L’elezione di Matteo Renzi alla guida del Partito
Democratico aveva suscitato anche nei più scettici una speranza di cambiamento,
forse l’ultima, considerando la comprensibile diffidenza che circonda gli
addetti ai lavori della politica. “Vuoi vedere che dopo decenni e decenni di
promesse non mantenute da parte dei politici di centro, di destra e di sinistra
– devono essersi detti costoro – è arrivato finalmente qualcuno che riuscirà davvero a
cambiare questo Paese?”
Incalzato dal sindaco di Firenze, persino il
governo della "stabilità cimiteriale" ha avuto un sussulto di vita, rilanciando temi e progetti che
risalgono al momento del varo del governo “delle larghe intese”. Innanzi tutto
l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e quella delle Province.
Per l’occasione, è probabile che il governo abbia organizzato una riflessione
collettiva su quel passo del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che chi
gestisce il potere in Italia conosce bene, anche senza aver mai letto Il
Gattopardo. È l’affermazione celebre di Tancredi Falconieri nipote del
principe Fabrizio: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna
che tutto cambi”.
Dal film Il Gattopardo, di Luchino Visconti,Italia,Francia,1963,187 minuti
A questa filosofia sembra ispirarsi il
provvedimento che prevede, non subito, ma per il 2017, la cosiddetta fine del
finanziamento pubblico della politica e introduce tutta una serie di
“paracaduti” per un “atterraggio” morbido. Non gli è da meno il disegno di
legge del ministro renziano Graziano Delrio per l’abolizione delle
Province o per meglio dire per la loro trasformazione in Enti Di Area Vasta
[sic!], senza personale politico ma con competenze di
ripartizione territoriale, trasporti e rete scolastica, con la contemporanea
creazione delle cosiddette Città
Metropolitane e la proliferazione
di organismi decisionali ovvero di nuovi carrozzoni della politica.
Per la verità, Letta e i suoi ministri non
avrebbero avuto bisogno di tornare a meditare sulle massime gattopardesche,
dopo il saggio fornito con la legge di stabilità che non solo reintroduce in
via definitiva l’IMU sulla prima casa, ma per giunta l’aumenta, cambiandogli
nome. Consiglio dei ministri che, approfittando che le larghe intese si siano
ridotte all’appoggio incondizionato di giganti della politica come Alfano, Lupi
e Quagliarello, arriva addirittura a ripristinare la seconda rata dell’IMU
prima casa per il 2013, con motivazioni risibili e localistiche che poco
interessano agli italiani vessati dalle tasse. Bontà sua, per non danneggiare i
consumi innescati dalle tredicesime mensilità, il governo ne fa
slittare il pagamento alla seconda metà di Gennaio, in coincidenza con l’arrivo
delle bollette di gas, luce ecc… e quando le tasche degli italiani saranno più
vuote di sempre.
Insomma, che da questo governo non ci si
potesse aspettare di più e di meglio era scontato, quel che turba gli scettici,
che pure avevano sperato nel cambiamento, è che i provvedimenti sul
finanziamento dei partiti e sulle province abbiano il placet di Renzi,
l’uomo spacciato per il nuovo e il carismatico della politica italiana. C’è chi
dice che al momento è già tanto vararli così come sono stati concepiti, perché
le forze della conservazione dei privilegi sarebbero all’opera per snaturarli
ulteriormente e/o ritardarne l’approvazione e, infatti, se il disegno di legge
sulle province non venisse approvato entro la fine dell’anno, scatterebbe
automaticamente la procedura per l’elezione dei nuovi consigli provinciali.
C’è di più e di peggio: la sensazione che
Renzi sia la faccia sorridente del PARTITO DELLE TASSE, sempre all’opera nella
sinistra o pseudosinistra italiana. Non è un caso che Filippo Taddei, il
giovane studioso di economia entrato di recente, come responsabile per
l’economia, nella squadra del neo segretario del PD, abbia vagheggiato in un
suo intervento televisivo una patrimoniale per ridurre le tasse dei redditi
sino a 26.000 Euro lordi. Parliamo di circa 1400 Euro netti al mese! Servirebbe
questo a rilanciare i consumi? È incredibile che a teorizzarlo sia un
economista o un aspirante tale! Senza contare il riferimento a provvedimenti
che dovrebbero ridisegnare il rapporto tra sistema retributivo e contributivo
delle pensioni già in essere, con il risultato di spaventare la gente. Se
davvero si vuole intervenire su questo versante perché non parlare più
semplicemente di un tetto ragionevole per le pensioni, per gli stipendi e le
liquidazioni dei manager, degli eletti della politica e delle cariche
istituzionali? In questi giorni qualcuno ha avuto il coraggio di chiedere
all’Assemblea Regionale Siciliana l’aumento dello stipendio dei consiglieri che
attualmente è di circa 12.000 Euro netti mensili. In queste ore la Camera ha
abolito i tagli già annunciati degli stipendi degli onorevoli!
E che dire del Job Act, il progetto di
Filippo Taddei a denominazione anglofona per mascherare la pochezza di un
provvedimento che dovrebbe rilanciare il lavoro? E non entro nel merito della
cessazione del cosiddetto “bicameralismo perfetto” con l’abolizione del Senato.
Per quanto lo sforzo di Renzi in questa direzione sembri autentico, temo che
dovrà aspettare a lungo prima di veder realizzato il sogno.
Il fatto è che questo è il Paese delle lobby,
delle corporazioni delle arti, dei mestieri, della politica e dei sindacati,
che neppure Monti ha voluto o potuto toccare [si veda in questo blog, il post Corporazioni di tutta Italia unitevi]. Persino Letta, prima di diventare capo di
governo, aveva fatto una proposta decente quando, in una puntata di “Porta a
Porta”, aveva lanciato l’idea dei controlli incrociati delle fatture di datori
e fruitori di servizi e prestazioni professionali, al doppio scopo di colpire
l’evasione fiscale e diminuire la pressione delle tasse attraverso le
detrazioni [si veda il post Dopo la stangata].
Se ne è saputo più nulla? Le tante corporazioni non permetterebbero mai
l’introduzione di un provvedimento del genere! E guardate cosa avviene nella
Giustizia. Si parla di amnistia. Ne parlano anche il presidente Napolitano e la
ministra Cancellieri, Pannella continua imperterrito con i suoi scioperi della
fame e della sete, ma nessuno dice che l’unico provvedimento che, almeno
temporaneamente, potrebbe risolvere il sovraffollamento carcerario, è
l’abolizione della detenzione in attesa di giudizio, fatti salvi i casi degli
imputati per i reati più gravi e socialmente pericolosi [si veda il post Le intercettazioni utili].
E se dalle questioni nazionali, si scende a
quelle locali, la storia non cambia e si tocca con mano il peso che le
corporazioni hanno in questo infelice Paese. L’Atac, che a Roma si occupa del
trasporto pubblico, avrebbe un mezzo semplicissimo per attenuare l’ingente
debito che prima o poi farà scoppiare un caso simile a quello recente di
Genova: far pagare il biglietto ai passeggeri. Come? Con l’obbligo, come in
tutte le più importanti capitali europee, che chi sale su un autobus o su un
tram mostri il biglietto al conducente o gli consegni l’equivalente in denaro
[vedi il post Pubblico e Privato]. Impresa ardua e mai concepita, basti
vedere con quali criteri vengono costruiti i mezzi di trasporto che circolano
nella capitale e immaginare quale sarebbe la risposta del sindacato di settore
di fronte a una proposta del genere.
Resta l’auspicio che qualche buona intenzione
di Renzi sia coronata da successo. Ne dubito, però, e purtroppo i fatti recenti
mostrano che presto il sindaco di Firenze si rassegnerà a camminare sulla
strada della politica già additata dal famoso personaggio del romanzo di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Esattamente come tutti quelli che l’hanno
preceduto al governo o alla guida dei partiti, anche se con minori proclami.
Almeno di non voler rischiare il potere conquistato di recente.
sergio magaldi
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