ITALIA DEL CALCIO...



 Nella semifinale della Confederations Cup, disputata ieri notte a Fortaleza [Brasile], antipasto dei campionati del mondo dell’anno prossimo, l’Italia calcistica costringe i campioni d’Europa e del Mondo della Spagna alla parità, dopo circa 150 minuti di gioco tra tempi regolamentari, supplementari e 6 calci di rigore messi a segno da entrambe le squadre. Poi il rigore calciato da Bonucci alle stelle e la nazionale iberica è finalista contro il Brasile. 

 Una Terra che per la prima volta nella sua storia contesta persino il calcio in casa sua o almeno così i media tentano di far credere, raccontando che i motivi delle sommosse sarebbero causati dalle ingenti spese sostenute dal governo per allestire manifestazioni sportive internazionali o per il rincaro generalizzato degli autobus, il mezzo di trasporto più utilizzato e più popolare in Brasile. 

 La verità è che la grande crescita economica del Paese, che l’ha portato al sesto posto tra le grandi economie del mondo [Dopo USA, Cina, Giappone, Germania e Francia, e prima di Inghilterra, Italia, Russia e India], è stata accompagnata da una pessima distribuzione della ricchezza, dal sovraffollamento delle città e dall’aumento della povertà dei ceti tradizionalmente già poveri. Senza contare un fenomeno che in Italia conosciamo assai bene, quello della corruzione e delle ruberie della politica. Tutte le partite della Confederations Cup si sono svolte all’insegna degli scontri con le forze dell’ordine, fuori degli stadi e nei centri cittadini, e con l’assalto dei parlamenti regionali.




 Tornando al calcio, Prandelli, il sempre ineffabile commissario tecnico della nazionale, questa volta, non si fa infilare per 4 volte dagli spagnoli, come accadde nella finale europea della scorsa estate. A ridosso dei tre centrali di difesa, gli juventini Barzagli, Bonucci e Chiellini, crea una cerniera di centrocampo con sei giocatori, lasciando un uomo solo all’attacco. È l’inizio di una “resistenza” che imbriglia subito i giocolieri spagnoli e interrompe il loro tradizionale e prolungato possesso palla. E, nelle rare ripartenze, rischieremmo addirittura di segnare, se disponessimo di attaccanti dal piede giusto. Ma né Gilardino, prima, né Giovinco, dopo, sembrano all’altezza, così dobbiamo tentare il goal con i tiri sbilenchi dei centrocampisti. 

 Pure, l’Italia fa la sua onesta partita e, a tratti, nel secondo tempo imita addirittura gli avversari nel tenere palla, anche se tra la propria area e la linea mediana del campo. È un fatto che la Spagna vista ieri sera non è sembrata all’altezza della sua fama [credo sia imbattuta da 28-29 partite] e che forse abbiamo perso un’occasione che alla vigilia sembrava impossibile. Ma Prandelli si conferma ancora una volta fortunato a metà e “perdente di lusso”: indovina la mossa di creare densità al centro del campo, può contare inaspettatamente sulle ottime prestazioni di De Rossi, Maggio, Candreva e Giaccherini e sulla fortuna che induce a sbagliare ripetutamente gli attaccanti iberici lanciati a rete [nulla di paragonabile, tuttavia, alla fortuna incredibile messa in mostra dall’Italia contro il Giappone], sbaglia il calcolo di poter vincere ai rigori, contando sulla statura internazionale di Buffon, che anche nei tempi migliori ha raramente parato un calcio dal dischetto, sconta l’errore di aver utilizzato Balotelli nell’inutile – ai fini della qualificazione alle semifinali –  partita contro Brasile, sapendolo ammonito e non in buonissime condizioni fisiche e se lo ritrova infortunato al termine della sfida persa contro i carioca.

 L’assetto dell’Italia schierata contro i campioni del mondo si è dimostrato giusto, a prescindere dal momentaneo calo di forma degli spagnoli, ma per vincere avremmo avuto bisogno di un attaccante che fa reparto, come ha dimostrato di saper fare Balotelli nelle precedenti partite della nazionale. A dire la verità, forse sarebbero bastati anche Osvaldo [non convocato in nome di un’etica incomprensibile] o magari anche un Matri o un Quagliarella [lasciati in Italia perché Conte li fa giocare poco nella Juventus ma che come attaccanti-reparto, fiuto del goal ed esperienza internazionale sono attualmente di gran lunga preferibili a Gilardino e Giovinco], senza contare l’errore di aver portato in Brasile un attaccante fuori forma come El Shaarawy, che infatti ha giocato raramente.

 In conclusione, a prescindere da quale sarà l’esito della partita di Domenica prossima contro l’Uruguay per l’assegnazione del 3° posto [per il quale vedo nettamente favorita la squadra di Cavani], la nazionale italiana di calcio ribadisce in Brasile il suo volto più recente: mancanza di un’organizzazione stabile e definita di gioco che talora finisce col danneggiare anche il reparto difensivo [8 goal subiti in 3 partite], scarse capacità offensive, se si prescinde da Balotelli e dagli altri lasciati a casa, e assenza di autentici interditori di centrocampo. Difetti non del tutto compensati dai pochi campioni, dalla tanta volontà mostrata nelle partite decisive e da una discreta dose di fortuna.

 sergio magaldi






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