Nella semifinale della Confederations Cup, disputata ieri
notte a Fortaleza [Brasile], antipasto dei campionati del mondo dell’anno
prossimo, l’Italia calcistica costringe i campioni d’Europa e del Mondo della
Spagna alla parità, dopo circa 150 minuti di gioco tra tempi regolamentari,
supplementari e 6 calci di rigore messi a segno da entrambe le squadre. Poi il
rigore calciato da Bonucci alle stelle e la nazionale iberica è finalista contro
il Brasile.
Una Terra che per la prima volta nella sua storia contesta persino
il calcio in casa sua o almeno così i media tentano di far credere,
raccontando che i motivi delle sommosse sarebbero causati dalle ingenti spese
sostenute dal governo per allestire manifestazioni sportive internazionali o
per il rincaro generalizzato degli autobus, il mezzo di trasporto più
utilizzato e più popolare in Brasile.
La verità è che la grande crescita economica del Paese,
che l’ha portato al sesto posto tra le grandi economie del mondo [Dopo USA,
Cina, Giappone, Germania e Francia, e prima di Inghilterra, Italia, Russia e
India], è stata accompagnata da una pessima distribuzione della ricchezza, dal
sovraffollamento delle città e dall’aumento della povertà dei ceti tradizionalmente
già poveri. Senza contare un fenomeno che in Italia conosciamo assai bene,
quello della corruzione e delle ruberie della politica. Tutte le partite della Confederations
Cup si sono svolte all’insegna degli scontri con le forze dell’ordine, fuori
degli stadi e nei centri cittadini, e con l’assalto dei parlamenti regionali.
Tornando al calcio, Prandelli, il sempre ineffabile commissario
tecnico della nazionale, questa volta, non si fa infilare per 4 volte dagli
spagnoli, come accadde nella finale europea della scorsa estate. A ridosso dei
tre centrali di difesa, gli juventini Barzagli, Bonucci e Chiellini, crea una
cerniera di centrocampo con sei giocatori, lasciando un uomo solo all’attacco. È l’inizio di una “resistenza” che imbriglia subito i giocolieri
spagnoli e interrompe il loro tradizionale e prolungato possesso palla. E,
nelle rare ripartenze, rischieremmo addirittura di segnare, se disponessimo di attaccanti
dal piede giusto. Ma né Gilardino, prima, né Giovinco, dopo, sembrano
all’altezza, così dobbiamo tentare il goal con i tiri sbilenchi dei
centrocampisti.
Pure, l’Italia fa la sua onesta partita e, a tratti, nel
secondo tempo imita addirittura gli avversari nel tenere palla, anche se tra la
propria area e la linea mediana del campo. È un fatto che la Spagna vista ieri
sera non è sembrata all’altezza della sua fama [credo sia imbattuta da 28-29
partite] e che forse abbiamo perso un’occasione che alla vigilia sembrava
impossibile. Ma Prandelli si conferma ancora una volta fortunato a metà e “perdente di lusso”: indovina la mossa di creare densità al centro del campo,
può contare inaspettatamente sulle ottime prestazioni di De Rossi, Maggio,
Candreva e Giaccherini e sulla fortuna che induce a sbagliare ripetutamente gli
attaccanti iberici lanciati a rete [nulla di paragonabile, tuttavia, alla
fortuna incredibile messa in mostra dall’Italia contro il Giappone], sbaglia il
calcolo di poter vincere ai rigori, contando sulla statura internazionale di
Buffon, che anche nei tempi migliori ha raramente parato un calcio dal
dischetto, sconta l’errore di aver utilizzato Balotelli nell’inutile – ai fini
della qualificazione alle semifinali –
partita contro Brasile, sapendolo ammonito e non in buonissime
condizioni fisiche e se lo ritrova infortunato al termine della sfida persa
contro i carioca.
L’assetto dell’Italia schierata contro i campioni del mondo si è
dimostrato giusto, a prescindere dal momentaneo calo di forma degli spagnoli,
ma per vincere avremmo avuto bisogno di un attaccante che fa reparto, come ha
dimostrato di saper fare Balotelli nelle precedenti partite della nazionale. A
dire la verità, forse sarebbero bastati anche Osvaldo [non convocato in nome di
un’etica incomprensibile] o magari anche un Matri o un Quagliarella [lasciati
in Italia perché Conte li fa giocare poco nella Juventus ma che come
attaccanti-reparto, fiuto del goal ed esperienza internazionale sono attualmente di gran lunga preferibili a Gilardino e Giovinco], senza contare l’errore di
aver portato in Brasile un attaccante fuori forma come El Shaarawy, che infatti ha giocato raramente.
In conclusione, a prescindere da quale sarà l’esito della partita
di Domenica prossima contro l’Uruguay per l’assegnazione del 3° posto [per il
quale vedo nettamente favorita la squadra di Cavani], la nazionale italiana di
calcio ribadisce in Brasile il suo volto più recente: mancanza di
un’organizzazione stabile e definita di gioco che talora finisce col danneggiare anche il
reparto difensivo [8 goal subiti in 3 partite], scarse capacità offensive, se si
prescinde da Balotelli e dagli altri lasciati a casa, e assenza di autentici
interditori di centrocampo. Difetti non del tutto compensati dai pochi
campioni, dalla tanta volontà mostrata nelle partite decisive e da una discreta
dose di fortuna.
sergio magaldi
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